Intervento del Presidente Sangalli al convegno: Tagliamo le tasse, non tassiamo la crescita"

Intervento del Presidente Sangalli al convegno: Tagliamo le tasse, non tassiamo la crescita"

29 luglio 2014

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29 luglio 2014

 

Intervento del Presidente

Carlo Sangalli

 

 

Roma, 29 luglio 2014

 

 

Cari Amici,

 

innanzitutto desidero ringraziare calorosamente il Direttore dell'Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, il capogruppo di Fi alla Camera, l'onorevole Renato Brunetta, il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, e il Professor Raffaello Lupi per aver accolto l'invito a portare il loro contributo a questo nostro appuntamento annuale sul fisco.

E ringrazio particolarmente il Vice Ministro dell'Economia e delle Finanze, Enrico Morando, cui è affidato l'intervento conclusivo di questa giornata.

La stagione difficilissima, che speravamo si esaurisse nell'anno in corso, purtroppo prosegue e la ripresa è ancora fragile e incerta, come confermato peraltro da molti indicatori: Pil col segno meno nel primo trimestre, consumi delle famiglie tornati sotto i valori del 1993, calo degli investimenti, imprese che continuano a chiudere – nei primi cinque mesi dell'anno nel terziario per ogni nuova impresa ce ne sono due che hanno cessato l'attività – per finire con l'inaspettata e consistente contrazione della produzione industriale in maggio. E in questo scenario, purtroppo, il capitale fiduciario delle famiglie, che pur resiste e rimane molto alto, non si è trasferito sui consumi che, infatti, sono ancora desolatamente al palo. Ecco perché, anche se nella giusta direzione, le misure varate dal governo, e mi riferisco in particolare al bonus Irpef di 80 euro, per il momento non hanno sbloccato la prudenza delle famiglie e di fatto dato un impulso tangibile, una scossa ai consumi. Le famiglie continuano a rimandare gli acquisti a tempi migliori, in situazioni di maggior certezza.

E per liberare davvero le ingenti risorse necessarie per fare ripartire l'economia, bisogna realizzare subito quella poderosa operazione che da tempo indichiamo: meno tasse e meno spesa pubblica, più riforme e più lavoro.

Tagliare le tasse, per favorire la crescita. Questo è il passaggio ineludibile, questa è la premessa a qualsiasi azione che possa ricostituire il potere di acquisto delle famiglie, e che possa essere una concreta spinta alla domanda interna.

La propensione al consumo è pericolosamente calante. La domanda per investimenti continuerà a ridursi fintanto che le imprese non sentiranno forte lo stimolo proveniente dal mercato interno, essendo ormai dimostrato che gli ordini dall'estero non bastano per cambiare le aspettative di produzione e redditività.

Deve essere chiaro a tutti che questo livello di pressione fiscale è, di fatto, incompatibile con qualsiasi concreta prospettiva di ripresa economica. Pressione fiscale che negli ultimi anni è cresciuta costantemente e ha creato, a livello locale, dei veri e propri ingorghi fiscali. E mi riferisco al mix esplosivo Imu-Tasi-Tari che ha disorientato le famiglie e complicato la già difficile attività di gestione delle imprese del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti.

E il dato di oggi sulla pressione fiscale legale, ci consegna ancora una volta un triste primato. Al netto del sommerso economico, siamo in cima, con il 53,2%, nella graduatoria mondiale per la pressione fiscale su ogni euro prodotto e dichiarato.

Tenere i conti pubblici in ordine è stata e deve rimanere una priorità ma questo non può più, in alcun modo, soprattutto in questo momento, impedire, ostacolare o rallentare quel percorso di robusta crescita che è l'unico rimedio possibile per rispondere alle emergenze economiche e sociali del Paese. Perché se non cresciamo, non solo i problemi non si risolvono, ma si acuiscono. E non si può escludere  che a ottobre, per questi motivi, sarà necessaria, come taluni già sostengono, una manovra correttiva.

E' meglio una scomoda verità subito che un lento stillicidio di confuse illazioni che deprimono le aspettative di famiglie e imprese. E, per favore, abbandoniamo l'idea di nuove tasse e di ulteriori eventuali prelievi: le tasse sono oggi la mortificazione della crescita. Le performance del 2014 sono compromesse: non distruggiamo le basi per la ripresa nel 2015.

Tutti i Paesi europei crescono poco, ma l'Italia è ferma.

Perché dal 1996 al 2013 quei Paesi che hanno ridotto maggiormente i tributi hanno anche registrato i maggiori tassi di crescita: se, per esempio, Germania e Svezia, dentro e fuori dall'euro, hanno ridotto dal 2000 a oggi, del 6 e del 14% la pressione fiscale e sono cresciute del 15 e del 21%, non è un caso. Come non è un caso che a fronte di un incremento del 5% del carico fiscale, l'Italia sia rimasta schiacciata da una riduzione di Pil pro capite reale del 7%.

Riqualificare e ridurre la spesa pubblica, recuperare gettito – e restituirlo ai contribuenti in regola - con la lotta all'evasione e all'elusione: sono queste le due leve per intraprendere un percorso certo, graduale e sostenibile di riduzione della pressione fiscale.

Questa richiesta ha trovato conforto anche nelle parole del Ministro Padoan, a conferma che la ricetta è l'unica possibile.

Quanto all'evasione, ricordo che in Italia questo fenomeno – che attraversa trasversalmente tutti i settori economici e tutta la società - sottrae all'Erario una quantità enorme di gettito ed aggrava il prelievo sui contribuenti onesti; genera condizioni di concorrenza sleale tra le imprese; distorce le scelte economiche degli operatori; crea inefficienze nel sistema produttivo. Si tratta, quindi, di una vera e propria piaga sociale del nostro Paese che mina quel patto di cittadinanza tra Stato e cittadini e agisce contro la crescita e lo sviluppo.

Oggi gli strumenti necessari per contrastare efficacemente questo fenomeno non mancano di certo; anzi, sono stati rafforzati se è vero - come ha dichiarato l'Agenzia delle Entrate - che le maggiori risorse incassate nel 2013 derivanti dalla lotta all'evasione sono state pari a 13,1 miliardi di euro. Ed al riguardo, è positivo che il Governo si sia posto come obiettivo di conseguire nel 2015 almeno 15 miliardi di maggiori entrate dal contrasto all'evasione.

 

Si proceda, dunque, con decisione in questa "mission", a condizione, però, che l'agibilità effettiva del contraddittorio con l'Amministrazione finanziaria sia sempre garantita e l'azione di controllo sia selettiva e mirata per non danneggiare l'attività stessa delle imprese, già appesantita dagli effetti drammatici e persistenti della recessione, e da una burocrazia barocca.

Premiare i comportamenti leali e collaborativi dei contribuenti, quindi, significa innanzitutto consolidare la compliance (adempimento spontaneo) che è e rimane obiettivo prioritario di quel rapporto sano, moderno e civile tra Pubblica Amministrazione, cittadini e imprese.

Purtroppo in qualche caso questo non avviene e la sensazione dei piccoli come dei grandi imprenditori è di subire, talvolta, un inspiegabile accanimento a fronte di comportamenti corretti. 

Allargare la platea dei contribuenti con la promessa, con la certezza che ogni centesimo derivante dalla lotta all'evasione sia destinato totalmente e immediatamente alla riduzione delle tasse su imprese e lavoratori deve essere un imperativo categorico.

Sappiamo bene che nella realtà non c'è mai stato un sistema fiscale perfetto. Ma quello che da troppo tempo ha preso forma in Italia è inconcepibile, cioè sembra fatto contro il contribuente. Un sistema fiscale per cui le tasse si pagano tre volte: prima come imposte, poi come burocrazia, infine come incertezza.

Ed emblematica di un sistema fiscale sbagliato è stata l'introduzione dal 2014 della IUC - la nuova "imposta unica comunale", nelle sue tre componenti IMU-TASI-TARI – che non ha proprio nulla di quei tanto decantati principi di semplificazione e di riduzione delle tasse.

In un articolo pubblicato sulle pagine del "Corriere della Sera" nel marzo del 1922, dal titolo "Semplificare e ridurre", Luigi Einaudi scriveva: "Il peggio è la mancanza di coordinazione fra imposta ed imposta, fra imposta e sovrimposta.

Ognuna fa da sé ed ognuna punta verso l'alto, senza preoccuparsi se la somma non diventi assurda (…). Bisogna farla finita a ogni costo con il brutto vezzo di creare imposte dalle denominazioni più stravaganti e a beneficio degli enti più inverosimili.

Le imposte debbono essere poche, semplici, senza addizionali, senza imbrogli".

Era il 1922. Vi chiedo e mi chiedo quanto è cambiato.

E' indispensabile, pertanto, che il governo metta al primo posto della sua agenda quella che è una vera questione di civiltà: far pagare le tasse ai cittadini e alle imprese in modo giusto, equo e semplice.

Ma non siamo proprio al 1922. Qualche passo avanti lo abbiamo fatto, anche di recente, con l'approvazione della legge delega di riforma fiscale.

La sua applicazione, tramite i decreti attuativi che il governo sta emanando, darà sicuramente maggiore certezza del diritto, semplificherà, riducendoli, gli adempimenti a carico dei contribuenti, migliorerà i rapporti fisco-cittadini.

Tutto bene, ovviamente, ma questo non basta se non è accompagnato da ulteriori e più incisivi interventi. Non basta un "pit-stop", una manutenzione ordinaria. Serve un vero e proprio "tagliando" approfondito per ridurre la pressione fiscale nel nostro Paese.

Il nostro contributo non è limitato all'analisi: vuole essere anche, in questo appuntamento annuale, un contributo di proposta.

E le nostre proposte, in sintesi, sono:

 

-     revisione dell'attuale struttura dell'Irpef riducendo le aliquote di imposta per imprese e lavoratori;

-     deducibilità totale dell'IMU sugli immobili delle imprese, come negozi e alberghi;

-     esclusione degli immobili strumentali dalla Tasi;

-     revisione della Tari, in base al principio del "chi inquina paga".

 

Mi avvio alla conclusione. Con i dati forniti dall'ufficio Studi e con queste brevi considerazioni spero e credo di aver fornito una chiave di lettura corretta e credibile: abbassare le tasse è possibile, è utile, ed è una via praticabile perché in tutti i Paesi d'Europa in cui si sono tagliate le tasse è cresciuto il Pil. Allora il governo faccia in modo che la riforma fiscale proceda speditamente, varando al più presto i decreti attuativi e soprattutto, tutti i proventi derivanti dal taglio della spesa pubblica e dalla lotta all'evasione finiscano nel fondo taglia tasse.

Tagliare, dunque, le tasse per favorire la crescita economica.

Perché questa è la migliore medicina per curare diverse malattie economiche e sociali, a cominciare dalla povertà assoluta, più che raddoppiata in Italia da quando Pil e consumi hanno cominciato una rapida, e fin qui inesorabile, discesa.

Meno tasse, più crescita: è l'unica strada percorribile anche per una maggiore equità.

E' l'unica strada per fare crescere l'occupazione.

E' l'unica strada per restituire fiducia alle nuove generazioni.

Cominciamo a percorrerla senza indugi, con il coraggio di cui certamente gli italiani e il loro Governo sono capaci.

 

Grazie  

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