Relazione del presidente all'Assemblea 2025
Relazione del presidente all'Assemblea 2025
Signor Presidente del Senato, Signor Vice Presidente del Consiglio, Signori Ministri, Onorevoli Parlamentari, Autorità, gentili ospiti, care amiche e cari amici della Confcommercio, benvenuti alla nostra Assemblea Pubblica.
È un’Assemblea particolare.
Coincide con gli 80 anni della Confederazione.
Il 25 aprile del 1945 l’Italia veniva liberata.
Da quello stesso “respiro di libertà, il 29 aprile 1945 comincia – dalla libertà d’intraprendere e dalla volontà di ripartire – la “storia di popolo” chiamata Confcommercio.
Una storia collettiva che decennio dopo decennio, al commercio, ha aggiunto nel nome – e nell’identità – anche il turismo, i servizi, i trasporti, le professioni e, infine, la cultura.
Una storia collettiva fatta di donne e uomini, famiglie e imprese, territori e città, cambiamenti e identità.
Le celebrazioni di quest’anno contribuiscono a costruire un ponte indispensabile tra tutte queste storie, tra il nostro passato e il nostro futuro.
Questo significa per noi “ricordare il futuro”, lo slogan che abbiamo scelto per questi 80 anni e che si declina in tre parole chiave: continuità, equilibrio, cambiamento.
Continuità, perché continua è stata la nostra presenza diffusa nel Paese.
Equilibrio, tra libertà d’impresa e regole, rappresentanza e valori, persone e comunità.
Cambiamento, quello dell’economia e della società italiana; lo abbiamo accompagnato nel tempo e continuiamo a farlo.
Lo abbiamo fatto nei contesti più difficili.
Continuiamo a farlo anche in questa stagione geopolitica incerta e drammatica.
Dal 2020, l’economia globale è stata caratterizzata da un marcato aumento dell’incertezza.
Incertezza che ha inciso profondamente sulla stabilità finanziaria, sulle attività e sulle aspettative delle imprese.
Incertezza dovuta ai tragici conflitti internazionali.
Incertezza determinata dal ritorno della politica dei dazi.
Un mondo con più dazi è un mondo peggiore.
È un danno perché la politica dei dazi mina la fiducia reciproca.
Senza fiducia si apre una de-globalizzazione costosa per tutti: riduce l’efficienza degli scambi, riduce il reddito globale, renderà ancora più massiccia la stessa pressione migratoria.
Insomma, la de-globalizzazione non è, e non può essere, la risposta.
Non ci si può rassegnare alla “chiusura”: capitale, lavoro, merci e servizi devono muoversi liberamente.
Liberamente non significa, però, senza regole: regole ragionevoli generano benessere, riducono le rendite di posizione, mitigano le disuguaglianze.
L’Europa ha l’opportunità di guidare questo processo di aggiustamento, di “ricucitura”, di dialogo.
Come ha detto Papa Leone XIV è necessario partire dal “disarmare le parole”.
L’unità occidentale resta indispensabile per l’equilibrio geopolitico. Non può essere messa in discussione e compromessa solo per riequilibrare un trascurabile disavanzo con l’estero.
Per l’Europa è tempo di scelte condivise.
Condivise anche con politiche nazionali.
Ne va della stessa competitività delle nostre imprese.
Ne va del migliore funzionamento del mercato interno europeo, a partire dalla riforma del mercato elettrico, con prezzi ancora troppo legati alle fonti fossili.
E sull’energia dobbiamo puntare su idrogeno sostenibile, nucleare avanzato, rinnovabili ed efficienza delle reti.
Non è più il tempo delle scelte ideologiche, servono scelte utili e realmente sostenibili!
E questo vale anche sul fronte dell’innovazione: semplificazione, prima di tutto, strumenti per la mobilitazione dei capitali privati e fondi pubblici più agili.
Per la stessa intelligenza artificiale, l’Unione europea ha bisogno di norme chiare e stabili, incentivi mirati e facilmente accessibili, così da ridurre il divario rispetto agli altri competitori globali.
L’intelligenza artificiale rappresenta un cambio di paradigma: rivoluzionerà le dinamiche del mercato, il mondo del lavoro e le competenze che lo attraversano.
Penso, ad esempio, ai professionisti, da sempre a fianco delle imprese, chiamati a contribuire per cogliere le opportunità connesse a questo profondo cambiamento.
Rispetto all’Europa, ci sono poi altri temi aperti: dall’armonizzazione fiscale, all’Unione bancaria e del mercato dei capitali, fino ai sistemi di pagamento e all’Euro digitale.
Come hanno ricordato i rapporti Draghi e Letta, ogni anno 300 miliardi di euro di risparmio europeo vengono investiti altrove.
Investire in Europa e in beni pubblici europei va reso più conveniente.
Scelte europee impegnative e, purtroppo, non scontate.
Come la politica estera, la politica di sicurezza e di difesa.
Settanta anni dopo, il tema della Comunità Europea di Difesa – l’ultima grande battaglia politica di Alcide De Gasperi – resta urgente.
Nel panorama globale ed europeo, l’Italia ha tutte le risorse – materiali e creative – per attraversare questa fase internazionale, complicata e confusa, con pieno successo, anche grazie all’impegno del Governo guidato dal Presidente Giorgia Meloni.
Pur apprezzando una politica accomodante della Banca Centrale Europea, restiamo molto preoccupati per i nostri settori rispetto al tema dei dazi.
Certo, la fascia alta dei beni e dei servizi che il mondo ci domanda – cioè l’aggregato di manifattura d’eccellenza, di turismo, cultura e terziario di mercato avanzato che chiamiamo Sense of Italy – ci mette parzialmente al riparo dalla dittatura del prezzo.
Ma, per un Paese trasformatore ed esportatore come l’Italia, perdere l’ancoraggio a un sistema di scambi multilaterali, reciprocamente vantaggiosi e a prezzi ragionevoli, sarebbe comunque un duro colpo.
Con una visione cautamente ottimistica, confermiamo, con rischi di revisione al ribasso, una crescita dello 0,8% per quest’anno e dello 0,9% per il prossimo.
Dobbiamo chiederci cosa manca a questi numeri per essere più solidi.
Manca un più vigoroso contributo dei consumi delle famiglie.
C’è una questione di fiducia.
Pesa il quadro internazionale.
Pesano 25 anni di crescita debole.
Pesa il ricordo della fiammata inflazionistica a cavallo degli anni 2022 e 2023.
La nostra recente ricerca con il Censis conferma che, ad aprile 2025, la fiducia delle famiglie italiane si è ridotta di cinque punti e mezzo rispetto a un anno fa.
E si è ridotta di quasi 15 punti rispetto ad aprile 2023, quando eravamo piacevolmente stupiti della nostra capacità di resilienza, rispetto alla pandemia e alla crisi dei costi energetici.
Sembra che oggi stiamo prendendo atto di un doloroso ritorno a tassi di crescita che non sono in linea con le legittime aspettative delle nostre famiglie e delle nostre imprese.
E sono i giovani quelli ad avere meno fiducia, un aspetto pericoloso per il Paese.
I giovani sono portatori di innovazione, di propensione al rischio, alla sperimentazione e all’adozione di nuove tecnologie.
La crescita della produttività passa da loro.
Occorre, in estrema sintesi, liberare le energie del lavoro e delle imprese, con politiche di apertura dei mercati e regole di concorrenza così da sostenere il pluralismo imprenditoriale e contribuire ad una crescita robusta, duratura ed inclusiva.
In ogni caso, nel corso di quest’anno, il reddito disponibile reale continuerà a crescere, anche grazie agli effetti positivi dei rinnovi contrattuali. È un contributo importante della contrattazione collettiva realmente rappresentativa. E lo diciamo con orgoglio e responsabilità.
L’inflazione è ora sotto controllo. Era quasi al 12% nell’autunno del 2022. È oggi a meno del 2%.
L’occupazione nel primo trimestre di quest’anno ha toccato il livello più elevato degli ultimi vent’anni, con oltre 24 milioni di lavoratrici e lavoratori.
Quanto alla qualità dell’occupazione, i contratti a tempo indeterminato sono circa l’86%: una quota in crescita di quasi quattro punti rispetto al 2019.
La percentuale di occupati con contratti temporanei è quindi, in Italia, del 14,8%: inferiore a quella della Francia e della Spagna, e di un punto superiore alla media dell’area euro.
Ma, per tornare al ragionamento dei giovani come motore di produttività, è chiaro che colmare la distanza tra domanda e offerta di lavoro non è solo urgente, è fondamentale per la crescita del Paese.
Purtroppo, ancora oggi dobbiamo registrare che le nostre imprese non trovano le competenze che servono: si stima che manchino quasi 260mila lavoratori.
Proprio sul versante del capitale umano, rilanciamo l’esigenza di agire su quattro fondamentali assi d’intervento:
- demografia e politiche per la famiglia;
- cura delle competenze;
- valenza erga omnes della contrattazione collettiva realmente rappresentativa;
- programmazione di adeguati flussi di lavoratori immigrati.
Servono politiche mirate per far crescere il tasso di occupazione dei giovani e delle donne.
Quanto alla partecipazione giovanile al mercato del lavoro, il distacco tra Italia ed Europa supera i 15 punti percentuali.
La partecipazione femminile è al di sotto della media UE di quasi 11 punti percentuali.
Più donne occupate, più giovani occupati: è necessario ed urgente, sia per l’economia reale che per la democrazia sostanziale.
È intollerabile lasciare in panchina la parte migliore e più innovativa della nostra forza lavoro!
Il contributo giovanile e femminile al PIL permetterebbe di contrastare le tante fragilità che l’Italia sconta quando si parla di crescita.
La finanza pubblica resta un problema strutturale per il nostro Paese a causa dell’elevato debito pubblico.
La nostra richiesta alle istituzioni è chiara: serve dare impulso alla crescita e serve continuità nella gestione responsabile della finanza pubblica.
A questo si lega l’intenzione manifestata dal nostro Governo di richiedere alla Commissione europea maggiore flessibilità per la revisione del PNRR, per l’utilizzo dei fondi della politica di coesione e di quelli del Piano sociale per il clima.
Servono, però, azioni ben calibrate, che mettano al centro il terziario di mercato: perché le nostre imprese, negli ultimi 30 anni, hanno creato 3,8 milioni di occupati.
Le nostre imprese hanno creato tutta la nuova occupazione del Paese!
E allora, tutte le politiche – da Transizione 5.0 a Impresa 4.0, dai contratti di sviluppo al Programma nazionale per giovani – tutto dovrebbe essere a misura di terziario di mercato.
Sul versante fiscale occorrono politiche che aiutino l’adempimento, il contrasto e il recupero di evasione ed elusione, nonché un’equilibrata tassazione dell’economia digitale.
Tutto questo sarà in grado di sostenere la stessa riforma dell’IRPEF.
C’è la necessità, infatti, di ridurre le tasse su chi crea ricchezza, benessere e buona occupazione.
C’è la necessità di rendere strutturali la maggiorazione del costo del lavoro ai fini IRPEF ed IRES, nonché la cosiddetta “IRES premiale” per le imprese che investono in innovazione e creano nuova occupazione.
Un analogo meccanismo andrebbe previsto ai fini IRPEF per gli imprenditori individuali e le società di persone.
Bisogna, poi, avanzare nel processo di superamento dell’IRAP.
Sul versante del credito, dal dicembre 2011 al dicembre 2024, l’Italia – diversamente da altri Paesi – ha registrato una costante contrazione dei prestiti alle imprese.
Un dato su tutti: -42% per le imprese con meno di 20 addetti.
Un dato che conferma l’esigenza che le aggregazioni bancarie siano, come ha osservato il Governatore Panetta, “ben concepite e volte unicamente alla creazione di valore”. Valore, aggiungo io, per le imprese, per le famiglie e per i territori!
Le garanzie pubbliche hanno avuto un ruolo solo parziale nel contrastare la riduzione del credito alle imprese.
Vanno indirizzate ancor di più nei confronti delle imprese meritevoli, ma con difficoltà di accesso al credito. Ciò è possibile anche a spesa invariata.
E va sempre più coinvolto il sistema dei Consorzi Fidi, che migliorano il rapporto tra credito e imprese.
Resta il tema del Mezzogiorno.
Mai come qui le risorse vanno spese presto e bene.
C’è un’occasione irripetibile che non può essere sprecata e si chiama PNRR.
La quota di stanziamenti destinata al Mezzogiorno è ragguardevole e si aggiunge agli altri fondi strutturali.
Rafforzare la capacità competitiva dell’economia meridionale è un vantaggio per l’intero Paese!
Rafforzare la capacità competitiva e la creazione di buona occupazione costituisce un contributo essenziale anche in tema di legalità e sicurezza.
Legalità e sicurezza – in tutto il nostro Paese – rappresentano le condizioni fondative per la crescita del capitale sociale.
Siamo al fianco delle Istituzioni e delle Forze dell’Ordine per il contrasto alla criminalità organizzata e per la promozione di una sempre più robusta e diffusa cultura della legalità.
Cultura necessaria per superare “rassegnazione e indifferenza, alleate dei violenti e sopraffattori”, come ha ricordato il Presidente Mattarella.
In tema di infrastrutture, preoccupano i “dazi marittimo-portuali” che finirebbero per indebolire l’economia del mare, vero asset strategico italiano ed europeo.
L’ambiziosa sfida della transizione ecologica va perseguita con un approccio tecnologicamente neutrale, capace di valorizzare anche le eccellenze nazionali dei biocarburanti e del biogas.
Occorre, invece, evitare di introdurre nuovi vincoli all’acquisto di mezzi di trasporto a zero emissioni per le imprese e riconsiderare la tassazione delle auto aziendali.
Auspichiamo un definitivo superamento dei divieti di circolazione lungo l’asse del Brennero, attraverso una sentenza della Corte di Giustizia Europea. In ogni caso, occorre continuare ad assegnare valenza prioritaria alla questione della permeabilità della barriera alpina.
Trasporti, logistica e accessibilità abilitano l’economia dei flussi; mentre commercio e servizi di prossimità rafforzano i luoghi.
A questo proposito, chiediamo di mettere mano ad un’agenda urbana nazionale che riconosca il ruolo insostituibile delle attività economiche di prossimità.
Reagire al rischio della desertificazione commerciale è necessario e possibile: va livellato il campo da gioco, e vanno assicurate regole chiare e stabili.
Penso, ad esempio, al commercio su area pubblica che attende da tempo la definizione delle linee guida per il rilascio delle concessioni in scadenza.
Il Ministro Urso lo sa bene: l’incertezza rende impossibili gli investimenti e senza investimenti ormai le imprese, anche le più piccole e tradizionali, non hanno possibilità di rimanere sul mercato.
Così come per i nostri balneari, per i quali regole condivise e giusti indennizzi sono decisivi per riconoscere la qualità del lavoro e degli investimenti di generazioni di imprese familiari, una ferita ancora aperta.
Stesso mercato, stesse regole: fiscali o amministrative che esse siano.
Anche in riferimento alla predisposizione della Legge di bilancio per il prossimo anno, chiediamo che si definiscano adeguati stanziamenti a supporto delle scelte di Comuni ed enti locali per il contrasto alla desertificazione commerciale.
Senza il suo straordinario, diversificato e diffuso tessuto commerciale e della ristorazione, il nostro Paese non sarebbe quell’Italia delle “piazze”, un unicum straordinario, scelto ogni giorno dai turisti di tutto il mondo.
La bilancia dei pagamenti del nostro settore turistico presenta un attivo di 27,5 miliardi di euro, una quota estremamente rilevante del saldo complessivo con l’estero.
Certo, il turismo italiano ha conseguito, nel 2024, il record di sempre in termini di presenze.
Ma i primi mesi di quest’anno fanno emergere segnali di affaticamento.
Inoltre, mentre le presenze degli italiani in Italia non sono ancora tornate ai livelli del 2019, gli stranieri sono cresciuti di quasi il 20% in questi anni.
Il mondo chiede, desidera, vuole Italia.
Agevoliamo e gestiamo questa domanda.
Tenendo presente che le guerre commerciali e l’apprezzamento dell’euro, potrebbero incidere negativamente.
Insomma, non possiamo cullarci sulla dimensione quantitativa dei record. Bisogna costruire qualità nei servizi di mercato, a partire da quelli turistici.
E anche qui c’è un tema di regole. Pensiamo solo all’invasione degli affitti brevi, che fanno concorrenza sleale alle nostre imprese alberghiere e squilibrano la vivibilità dei nostri centri storici.
Una ragione in più per sostenere uno sviluppo della filiera turistica regolato, innovativo, sostenibile e duraturo.
Io credo che sia venuto il tempo per organizzare una sorta di Stati Generali del Terziario di mercato a livello europeo, partendo proprio da un settore strategico come il turismo. L’Europa è infatti la dimensione naturale di un turismo mondiale che ci percepisce come un unico luogo da visitare.
Connesso al turismo, c’è certamente il tema della cultura come vantaggio competitivo identitario del Paese, leva di attrattività e crescita, capace di stimolare anche la domanda interna.
Sostenere i consumi culturali e dare pieno riconoscimento alle imprese culturali e creative può contribuire a rafforzare l’offerta economica dei nostri territori e delle nostre città.
Città, territori e comunità.
Ormai lo ripetiamo da tempo: ci sentiamo la rappresentanza economica delle città e dei territori.
Ed è per questo che diventa per noi fondamentale il rapporto con le istituzioni locali. A partire dalla partecipazione alla governance delle Camere di commercio, istituzioni delle imprese e per le imprese.
Città, territori, comunità.
La nostra è una rappresentanza a misura di imprese, di imprenditori che creano buona occupazione.
Per noi, ancora e sempre, le persone sono al centro.
Ecco perché il welfare, asse dei nostri contratti collettivi, è al centro della nostra azione, dalla previdenza integrativa alla sanità complementare.
Confcommercio, da ottant’anni interpreta il ruolo di grande corpo intermedio, consapevole di rappresentare un modello di vita e di lavoro che dà forma alle nostre città e alle qualità del vivere comune.
Ci sentiamo parte responsabile del “bene comune”, costruttori di comunità, tassello indispensabile della storia del Paese.
Della sua storia, e anche del suo futuro.
Questo è l’impegno che prendiamo per i prossimi 80 anni della Confcommercio.
Un impegno di responsabilità e fiducia, coraggio e generosità che si traduce nel nostro essere la Confcommercio.
Una grande Organizzazione storica.
Storica perché, con le nostre battaglie, le nostre idee, le nostre persone abbiamo incrociato la storia economica e sociale del Paese.
Storica perché siamo fatti di storie che, insieme, fanno la storia.
Storica perché vogliamo lasciare un segno nella storia del Paese.
Questa è l’ambizione. Questo è l’impegno.
Questo è il nostro sogno.
Siamo, sempre, e per sempre, la Confcommercio.
Viva la Confcommercio, viva l’Italia!