Intervento del Presidente Sangalli all'Assemblea Generale 2015

Intervento del Presidente Sangalli all'Assemblea Generale 2015

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8 giugno 2015

 

Relazione Presidente Carlo Sangalli

 

Cari amici, cari ospiti, Autorità.

Benvenuti all'Assemblea Generale 2015 di Confcommercio-Imprese per l'Italia.

Ringrazio tutti di essere venuti, in particolare quelli che non hanno trovato posto qui con noi e che sono nelle sale collegate. Non ci aspettavamo una partecipazione così grande!

L'Europa, l'Italia e l'Expo

Quest'anno abbiamo scelto di riunirci a Milano, la città di Expo 2015, per dare una scossa alla speranza.

E voglio pubblicamente ringraziare l'amico Beppe Sala, che ha tenuto ferma la barra, quando le tante tempeste si sono abbattute su questa grande occasione di ripresa.

Grazie a nome delle nostre tantissime imprese che hanno creduto e che credono in questo grande progetto.

E proprio a nome di tante di queste imprese, caro Beppe, mi permetto di fare una considerazione, che più che altro è un incoraggiamento: possiamo fare ancora tanto per promuovere tra i padiglioni la visita di Milano e dell'Italia.

Il tema di Expo è forte e strategico: "Nutrire il Pianeta. Energia per la vita".

Ci confrontiamo con una realtà globale dove, stando agli ultimi dati della FAO, ancora 805 milioni di persone, cioè una su nove, soffrono ogni giorno di mancanza di cibo e dove ogni anno oltre 3 milioni di bambini sotto i 5 anni muoiono semplicemente per fame.

Povertà estrema, carestie e guerre: fenomeni che generano quei flussi migratori che trovano proprio il nostro Paese come avamposto dell'Europa.

L'Italia si è fatta carico di salvare e accogliere un'ingente massa di migranti.

La stessa ONU ha riconosciuto che questo impegno che il nostro Paese affronta, praticamente da solo, ucciderebbe un gigante.

Un gigante, nel nostro caso, fragilissimo.

Di fronte a questa emergenza, l'Unione Europea si è mostrata miope e indifferente, talvolta del tutto assente.

Negli ultimi sette anni di grande recessione mondiale, si è gradualmente ampliato lo scollamento tra Istituzioni e cittadini europei.

Tanto che l'Europa oggi evoca un'immagine positiva solo per il 30% degli italiani. Ed è la metà rispetto al periodo pre-crisi.

Non c'è dubbio che su questo cambiamento dei giudizi abbiano giocato un ruolo fondamentale tanto la crisi economica quanto l'eccesso di austerità.

Eppure, qualcosa è cambiato.

Ed è stato possibile grazie ai sacrifici compiuti dalle famiglie e dalle imprese per mantenere gli impegni di risanamento dei conti pubblici e di convergenza verso il pareggio di bilancio.

Ed è stato possibile anche per il cambio di atteggiamento della BCE – grazie al rigore e al coraggio di Mario Draghi – con un nuovo regime di politica monetaria volto a salvaguardare l'integrità e la stabilità dell'euro.

Questa è l'Europa che ci lascia sperare per il futuro.

Abbiamo bisogno di segnali positivi.

Abbiamo, dunque, bisogno di una "scossa" alla speranza.

Come questo Expo, che rimette al centro del discorso italiano il turismo e l'attrattività del nostro Paese.

Turismo, appunto, che è la "carta vincente" dell'Italia. Eppure, non troviamo mai la "mano giusta" per calarla.

E questo è un grande errore e un enorme spreco, soprattutto per il nostro Mezzogiorno.

Senza turismo, infatti, non c'è crescita per il Sud. E, senza Sud, non c'è crescita per l'Italia.

Facciamocene una ragione!

Scenario economico

Oggi, finalmente, siamo davanti ai primi segnali di ripresa. Una ripresa effettiva, seppure timida.

E dire "timida" è una questione certo di prudenza. Ma è anche una questione di rispetto.

Il rispetto che si deve a tutti voi, a tutti noi, imprenditori del commercio, dei servizi, del turismo, dei trasporti e delle professioni che abbiamo pagato più di tutti la crisi, perdendo a volte la pazienza, ma senza perdere mai la speranza.

Oggi buoni segnali vengono dalla produzione industriale, che è in crescita negli ultimi mesi.

E anche i consumi stanno dando cenni di risveglio. Dai nostri dati, la spesa reale delle famiglie è cresciuta, in aprile, di mezzo punto rispetto a marzo e dello 0,8% rispetto all'anno precedente. Anche l'occupazione ha mostrato, finalmente, un significativo incremento in aprile.

D'altra parte, l'effetto Expo può valere – da solo – un aumento aggiuntivo di due decimi di Pil e tre decimi di consumi. E analogo effetto avrà anche il Giubileo straordinario.

Così come sarà importante il successo della candidatura alle Olimpiadi di Roma 2024.

Sono segni "più" che aspettavamo da tempo, troppo tempo, su cui vanno fatte alcune considerazioni di quadro.

Innanzitutto, su questi dati l'estero conta tanto, sia in negativo che in positivo.

In negativo, perché il nostro Paese è esposto a tre grandi insidie che generano incertezza: quella del Medio Oriente, quella dei debiti sovrani a partire dalla Grecia, quella del conflitto ucraino che ha fatto male al Made in Italy.

In positivo, perché la ripresa che stiamo vivendo è senza dubbio influenzata dal deprezzamento dell'euro, dalla riduzione del costo medio del debito pubblico e dal basso prezzo del greggio.

Sappiamo bene però che, al di là delle statistiche, molte famiglie e imprese fanno ancora fatica a percepire la ripartenza dell'economia nella realtà quotidiana.

Questa ripresa, insomma, è come un temporale di cui sentiamo i tuoni e vediamo i lampi, ma qui la pioggia - per molte imprese, per molte piccole imprese - non è arrivata.

Abbiamo un Paese in un certo senso "sospeso".

Negli ultimi sette anni abbiamo perso tutta l'occupazione creata nei precedenti otto. La povertà assoluta è cresciuta del 163% tra il 2006 e il 2013. La crisi ha ampliato il disagio sociale, il ceto medio, l'"asso nella manica" dei consumi, ha perso rapidamente peso. L'attuale moderata ripresa non lenisce queste ferite.

Per trasformarla in crescita non c'è alternativa.

Tasse e spesa pubblica

Bisogna ridurre la spesa pubblica, che non è solo troppo alta, ma è anche mal distribuita. Per farlo bisogna percorrere una strada a due corsie.

Quella normale, di marcia, è la lotta alle inefficienze, costante negli anni e nelle intenzioni.

Quella di sorpasso riguarda, invece, la ridefinizione del perimetro della spesa pubblica.

Ogni euro recuperato dal minor costo del debito pubblico – nonché dalla lotta all'evasione fiscale – va restituito ai contribuenti in regola con l'immediata riduzione delle aliquote Irpef.

E non si può, invece, pensare di usare sempre la tassazione come paracadute delle inefficienze.

E qui mi viene spontaneo pensare alle clausole di salvaguardia, che valgono 70 miliardi di tasse in più nel prossimo triennio.

E' un discorso su cui la Confcommercio ha esercitato in questi mesi una vigilanza puntuale. Continueremo a farlo, perché, se scattano queste clausole, addio ripresa.

Il Governo ha assicurato che non verranno attivate. E noi ci crediamo. Ci vogliamo credere.

Anche in questo caso ci rimane però un dubbio di carattere generale. Non capisco davvero perché, quando in Italia non quadrano i conti, a pagare la "fattura" debbano essere sempre le famiglie e le imprese.

Qui si ritorna al problema dei problemi: la riforma fiscale. Se non si passa da qui, non si può ripartire.

La aspettiamo da 40 anni: abbiamo bisogno di un fisco semplice, affidabile ed equo. Senza paura cioè di continui aggiornamenti al rialzo, come speriamo non accada con la riforma del catasto.

Per noi una buona riforma fiscale vuol dire almeno tre cose.

La prima. Chiediamo pochi tributi, semplici da pagare: un tributo per ogni livello di governo, un'imposta sui consumi coordinata in ambito europeo e un'imposta di tipo ambientale.

La seconda. Per quanto riguarda l'IRPEF, è ora di procedere a una riduzione generalizzata delle aliquote, senza appesantire questo tributo con intenti ridistributivi.

Ci sono altri strumenti per ridurre le disparità economiche e sociali tra i cittadini e tra le imprese.

Infine, terzo, una seria riforma fiscale dovrebbe tener sempre presente l'accoppiata fabbisogni e costi standard.

Il caso della Tari è emblematico: per questo tributo, a parità di servizi pubblici, le differenze possono toccare il rapporto di 1 a 10 tra due comunità che sono vicine, tra due comuni che sono uno a fianco all'altro. Non è ammissibile in una moderna democrazia.

Infine, bisogna interrompere quel circolo vizioso che porta al continuo incremento della pressione fiscale. Da un lato lo stato taglia i trasferimenti a Regioni e Comuni ma non riduce il prelievo di propria competenza. Dall'altro Regioni e Comuni per sopperire al taglio dei trasferimenti devono aumentare i tributi locali. I costi del mancato coordinamento tra livelli di governo sono interamente sostenuti dai cittadini.

Investimenti

Per consolidare la ripresa, però, non ci possono essere solo tagli, servono anche investimenti.

Occorre che anche lo Stato investa in infrastrutture, fisiche e digitali, in servizi avanzati per le imprese e per i cittadini.

L'efficienza delle reti di trasporto e della logistica, ad esempio, significa produttività, competitività e pari opportunità.

E' di fondamentale importanza il capitale umano. L'ha detto anche il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco: "l'investimento in conoscenza è quello che paga l'interesse più alto. Anche se in Italia investiamo poco perché il rendimento è molto differito nel tempo".

E mi viene in mente quello che ha fatto un grande commerciante come Ferdinando Bocconi, che era partito come semplice ambulante fino a creare la Rinascente. E alla fine ha costruito una grande infrastruttura della conoscenza, come l'Università "Commerciale" Bocconi.

Il tema delle infrastrutture immateriali, della banda ultra larga, della rivoluzione digitale investe in pieno il terziario di mercato.

Grazie a questi strumenti le nostre imprese, i punti vendita, la distribuzione si possono trasformare. E possono trasformare le nostre città in vere smart city.

Del resto, dagli ultimi dati Excelsior per l'anno 2015, le imprese del nostro settore che utilizzano internet prevedono di assumere il doppio, ripeto, il doppio degli occupati rispetto alle altre aziende.

Chiediamo quindi al Governo di inserire nell'Agenda digitale una sezione dedicata alla distribuzione.

Anche perché lo Stato che fa investimenti di sistema è uno Stato che stimola la libertà individuale: che è la libertà di fare impresa, di costituire una famiglia, anche la libertà di associarsi.

Il ruolo delle rappresentanze

E associarsi è un diritto "costituzionale", non è un'ambizione corporativa.

Per questo meritiamo buone regole sulla rappresentanza, che siano sintesi delle realtà vive e non potere di veto, che valorizzino responsabilità e differenze senza ambizioni da sindacato unico.

In questo periodo di crisi profonda che ha costretto le aziende ad un rinnovamento "al buio", con il peso di un fisco che "aspettava fuori dalla porta" e delle banche che da partner sono diventate arbitri, noi soli, solo le associazioni di rappresentanza, siamo stati vicini agli imprenditori.

Noi non abbiamo lasciato solo nessuno!

Anzi. Abbiamo presidiato tanti temi, e spesso con fatica.

Penso, ad esempio, ad un argomento di nuovo attuale e che il Ministro Guidi conosce bene, quello della vendita diretta dei prodotti agricoli lontano dai luoghi di produzione. Che alla fine è come la tela di Penelope: di giorno costruiamo pari regole a difesa del consumatore e di notte qualcuno tenta di distruggere tutto, magari con un semplice emendamento. Non si possono avere regole diverse per fare lo stesso mestiere.

I corpi intermedi hanno assicurato la tenuta di questo Paese, hanno steso una rete di solidarietà e di fiducia, hanno trasformato la protesta in proposta.

Ci siamo battuti per le Camere di commercio. Perché, con una profonda autoriforma e maggiore efficienza, rimanessero i luoghi di governo condiviso dell'economia dei territori.

Ci siamo battuti per le Banche Popolari, per difendere l'idea di una banca di prossimità che privilegiasse il territorio, un po' come siamo noi.

Ci battiamo ogni giorno nei territori, per i territori.

Perché i territori sono di certo la culla del Made in Italy di prodotto.

Ma, credo anche che questo tema vada ripensato, quasi ribaltato.

Made in Italy significa "distribuire" e non solo produrre. Non a caso, oggi, i più grandi successi dei nostri prodotti dipendono da strategie commerciali, nazionali ed internazionali, che proprio qui all'Expo trovano gli esempi più chiari.

Made In Italy e distribuzione sono le due realtà che continuano a creare lavoro nel nostro Paese. E, infatti, le imprese che vanno all'estero e quelle dei servizi assicurano, proprio in questi mesi, la gran parte della nuova occupazione.

Lavoro e occupazione

E proprio sul lavoro voglio fare una riflessione in più.

Con il Jobs Act, ad esempio, il Governo è andato finora nella giusta direzione: flessibilità per le imprese e assunzioni a tempo indeterminato con incentivi, che speriamo proseguano nel 2016.

Per il prossimo futuro, il Governo ha annunciato che le piccole imprese, anche quelle del terziario, quelle con più di cinque dipendenti, dovranno versare un contributo per gli ammortizzatori sociali.

Giusto. Ma solo se poi ritorna a beneficio delle nostre imprese.

Sul costo del lavoro ci aspettiamo dei ribassi, non solo dei rialzi.

A partire dalla riduzione delle tariffe Inail e dai contributi alla gestione malattia dell'Inps, a beneficio dei settori e delle imprese che pagano in misura sproporzionata rispetto ai propri reali fabbisogni.

Ma soprattutto, anche sul tema del lavoro, è tempo di semplificazione.

Semplificazione non solo nelle norme, ma di tutti quegli adempimenti e quei controlli eccessivi che ci fanno passare il tempo tra moduli e formulari. Basta.

Il nuovo CCNL del terziario

Infine, abbiamo chiuso da poco il nuovo contratto nazionale del terziario, un lavoro di fatica e concretezza, da centrocampisti che hanno dovuto passare e riprendere la palla tante volte.

Si tratta del più grande contratto nazionale del settore privato, che tocca oltre tre milioni di lavoratori e che anche questa volta introduce strumenti innovativi.

Anche perché il nostro contratto nazionale non finisce lì, ma si porta dietro un importante sistema di welfare contrattuale. Siamo stati i primi a mettere al centro non solo l'imprenditore ma anche i suoi collaboratori.

Oggi assistiamo, invece, alla messa in discussione dei fondi sanitari, previdenziali e di formazione continua. Costruiti insieme da imprese, sindacati, lavoratori.

Non ha senso distruggere quello che è stato costruito con tanto impegno in tanti anni, anche considerando che il welfare pubblico non gode di buona salute.

E questa per noi non è certo una buona notizia. Anche perché sulla rete del welfare pubblico si è costruito un modello di Paese, che ha dato delle sicurezze di base alle singole persone. E questo ha permesso a tanti di sentirsi liberi, più liberi, di investire su se stessi, di accettare il rischio d'impresa, di aprire un'attività, anche familiare.

E qui voglio fare un ragionamento in più.

Noi, a priori, non siamo contrari ai contratti aziendali e territoriali. E su questo terreno uno scontro ideologico, una guerra di religione non serve a nessuno.

Intanto, perché il contratto nazionale è un valore. E' un valore per quella miriade di imprese, soprattutto piccole e medie, ma anche quelle più grandi, che non possono o non vogliono negoziare un contratto direttamente in azienda.

Poi, perché da tempo nel nostro contratto del terziario c'è già la possibilità per le imprese di ampie modifiche, per ritagliarsi un vestito su misura.

Ma, soprattutto, perché la retribuzione base di settore, stabilita nei contratti collettivi, è una conquista di civiltà. Evita la divisione tra lavoratori, imprese e territori di serie A e di serie B.

E', cioè, un punto di equilibrio che contribuisce alla tenuta socio-economica di tutto il Paese.

Cari amici, in quest'epoca torna di moda il "fai da te" e si fa strada l'idea che la soluzione di tutti i mali sia la disintermediazione, spesso fine a se stessa.

La soluzione non può essere che ognuno faccia da sè.

La verità, cari amici, è che si parla di rappresentanza, dimenticando che essa nasce dal bisogno di una voce collettiva per costruire qualcosa insieme, che si contrappone alla cultura dell'individualismo.

Rappresentanza vera, dunque, e non semplice autorappresentazione. Rappresentanza che non si limita ai contratti ma che è indispensabile per il confronto istituzionale. Troppo spesso abbiamo assistito alla comparsa di soggetti che con numeri irrisori pretendono di rappresentare intere categorie. Per misurare la rappresentanza non c'è nulla da inventare. Esistono già strumenti adeguati di misurazione.

Più volte abbiamo dimostrato capacità di fare sintesi sui grandi temi, che è poi l'esperienza di Rete Imprese Italia.

Grandi temi, a partire da quello di dare dignità e cittadinanza ad un nuovo "ceto medio" dell'impresa e del lavoro autonomo nei luoghi delle istituzioni e della politica. Per arrivare alla lotta contro la cattiva burocrazia, l'illegalità, l'abusivismo, la contraffazione che sfiancano le nostre imprese, tutte le nostre imprese, con costi sempre più alti.

I 70 anni di Confcommercio

Cari amici,

proprio quest'anno la Confcommercio compie settant'anni. Un punto di partenza. Non certo un punto di arrivo.

Mi viene in mente un'immagine di questo Expo: l'Albero della Vita, simbolo della forza da cui è scaturito tutto e dello slancio verso il futuro.

Come l'Albero della Vita, il nostro Settantennale affonda le sue radici nel passato, ma ci chiede di guardare al futuro.

Per noi compiere settant'anni significa tre cose.

Vuol dire l'orgoglio di rappresentare una parte del Paese a volte silenziosa, ma essenziale, che oggi vale oltre il 40% del Pil e dell'occupazione.

Vuol dire la responsabilità di guardare sempre al futuro e di portare la voce dei nostri imprenditori alla politica, al Governo, alle Istituzioni, al resto della società.

Questo Settantennale, infine, è una sfida. La sfida cioè – e l'impegno – di giocare in attacco i prossimi 70 anni e di dimostrare giorno dopo giorno che siamo il terziario ma non siamo secondi a nessuno.

Che poi vuol dire non rincorrere il cambiamento, ma promuoverlo, come stiamo già facendo al centro e nei territori. Giocare in attacco vuol dire aiutare le nostre imprese ad essere sempre un passo avanti.

Il coraggio e l'operosità

Qui, oggi, vedo tanti amici. Vedo i volti e le mani della gente di Confcommercio. E penso alle famiglie, ai collaboratori, al lavoro quotidiano che quelle mani sostengono.

Siamo gente operosa. Lo siamo sempre stati.

Non abbiamo rendite di posizione e la concorrenza e il mercato sono il nostro habitat.

Cari amici, Autorità, gentili ospiti, siamo in questo auditorium che è dedicato a quello che per me è stato un caro amico, Giampiero Cantoni. Ricordo che Giampiero aveva una rubrica su Panorama, si chiamava "Controvento", a suggerire che dobbiamo sempre avere il coraggio delle nostre ragioni anche quando sono scomode e sarebbe più facile girarsi dall'altra parte.

E proprio questo mi auguro per la nostra Confcommercio: il coraggio, appunto.

Il coraggio di difendere le nostre imprese e le nostre ragioni, per portare al Paese una visione dell'economia in cui il terziario è protagonista di modernità e innovazione.

Il coraggio di sentirsi protagonisti delle nostre comunità.

Il coraggio di fare impresa, "nonostante tutto".

Il coraggio di servire il nostro Paese.

Viva la Confcommercio. Viva l'Italia.

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