L'emergenza educativa (Forum Giovani Imprenditori, I edizione)

L'emergenza educativa (Forum Giovani Imprenditori, I edizione)

Palazzo "Ca' Corner", Venezia, 19 e 20 settembre 2008

DateFormat

23 settembre 2008

Programma dei lavori

19 Settembre 2008

20 Settembre 2008

Tavola rotonda: l’emergenza educativa, la risposta delle istituzioni

La registrazione audio/video del Forum su Radio Radicale

* * *

L’emergenza educativa (sintesi per la stampa)

Esistono nel nostro sistema economico-sociale barriere alla meritocrazia e questo è confermato anche da come sia ancora fortemente dominante il sistema della cooptazione; infatti, se il 91% dell’attuale classe dirigente in Italia afferma di utilizzare criteri di selezione meritocratici nella scelta dei propri collaboratori, c’è un’elevata percentuale (54%) che considera la meritocrazia come il fattore meno soddisfacente (grafico  1) e il processo di selezione adottato resta quello della conoscenza diretta o della segnalazione da parte di conoscenti (grafico  2); insomma, quasi tutti si ritengono meritocratici ma poi giudicano il sistema assai carente da questo punto di vista facendo emergere nella classe dirigente italiana un orientamento teorico e non pratico verso i principi della meritocrazia; creatività e talento sono comunque i tratti principali che contraddistinguono l’attuale classe dirigente e che si ritrovano, in particolare, nelle Pmi e nei settori dell’arte e design e in quello dei media e comunicazioni (grafico  3); sulle capacità e sui livelli di preparazione dei giovani di oggi è ancora molto forte l’influenza del contesto sociale e familiare di provenienza e si registra un forte divario nelle competenze Nord-Sud che per essere colmato richiede due anni di istruzione secondaria in più; sul versante scolastico e universitario i percorsi didattici e formativi sembrano essere rivolti più verso un modello di mercato che non c’è più – quello manifatturiero – e che comunque è destinato ad assorbire una minore percentuale di laureati rispetto ai nostri partner europei (grafico  6); elemento, questo, che mette a nudo la debolezza del sistema universitario italiano, rispetto a quello di altri paesi, che “sforna” molti più laureati di quanto il mercato stesso riesca ad assorbire evidenziando la difficoltà del nostro sistema a spostarsi, ad evolversi verso un’economia post-industriale; il problema, quindi, sta nel giusto bilanciamento tra quantità (quanti anni studiamo) e qualità dell’istruzione (come studiamo) e questo è un punto fondamentale perché l’istruzione influenza la crescita dei sistemi economici in misura rilevante. Secondo le più accreditate stime econometriche, se l’Italia riuscisse ad innalzare di 3 anni gli anni medi di istruzione della popolazione, il tasso medio annuo di crescita del PIL potenziale, e quindi di quello effettivo, crescerebbe di quasi l’80%, passando dall'insoddisfacente valore di 1,3%-1,5% di oggi ad un più europeo e moderno 2,3%-2,7%.

Focalizzando l’analisi sui giovani iscritti agli ultimi due anni di università emerge un generale ottimismo per quanto riguarda le aspettative di inserimento nel mondo del lavoro entro un anno dal conseguimento della laurea (la pensa così oltre il 67% del campione) che si riduce a poco meno del 54% per coloro che ritengono che svolgeranno la professione desiderata e addirittura al 40% per chi ritiene che il lavoro che svolgerà entro un anno dalla laurea gli consentirà di fare carriera; aspettative che, in tutti e tre i casi, sono appannaggio soprattutto degli uomini e di chi si laurea nelle regioni del Nord-Ovest; per quanto riguarda il tipo di lavoro desiderato, terminata la laurea, la maggior parte dei giovani (60%) è attratta dalla sicurezza e dalla stabilità del posto fisso (in particolare donne e residenti nelle regioni del Nord-Est, del Centro e del Sud) rispetto a chi (40%) è orientato ad un lavoro autonomo (preferito soprattutto da uomini e residenti nel Nord-Ovest); una volta entrati nel mondo del lavoro, il fattore più importante risulta essere un lavoro interessante seguito dalla sicurezza del posto di lavoro, dalla possibilità di fare carriera e, infine, da un’alta remunerazione (grafico  7); potrebbe essere un’illusione – vista la larga diffusione del sistema delle “raccomandazioni” – ma è positivo il fatto che ancora oggi quasi l’80% ritiene fondamentali per entrare nel mondo del lavoro la propria forza di carattere e determinazione ma anche doti personali come creatività e scaltrezza, davanti a fattori come, in ordine di importanza, la conoscenza di una lingua straniera, le abilità e competenze tecniche personali, la qualità e il prestigio della propria formazione e, da ultime, le relazioni personali ritenute importanti solo dal 45%; ma quali sono le rinunce e i sacrifici che i giovani laureati sono disposti a fare in nome del lavoro cercato e desiderato? Spostarsi geograficamente, seppur per un breve periodo, ma anche rinviare matrimonio e figli (grafico  8); indicazione, quest’ultima, che evidenzia come l’attuale contesto sociale, al di là del sistema formativo, non permetta un adeguato bilanciamento vita-lavoro; un certo pessimismo emerge, poi, dai giudizi sul contesto politico e sociale: quasi i 2/3 del campione, infatti, non crede che l’azione dell’attuale governo possa avere risvolti positivi con riferimento al tipo di lavoro desiderato e il 61% nutre scarsa fiducia sul fatto che vivere e studiare in Italia possa favorire i progetti di vita e di lavoro dei giovani; ecco allora che tra le richieste al governo dei giovani laureandi o neolaureati (grafico  9) troviamo ai primi posti il riconoscimento del merito sia in ambito universitario che nel lavoro (73,5%), agevolazioni per i giovani che intendono farsi una famiglia e avere dei figli (70%), maggiore facilità per l’accesso al credito per pagare il mutuo o gli studi (67%); in ogni caso, oltre il 73% valuta positivamente gli insegnamenti ricevuti nel corso della scuola media superiore, percentuale che sale all’83,5% rispetto all’istruzione universitaria ricevuta: questi i principali risultati che emergono da una ricerca sui temi della formazione, capitale umano, talenti e classe dirigente, meritocrazia e aspettative dei giovani realizzata da Confcommercio in collaborazione con Format ricerche di mercato, Istituto Piepoli e con gli esperti del mondo accademico Giorgio Casoni (Politecnico di Milano) e Paolo Polidori (Università di Urbino).

Un anno aggiuntivo di istruzione medio stimola la crescita economica nel lungo periodo di circa 0,72 punti base.

Se l’Italia riuscisse ad innalzare di 3 anni gli anni medi di istruzione della popolazione, il tasso medio annuo di crescita del PIL passerebbe dal valore attuale di 1,3%-1,5% ad un 2,3%-2,7%. 

* * *

Intervento di Paolo Galimberti, Presidente dei Giovani Imprenditori Confcommercio alla Conferenza stampa di apertura

Buongiorno, e grazie a tutti di essere intervenuti a questa conferenza stampa di apertura del primo Workshop “L’emergenza educativa”, organizzato dai Giovani Imprenditori di Confcommercio in collaborazione con Ambrosetti. 

Il  Gruppo Nazionale Giovani Imprenditori Confcommercio, istituito nel 1988,  compie 20 anni.  Siamo quindi un gruppo costituito da giovani (under 40) e con obiettivi chiari e condivisi come la crescita professionale degli associati e la diffusione di una nuova cultura d’impresa.

Una cultura d’impresa che privilegi competenze e professionalità, meritocrazia e talento: esattamente l’oggetto delle ricerche che vi sono state appena presentate e dei temi che saranno dibattuti nel corso del workshop “L’emergenza educativa”, perché siamo consapevoli che la nostra economia ha bisogno di un sistema educativo migliore, quantitativamente e qualitativamente.

Le valutazioni che abbiamo ascoltato fotografano un sistema scolastico che sembra progressivamente “peggiorare” - in termini di investimenti, di selezione, di performance degli studenti.

E questo non possiamo permettercelo, non può permetterselo la nostra società, la nostra economia.

I risultati delle ricerche d’altronde parlano chiaro: c’è una correlazione fra quantità e qualità di istruzione da una parte e incremento del Pil dall’altra, e questo perché solo innalzando il livello di istruzione si possono incrementare le professionalità necessarie ad aumentare la produttività e di conseguenza favorire la crescita economica.

Perché la competitività si misura non solo dalla “quantità” di innovazione immessa in un prodotto, ma soprattutto, in un’economia sempre più terziarizzata, dalla qualità dell’innovazione nei processi.

C’è, quindi, un obiettivo generale da raggiungere, quello della crescita economica. Le previsioni dei più importanti analisti del mercato parano di un inizio di ripresa degli investimenti solo a partire dagli ultimi mesi del 2009. Inutile ricordarvi che siamo entrati in un periodo di  recessione. I consumi hanno registrato una flessione per il terzo trimestre consecutivo e la prospettiva di chiusura per il 2008 confermerà il trend attuale. Questo di per se, già sarebbe un motivo sufficiente per occuparsi - vedremo come nel corso delle diverse sessioni - del problema educativo. Ma ci sono altri motivi, altrettanto validi, per farlo.

Le ricerche e i  sondaggi  ci consegnano una fotografia in chiaroscuro di quella fetta di popolazione giovanile che ha avuto la possibilità di perfezionare il proprio ciclo di studi: speranze ed ottimismo ma anche tanta preoccupazione e soprattutto una richiesta quasi strillata al governo per interventi ed azioni che favoriscano il merito e la capacità  di intraprendenze individuali. In una battuta mi verrebbe da dire “fate largo ai bravi”. Queste richieste sembrano essere condivise sulla carta anche dalla attuale classe dirigente rappresentata dagli opinion leaders intervistati, ma sconfessati poi dai risultati della indagine. Infatti emerge una debolezza strutturale del sistema nel suo complesso che di fatto non sembra favorire “i migliori”, con strumenti di selezione che vedono il ricorso a società specializzate solo nel 28% dei casi, una percentuale inferiore rispetto a chi preferisce utilizzare l’antico sistema del “passaparola”, ossia la “segnalazione da parte di conoscenti”.

La ricerca dimostra infatti che al Sud ed al Centro si ritiene ancora che uno degli aspetti più importanti per trovare lavoro sia il “sapersi arrangiare ed adattare” piuttosto che investire sulla vera preparazione, la quale non viene premiata visti i meccanismi di corporativismo ancora presenti in moltissime realtà.

Non voglio parlare di raccomandazioni, perché per chi come me fa l’imprenditore e conosce le difficoltà di fare impresa e di far crescere un’impresa,  non è pensabile, specialmente in una piccola e media realtà,  affidare posti di responsabilità a chi può vantare come unica voce del curriculum vitae una conoscenza influente.

Non è conveniente per noi, non è gratificante per il giovane, è dannoso per l’economia.

Non è un caso d’altronde che gli opinion leader, nel 65% delle risposte, mettano in cima alla graduatoria le piccole e medie imprese quali realtà ove è maggiormente presente una classe dirigente creativa e di talento.

Le imprese diffuse sul territorio, e quelle dei servizi in particolare, sono e saranno sempre di più il motore dell’economia. Tanto più le nuove generazioni saranno preparate e capaci e immetteranno linfa vitale nel sistema produttivo italiano tanto più il nostro Paese potrà diventare competitivo.

La richiesta quindi che rivolgo ai rappresentanti del governo, delle forze sociali, delle imprese, delle Università che interverranno al nostro Forum è quella di lavorare insieme, per individuare e perseguire le azioni che possano realizzare l’obiettivo di fondo della strategia di Lisbona, cioè quello di far divenire l’Europa, e in essa aggiungo io, l’Italia, “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”.

Infatti il ciclo triennale 2008 – 2010, avviato dal Consiglio Europeo la scorsa primavera, sarà imperniato sul rafforzamento delle politiche inerenti la conoscenza e l’innovazione, il potenziale delle PMI, l’occupazione e le strategie energetiche per l’Europa.

Noi, come giovani imprenditori, grazie alla spiccata curiosità e al forte spirito di innovazione orientato alla risoluzione dei problemi e alla ricerca dell’eccellenza, la nostra parte  la stiamo già facendo tutti i giorni superando le difficoltà di un’economia che è ferma da molto tempo, di una competizione sempre più forte tra imprese, e tra sistemi di imprese, una pressione fiscale che per il momento non scende e una burocrazia che continua a pesare sui tempi e sui costi di gestione.

Pensiamo dunque che si possa e si debba, per il bene comune, sfruttare le nuove energie dei giovani, per garantire al  nostro sistema - economico, sociale politico - un ricambio generazionale in linea con i tempi.

Chiediamo, insomma, che le nuove generazioni possano avere “pari opportunità” rispetto ai coetanei degli altri Paesi - in termini di istruzione, di accesso al mercato del lavoro, di valorizzazione delle capacità imprenditoriali – per poter competere  ad armi pari.

E per fare questo, quattro sono gli obiettivi prioritari da perseguire: qualificare il sistema dell’istruzione allineandolo agli standard europei;  “ripensare” la formazione superiore che oggi ancora soffre di un’impostazione legata a modelli “industriali” ormai sorpassati; eliminare le barriere al sistema meritocratico che ingessano il mercato del lavoro e infine favorire politiche attive che supportino e accompagnino la nascita e il consolidamento di nuove imprese con un sistema di tutoraggio  e di accompagnamento, anche con il coinvolgimento delle Università.

 

Grazie.

* * *

Intervento conclusivo di Paolo Galimberti, Presidente dei Giovani Imprenditori Confcommercio

Il sasso che abbiamo lanciato nello stagno con questo workshop dedicato all’emergenza educativa sembra aver mosso le acque ed il dibattito che si è svolto in questi giorni è stato ricco di spunti e di approfondimenti.

Fra i tanti elementi emersi credo che uno sia lo snodo sul quale soffermarci e che deve essere posto all’attenzione delle Istituzioni: la riforma del sistema scolastico/professionale deve ridurre, fino ad eliminarlo, quel divario, ancora troppo marcato, fra la formazione acquisita dai giovani attraverso l’iter scolastico e la loro futura collocazione nel mondo del lavoro.

Un mondo del lavoro e delle imprese in continua e vertiginosa evoluzione, che richiede professionalità e competenze duttili e versatili, capacità di adattamento ai cambiamenti, una cultura di base a 360 gradi e una mentalità aperta all’innovazione.

Insomma, una forma mentis che consenta alle nuove generazioni di poter trovare adeguato riconoscimento nella società migliorando anche il proprio livello di partenza.

E questo non è soltanto un obiettivo ambizioso di una società che vuole crescere di più e meglio, ma è un impegno morale di cui tutti dobbiamo farci carico.

Il Ministro Meloni sa che il mondo giovanile soffre di uno smarrimento sia in termini di valori che di prospettive. E’ per questo motivo necessario riscoprire i principi etici sui quali la società deve essere fondata.

L’istruzione è dunque il primo tassello da correggere per togliere quell’impostazione autoreferenziale che ancora è presente nella scuola. Stante le attuali esigenze della società, si deve dare avvio a un nuovo progetto che faccia nascere al più presto una nuova classe dirigente di cui il paese ha assoluta necessità.

Bisogna, quindi, investire nella scuola e nell’università, in una logica di sistema che veda nelle conoscenze  che in esse si acquisiscono, non il fine, ma il mezzo per poter poi partecipare attivamente alla vita sociale ed economica.

Badate bene, quando parlo di investire in scuola e università non voglio entrare nel merito del “quanto” debba essere destinato a queste voci nel bilancio dello Stato, né imbarcarmi nella polemica sugli stipendi degli insegnanti.

Certo delle scelte vanno fatte, per far quadrare i conti, ed è certo che anche in questo settore esistono margini per una riduzione e riqualificazione significativa delle risorse.

Perché destinare il 97% del bilancio solo agli stipendi, forse, non è né prioritario né sostenibile. E penso, per esempio, alla qualità delle strutture scolastiche che in alcuni casi non sono né mantenute né modernizzate.

Investiamo quindi in idee, ripensiamo la scuola e l’università come un laboratorio di un nuovo capitale umano. Diamo alle nuove generazioni, grazie alle loro conoscenze, la possibilità di offrire alla società il proprio contributo sottoforma di talento e di capitale umano.

Ossia un bagaglio di competenze che non diventi già obsoleto ancora prima di confrontarsi con la vita reale e con il mercato, perché altrimenti continueremo a sfornare generazioni di scontenti che non riusciranno a realizzarsi e non contribuiranno a rendere questo paese più moderno, più produttivo e più ricco.

D’altronde è quello che ci viene richiesto dalle Strategie di Lisbona, che hanno come obiettivo quello di far divenire l’Europa “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”.

I ritardi dell’Italia rispetto agli obiettivi del 2010, come è stato evidenziato fino ad ora nel corso del workshop, non sono pochi, ma dobbiamo e possiamo recuperare.

Si cominci ad essere concreti; si trasformino in iniziative quei progetti quegli obiettivi specifici che sono stati messi nero su bianco nel Quadro Strategico Nazionale 2007–2013 che individua come prima priorità proprio il “miglioramento e la valorizzazione delle risorse umane”.

E’ importante affrontare questo tema in modo articolato, fornendo indicazioni e obiettivi specifici che coprono l’intero spettro delle problematiche: dall’innalzamento dei livelli di apprendimento, al contrasto dell’abbandono scolastico, ai rapporti con il territorio fino ad indicare, come quarto obiettivo – cito testualmente - “migliorare le capacità di adattamento, innovazione e competitività delle persone e degli attori economici del sistema”.

Ecco questo deve essere l’obiettivo da perseguire, ed è su questo che chiediamo risposte alle istituzioni.

Solo raggiungendo la piena consapevolezza che i giovani studenti diventeranno persone e “attori economici” qualunque sia la loro professione, imprenditori o lavoratori subordinati, si potrà ritarare un sistema educativo coerente con le aspettative del mercato del lavoro e del mondo dell’impresa.

I risultati delle ricerche d’altronde parlano chiaro: c’è una correlazione fra quantità e qualità di istruzione da una parte e incremento del Pil dall’altra, e questo perché solo innalzando il livello di istruzione si possono incrementare le professionalità necessarie ad aumentare la produttività e di conseguenza favorire la crescita economica.

Lo scollamento fra istruzione e lavoro è d’altronde purtroppo certificato.

Dall’ultimo rapporto del progetto “Excelsior” emerge che i dati del sistema informativo per l’occupazione e la formazione ci riguardano da vicino: i settori che rappresentiamo, il commercio, il turismo e i servizi, pur risentendo dei problemi di mercato, anche per il 2008 realizzeranno un incremento occupazionale pari all’1,3%, grazie anche alle piccole imprese.

E la ricerca sarà orientata sempre più a figure “high skill”, figure che in particolare per la distribuzione e il turismo sono difficilmente reperibili per l’insufficiente presenza di candidati con preparazione adeguata.

Nonostante ciò, l’università soffre di un’impostazione legata a modelli industriali ormai sorpassati tanto da sfornare giovani laureati impreparati ad inserirsi in quel mondo del lavoro di cui il terziario è l’attore principale.

Per tamponare questa situazione le soluzioni sono, attualmente, solo due: favorire l’ingresso in azienda di persone con esperienza o dedicare tempo e risorse aziendali alla formazione per colmare quel deficit educativo.

Sono queste le considerazioni da cui partire quando si affrontano le ipotesi di riforma della scuola, perché altrimenti ogni altra valutazione rischia di diventare un mero esercizio accademico che non dà risposte in linea con i cambiamenti della società e dell’economia.

Anche il Quadro Strategico Nazionale sottolinea che “i temi legati all’adattabilità, all’imprenditorialità e alla promozione di sinergie tra alta formazione, innovazione, ricerca ed impresa hanno dato risultati discontinui e necessitano di un ulteriore sviluppo”. Occorre anche favorire un contesto nel quale le imprese siano “soggetti attivi” nella progettazione e nella realizzazione di attività formative coerenti con le proprie esigenze.

Il target piccolo imprenditore dovrebbe costituire inoltre una priorità per le iniziative di formazione, da costruire con attenzione sui contenuti.

Chi vi parla è portavoce di una categoria troppo a lungo trascurata, di quei giovani che oltre a mettersi in gioco in una attività imprenditoriale sono anche disposti a portare il proprio bagaglio di esperienze e competenze a disposizione delle istituzioni.

Mi riferisco a 250.000 persone, donne e uomini, che hanno raccolto le redini dell’attività di famiglia proseguendo nell’opera dei loro genitori oppure che hanno fondato una nuova impresa; scelta questa operata da circa il 40% degli associati del Gruppo Giovani Imprenditori di Confcommercio.

Auspico che un domani, spero non troppo lontano, il “fare impresa” non sia più un percorso ad ostacoli da affrontare senza nessuna preparazione, ma possa essere una scelta serena e consapevole, meditata e coltivata durante gli anni della formazione, una scelta accompagnata ed assistita.

Auspico che le nostre imprese che già operano sul mercato, possano trovare quelle professionalità necessarie a aumentare le loro performance.

Solo se si realizzerà un circolo virtuoso fra scuola e lavoro si potrà uscire da quella “emergenza educativa” di cui siamo “costretti” a parlare oggi, e che vorremmo diventasse un retaggio solo del passato.

Solo così l’Italia potrà tornare ad essere competitiva.

Grazie.

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca