Burocrazia: l'Italia del tempo perso

Burocrazia: l'Italia del tempo perso

Intervento del Presidente Carlo Sangalli al convegno di Rete Imprese Italia

DateFormat

13 dicembre 2017

Cari Amici, Colleghi e Autorità, buongiorno e benvenuti.

Insieme ai colleghi presidenti Patrizia De Luise di Confesercenti, Giacomo Basso di Casartigiani, Giorgio Merletti di Confartigianato e Daniele Vaccarino di Cna saluto e ringrazio tutti i partecipanti a questa iniziativa di Rete Imprese Italia sul tema della burocrazia e della semplificazione.

Un saluto ai relatori Francesco Caio, Alfonso Celotto, Serena Sileoni, Stefano Battini e, in particolare, a Ernesto Maria Ruffini, Direttore dell'Agenzia delle Entrate. E un grazie sentito al Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, per aver accolto il nostro invito a chiudere i lavori di questo incontro.

Il suo è un ministero difficile con sfide complesse, che però sono anche le nostre sfide, per rendere le imprese più produttive.

E lo dico fin da subito: questa non è la giornata della lamentela sulla burocrazia, non è il cahier de doléances di Rete Imprese Italia.

Questo è per noi un momento di contributo, di analisi, di proposta, attraverso il quale testimoniamo la nostra disponibilità ad aiutare la pubblica amministrazione a migliorarsi e migliorare la vita delle imprese e dei cittadini. Per un'Italia più produttiva.

Oggi la ripresa in Italia si è certamente rafforzata tanto sul versante del Pil quanto su quello dell'occupazione.

Ma è una ripresa che, purtroppo, resta ancora lenta e parziale.

I consumi delle famiglie non mostrano infatti quell'accelerazione necessaria a portare il ritmo di crescita del Pil attorno al 2%, un obiettivo indispensabile per ridurre rapidamente la disoccupazione e l'area, troppo vasta, drammaticamente vasta, della povertà assoluta.

Questa debolezza sembra confermata dal calo del clima di fiducia registrato a novembre.

Insomma, siamo solo al primo tempo di una partita che è ancora lunga da giocare.

Una partita che non si può vincere se non si risolvono i difetti strutturali della nostra economia – mi riferisco, in particolare, al deficit di infrastrutture e all'eccesso di burocrazia e di pressione fiscale - che penalizzano le imprese e che frenano la competitività e la crescita del Paese.

In questo scenario, con la legge di Bilancio il Governo ha mantenuto fede alle promesse sulla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, impedendo l'aumento dell'Iva.

Ma il provvedimento, anche se prosegue lungo il sentiero di riduzione della spesa pubblica improduttiva e nella giusta direzione della politica fiscale distensiva, dovrebbe sostenere con più forza le imprese in una fase di convalescenza dopo anni di crisi.

E mi riferisco, in particolare, al rinvio dell'Iri che comporterà la mancata riduzione della pressione fiscale per moltissime imprese, alla mancata deducibilità totale dell'Imu sugli immobili strumentali e alla mancata approvazione del riporto delle perdite per gli oltre 2 milioni di imprese che adottano il regime di cassa.

Confidiamo, pertanto, che alla Camera si trovino i margini per poter inserire le opportune modifiche.

Insomma, nella manovra sarebbero, secondo noi, serviti più coraggio e determinazione soprattutto nella riduzione della pressione fiscale su imprese e famiglie.

Ma c'è un'altra riduzione con la quale il nostro Paese deve fare i conti: quella degli oneri dovuti alla cattiva burocrazia, il tema di oggi appunto.

E cos'è la cattiva burocrazia.

La cattiva burocrazia è quella che infligge perdite di tempo e di preziose risorse non compensate da una maggiore sicurezza e trasparenza del mercato.

E' cattiva burocrazia:

  • un sistema di regole sempre più complesso;
  • prassi legislative statali che ormai privilegiano l'utilizzo della decretazione d'urgenza;
  • un sistema di controlli in cui operano così tanti attori da rendere quasi impossibile la prevedibilità dell'esito.

E, guardate, la complicazione costa. E molto.

Nell'analisi illustrata poco fa da Mariano Bella abbiamo visto come gli adempimenti burocratici per le micro e piccolissime imprese si traducano, tra costi diretti e tempo perso, in un onere annuo che, mediamente, arriva a pesare fino a quasi il 40% dei profitti lordi per un valore complessivo medio di 33 miliardi di euro.

Bisogna riconoscere che se i tempi medi di pagamento si sono sensibilmente ridotti negli ultimi anni, restano comunque eccedenti rispetto agli obiettivi previsti e concordati nelle sedi internazionali.

Bisogna ridurli ancora e subito: non solo per metterci al pari con l'Europa, quanto piuttosto per il bene del nostro Paese e delle nostre imprese.

In altri termini, dovrebbero essere rese finalmente operative le norme, contenute nello Statuto delle Imprese, di attuazione dello Small Business Act europeo, tese a realizzare il "Think Small First".

Su questo fronte la legislatura che volge al termine ha registrato qualche novità che fa ben sperare.

Apprezziamo, infatti, molti dei provvedimenti legati alla riforma della ministra Madia riuniti nell'Agenda per le semplificazioni.

Penso, in particolare, alla definizione dei regimi applicabili alle attività d'impresa e alla standardizzazione della modulistica.

Lo riconosciamo noi e lo riconoscono gli imprenditori.

Ma una cosa è riconoscere l'impegno del governo, ben altra è toccarne con mano, nella quotidianità della vita aziendale, i risultati.

Bisogna semplificare.

Semplificare vuol dire evitare di introdurre nuovi oneri, non previsti dalle normative comunitarie.

Semplificare significa rendere più efficiente il sistema dei controlli.

E da questo punto di vista noi ci permettiamo di avanzare una proposta se volete semplice, ma che crediamo efficace: proseguire, accelerare il percorso di una sempre maggiore digitalizzazione fino ad arrivare, al più presto, al totale azzeramento dell'obbligo di tenere la documentazione cartacea nei rapporti tra amministrazioni ed imprese.

In una formula: meno carta e meno procedure; più, e migliore, digitale e più semplificazione.

Semplificare è un'esigenza generale, non solo delle imprese, se è vero che il 52% della popolazione, come rilevato dall'ultimo rapporto del Censis, giudica negativamente l'operato della P.A..

Concludo.

In un articolo di qualche giorno fa, Massimo Gramellini raccontava dei provvidenziali effetti sulla viabilità in un incrocio di Napoli, grazie allo spegnimento dei semafori, come metafora per ridurre "l'ingorgo esistenziale" causato dalla continua aggiunta di nuove regole alle vecchie regole.

Ecco, certamente noi non vogliamo spegnere il semaforo della burocrazia.

Ma vogliamo uscire dall'ingorgo esistenziale e materiale che i nostri imprenditori incontrano nel rapporto con la pubblica amministrazione, nazionale e locale, e che spiega perfettamente il loro senso di diffidenza, quando va bene, e quello di smarrimento e impotenza, quando va male.

Cari amici, cari colleghi, cara Ministra, abbiamo sempre sostenuto, e continuiamo a farlo, che la fiducia è uno degli elementi chiave per far crescere l'economia e l'occupazione. E un buon clima di fiducia si irrobustisce favorendo, semplificando, agevolando, l'attività imprenditoriale.

Abbiamo bisogno di buona burocrazia che, qualche volta, significa anche meno burocrazia.

Grazie a tutti.

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca