Sangalli al Secolo XIX: «Questo territorio non regge se si dice solo "più chiusure"»

Sangalli al Secolo XIX: «Questo territorio non regge se si dice solo "più chiusure"»

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10 novembre 2020

Le prescrizioni vanno rispettate. Ma la risposta non può essere solo "più chiusure", perché non è sostenibile dal Paese. E troppe attività che avevano rispettato tutte le regole sono state penalizzate. In buona parte d'Italia, compresa la nostra regione che da ieri ha cambiato colore. Carlo Sangalli, il presidente di Confcommercio, lancia l'allarme.

La Liguria è diventata zona arancione. Insieme ad altre regioni ha vissuto in questi giorni un altalena sul "colore" dell'emergenza. Come ha vissuto la categoria questa situazione? Per un operatore è anche difficile organizzare il giorno per giorno.

«Siamo drammaticamente ripiombati in una nuova emergenza sanitaria che aumenta l'incertezza e mette a rischio decine di migliaia di imprese con ripercussioni gravissime sull'occupazione. La salute è bene primario ed è doverosa l'osservanza dei provvedimenti del governo. Ma va anche affrontata questa seconda fase di lockdown ad intensità variabile che sta già producendo danni irreversibili alle imprese con un costo economico e sodale ormai insostenibile, anche nella vostra regione. È vitale rafforzare e rilanciare il piano di aiuti in una logica di maggiore continuità perché queste imprese non perdano la speranza e la prospettiva di portare avanti la propria attività».

L'azione del governo si è articolata in una serie di provvedimenti che cambiano continuamente. Si era detto che le zone in cui è stata divisa l'Italia sarebbero rimaste fisse almeno per 15 giorni invece il quadro è già cambiato. Quali certezze chiede Confcommercio all'esecutivo?

«Ora più che mai è fondamentale mantenere dialogo e collaborazione stretta. Ma anche in Liguria la risposta non può essere semplicemente il "più chiusure", perché non è sostenibile da parte di un Paese messo alle strette sul terreno dell'emergenza economica e in cui la tensione sociale cresce, compresa rabbia e disperazione degli imprenditori».

 Il 2020 rischia di essere l'annus horribilis per il commercio in Italia. Qual è la situazione del settore dall'inizio dell'emergenza prima dell'estate fino ad oggi?

«Considerando i settori del commercio non alimentare, la ristorazione, il turismo, e i comparti della ricreazione e dello spettacolo, rischiano la scomparsa quasi 270 mila imprese nel 2020, numero destinato a crescere. Il fenomeno non è registrato dalle cancellazioni camerali perché anche gli imprenditori che hanno già chiuso, prima di restituire la "licenza" sperano nel miracolo di potere proseguire l'attività. Resta da spiegare, dati allarmano, come mai si è ritenuto di limitare l'esercizio di tante e troppe attività che hanno adottato i necessari e concordati protocolli di sicurezza».

I bonus messi in campo per chi è stato costretto a chiudere durante il primo lockdown sono stati insufficienti. Come giudica le risorse del decreto Ristori?

«Ancora oggi molti imprenditori non hanno ricevuto gli aiuti e i sostegni promessi e non pochi hanno anticipato la cassa integrazione per i propri dipendenti. Ecco perché occorrono ora risposte urgenti: a partire dai settori in cui l'emergenza ha picchiato e picchia in modo più duro. Servono indennizzi a fondo perduto (con dotazioni e rimborsi rafforzati) e le indennità per i lavoratori autonomi ed i professionisti, nonché la prosecuzione del credito d'imposta per le locazioni commerciali e gli affitti d'azienda. Servono moratorie fiscali più ampie ed inclusive e moratorie creditizie, nonché le risorse per le garanzie finalizzate ad agevolare l'accesso al credito. E serve la continuità degli ammortizzatori sociali».

 

Dal Secolo XIX del 10 novembre 2020

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