L'EVOLUZIONE DEI CONSUMI E DELLE ABITUDINI DEL CONSUMATORE

L'EVOLUZIONE DEI CONSUMI E DELLE ABITUDINI DEL CONSUMATORE

Previsioni macroeconomiche e un focus sul mercato dell'automobile

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6 dicembre 2001

Lo scenario macroeconomico

 

Il preconsuntivo dell’anno che sta per chiudersi e lo scenario tendenziale del 2002 sembra caratterizzato da un maggiore prudenza da parte delle famiglie nelle decisioni di acquisto e da valutazioni più positive sulla convenienza presente del risparmio.

Le ragioni di questa maggiore sobrietà, che ispirerebbe i comportamenti di spesa delle famiglie, sono ravvisabili in almeno due elementi:

 

·           il peggioramento del clima di fiducia dei consumatori, dopo i tragici eventi dell’11 settembre scorso;

·           il sensibile rallentamento dell’attività economica e della crescita, con i timori per la tenuta dell’occupazione.

 

Va tuttavia sottolineato che l’attuale evoluzione della situazione afghana, con una prospettiva di soluzione del conflitto in tempi piuttosto rapidi dopo la caduta di Kabul, ha indotto nella seconda metà di novembre ad un parziale recupero della fiducia dei consumatori.

Sulla media del mese, però, pesa la sensibile flessione della prima decade, che porta ad un deterioramento dell’indice rispetto al mese di ottobre, pari a circa –2,4%.

Il calo del clima di fiducia riflette non solo i timori connessi ad un probabile allargamento del teatro bellico ad altri Paesi dell’area, ma anche valutazioni ed aspettative diffusamente sfavorevoli della situazione economica generale.

Per l’Italia, infatti, il peggioramento del quadro internazionale si sta già traducendo in una brusca frenata dell’attività produttiva sia per quanto concerne le industrie manifatturiere, che hanno registrato un calo degli ordini sia interni che esteri, sia per il settore dei servizi.

Nell’ipotesi di una attenuarsi delle tensioni internazionali nei primi mesi del 2002 e con l’attuazione di politiche economiche per lo sviluppo in molti dei Paesi industrializzati, si può ritenere che nella parte finale del prossimo anno anche l’Italia comincerà a manifestare i primi concreti segnali di una inversione della tendenza.

Miglioramento che potrebbe coinvolgere essenzialmente le esportazioni, che dopo alcuni mesi di forte rallentamento potrebbero evidenziare una ripresa.

 

Quadro Macroeconomico: previsioni a confronto

(variazioni %)

 

2000

2001

2002

2003

 

 

ConfC

UE

ConfC

UE

ConfC

UE

PIL

2,9

1,9

1,8

1,5

1,3

2,3

2,7

Importazioni di beni e servizi

8,3

4,1

3,8

3,8

3,9

5,9

7,2

Consumi finali interni

2,6

1,2

n.d.

1,1

n.d.

1,7

n.d.

- Spesa delle famiglie residenti

2,9

1,3

1,6

1,1

2,0

1,9

2,7

- Spesa delle AP e delle ISP

1,7

0,8

1,2

0,9

1,6

0,9

0,9

Investimenti fissi lordi

6,1

1,8

1,6

3,2

2,7

4,5

3,8

Esportazioni di beni e servizi

10,2

5,1

3,8

3,5

1,8

5,2

6,8

 

 

 

 

 

 

 

 

INFLAZIONE

2,5

2,8

2,8

2,2

1,8

1,6

1,9

Fonte: elaborazioni e previsioni del Centro Studi CONFCOMMERCIO e della Commissione Europea.

 

Ancora molto contenuto dovrebbe risultare l’apporto allo sviluppo da parte della domanda interna in particolare per la componente relativa ai consumi delle famiglie, in conseguenza anche di un rallentamento delle dinamiche occupazionali.

Relativamente agli investimenti il quadro appare lievemente meno negativo in quanto questa componente, nonostante il contesto di riferimento presenti molti elementi di criticità, potrebbe beneficiare sia del basso costo del denaro, sia degli sgravi fiscali previsti dalla cosiddetta Tremonti bis.

Allo stato attuale la variabile che sembra evidenziare minori elementi di preoccupazione è quella relativa all’inflazione in considerazione sia del basso livello della domanda, che spinge a politiche di prezzo molto contenute, sia delle flessioni che si registrano sui mercati internazionali per le quotazioni petrolifere.

È evidente che anche in questo caso la tendenza è legata agli accadimenti bellici e alla tenuta della coalizione contro il terrorismo, in quanto se i paesi dell’OPEC, in particolare l’Arabia Saudita, decidessero di limitare notevolmente la produzione anche da questo lato potrebbero verificarsi delle tensioni.

Se già è difficile ipotizzare le linee di sviluppo del prossimo anno, in considerazione delle molteplici incognite che gravano sul quadro internazionale, è particolarmente arduo, allo stato attuale, individuare le prospettive di crescita per il nostro Paese per il 2003.

Le stime di una dinamica del PIL prossima al 2,3%, connessa sia ad una ripresa della domanda estera, che di quella interna sono derivate dalla presenza di un quadro più stabile già nei prossimi mesi, è evidente che se lo scenario dovesse subire modifiche in negativo queste previsioni potrebbero risultare decisamente «ottimistiche».

verso l’estero.

 

L’evoluzione dei consumi e delle abitudini del consumatore

Oggi il 25% dei nuclei familiari risulta composto da ultrasessantacinquenni, nel 2025 questa quota salirà al 31,2% ed infine nel 2050 al 34,5%; la spesa media mensile per consumi di una famiglia italiana si aggira intorno a 4 milioni e 200 mila lire, destinata per poco meno del 20% ai prodotti alimentari e per il restante 80% ai prodotti non alimentari.

Per una famiglia composta da persone di oltre 65 anni, la spesa media ammonta, invece, a 2 milioni e 667 mila lire, inferiore al dato nazionale di quasi il 37%.

Ma quali sono le ragioni di questo divario?

Un primo elemento su cui focalizzare l’attenzione è rappresentato dalla diversa numerosità dei nuclei familiari considerati.

È noto, ormai, che da molti decenni l’Italia detiene il primato del più basso indice di natalità dei paesi industriali. Attualmente, la famiglia media italiana si articola su 2,7 componenti e, considerando le tendenze dell’evoluzione demografica dei prossimi decenni, questo dato sembrerebbe destinato a ridursi.

A loro volta, le famiglie composte da persone ultrasessantacinquenni sono poco meno di 5 milioni e 300 mila, il 56% delle quali costituito da famiglie mononucleari, cioè con un solo componente; il restante 44% è composto, invece, da coppie senza figli. In entrambi i casi, ovviamente, il numero dei componenti il nucleo familiare è largamente inferiore alla media nazionale.

La numerosità del nucleo familiare incide direttamente sul livello di spesa complessiva per consumi, che nel caso degli ultrasessantacinquenni è, come si è detto, inferiore del 38% alla media nazionale.

Questo differenziale negativo nei confronti del dato medio italiano assume proporzioni ben più elevate in corrispondenza di alcuni importanti capitoli di spesa. Basti pensare, infatti, per alcune specifiche categorie di consumo la spesa media mensile familiare degli anziani risulta inferiore alla media nazionale: del 58% per l’abbigliamento, del 70% per gli elettrodomestici bruni, l’Hi-Fi ed altri beni ad elevato contenuto tecnologico (personal computer e telefoni cellulari), dell’80% per i servizi ricreativi, del 67% per gli alberghi ed i viaggi e di circa il 76% per la spesa in pasti e consumazioni furori casa.

Un secondo significativo elemento è rappresentato dal diverso reddito disponibile dei nuclei familiari relativamente all’età della persona di riferimento, ossia del capofamiglia secondo una definizione non più in uso.

Percepire, infatti, un reddito di pensione piuttosto che un reddito da lavoro, determina anche una ridefinizione delle priorità nella soddisfazione dei bisogni e, dunque, una riallocazione del reddito stesso tra le varie categorie di consumo.

Il reddito disponibile delle famiglie composte da ultrasessantacinquenni, cioè da soggetti ormai ritirati dal lavoro, si colloca ad un livello inferiore di ben il 25% al reddito medio nazionale. La propensione media al consumo di queste categorie, cioè il rapporto tra l’ammontare dei consumi ed il reddito disponibile, supera di poco il 73%, mantenendosi largamente al di sotto della propensione media (circa l’81%) dei nuclei familiari composti da persone con meno di 65 anni ed ancora occupate.

Per la categoria di consumatori rappresentati da persone anziane risulta quindi diversa la ripartizione del bilancio familiare tra le varie tipologie di beni e servizi. Infatti, i capitoli di spesa cui sono destinate le maggiori risorse sono rappresentati dall’abitazione, la salute e l’alimentazione, mentre sensibilmente più ridotta è la quota destinata all’abbigliamento ed alle calzature, ai servizi ricreativi e culturali, ai trasporti ed alle comunicazioni, ai viaggi ed ai soggiorni turistici, nonché ai pasti e alle consumazioni fuori casa.

Dalle abitudini di consumo delle persone con oltre 65 anni emerge infatti una scarsa propensione alla mobilità mediante l’uso di autoveicoli (le spese per assicurazione e benzina risultano inferiori di circa il 70% alla media nazionale).

Dal confronto emerge come nel lungo periodo, sotto il vincolo del coeteris paribus, e quindi a parità di gusti e preferenze dei consumatori, il combinarsi delle tendenze demografiche con la diversa ripartizione della spesa per i consumi tra le tipologie di beni, porti ad un sensibile ridimensionamento del fatturato potenziale, sia per il settore distributivo, sia per i comparti legati alle attività turistiche e di entertainment.

Inoltre, poiché tali voci di spesa hanno un peso decisamente basso rispetto al totale dei consumi di questi nuclei familiari, è evidente che le prospettive di sviluppo dei settori collegati alla domanda interna, in presenza di una curva demografica sempre più sbilanciata verso le classi di età avanzate, risultano seriamente compromesse.

Solo una evoluzione più che sostenuta del reddito disponibile delle famiglie con capofamiglia in età lavorativa ed una crescita economica forte e duratura, capace di riassorbire gli elevati livelli di disoccupazione, potrebbero compensare gli effetti negativi connessi all’invecchiamento della popolazione.

 

L’uso dell’auto privata e le esigenze della mobilità

Alla fine del 2001 il parco autovetture italiano dovrebbe aver superato i 34 milioni di unità. Il nostro paese, tra tutte le economie del G-7 ed all'interno dell'Unione Europea, mantiene saldamente il primato del più elevato numero di autovetture in rapporto alla popolazione.

In Italia circolano quasi 580 auto private per mille abitanti, contro le circa 520 degli Stati Uniti, le 500 della Germania, le 480 della Francia e le 360 del Giappone, per limitare il confronto proprio ai paesi nei quali il settore produttivo dei mezzi di trasporto è ancora uno dei punti di forza del sistema manifatturiero.

Le ragioni di una diffusione così accentuata delle vetture private rispetto a paesi che hanno un reddito pro-capite sensibilmente più elevato di quello italiano, sono varie.

Al di là di aspetti che potrebbero essere spiegati in termini di «sociologia dei consumi», identificando l'auto con una sorta di status-symbol, esistono motivazioni strettamente connesse alla vita pratica ed alle esigenze della mobilità.

Nella graduatoria dei beni durevoli posseduti dalle famiglie italiane, l'automobile occupa la terza posizione, dopo lavatrice e televisore a colori: quasi il 78% delle famiglie ne possiede almeno una. E sono proprio le necessità quotidiane a dettarne l'uso prevalente.

Sui circa dodici milioni di spostamenti giornalieri che in tutta Italia coinvolgono coloro che si recano a scuola o all'università, quasi quattro milioni, cioè più del 32%, vengo effettuati usando un'auto privata. Nelle aree metropolitane questa percentuale scende leggermente al 28,5%, poiché è più accentuato l'utilizzo di mezzi di trasporto pubblici, che supera di poco il 34%.

Ma dove l'impiego dell'automobile risulta preponderante è negli spostamenti per recarsi al lavoro.

Ogni giorno, oltre 21 milioni di persone debbono raggiungere il luogo dove esercitano la propria occupazione e quasi 15 milioni di costoro, circa il 70%, lo fa utilizzando l'auto.

Relativamente alle aree metropolitane la percentuale degli utenti per motivi di lavoro scende a poco meno del 61%, in quanto l'uso dei trasporti pubblici è di poco inferiore al 22%, circa dieci punti al di sopra della media nazionale.

Nel complesso, quindi, tra scuola, università e lavoro, oltre il 62% degli spostamenti viene effettuato con autovetture private: ogni giorno cioè quasi 18,5 milioni di automobili si mettono in marcia sulla rete viaria nazionale.

Cifre di tale dimensione evidenziano l'enorme impatto, proprio in termini macroeconomici, prodotto da fenomeni esterni, come le variazioni delle quotazioni internazionali dei prodotti petroliferi e della valuta energetica, il dollaro, o come la necessità di adeguarsi alle normative europee in materia di carburanti, eliminando nell'arco dei prossimi due anni la "benzina super".

Se il primo problema può essere ricondotto nell'ambito di un fenomeno congiunturale, e quindi destinato prima o poi a normalizzarsi, il secondo ha invece implicazioni di tipo strutturale, perché esige un intervento sullo stock di veicoli circolanti passante per l'eliminazione delle vetture obsolete o incompatibili con la "benzina verde".

Sotto questo profilo, l'Italia non soltanto è il paese con il più elevato numero di vetture rispetto alla popolazione, ma anche uno tra i paesi con un'età media dei veicoli in circolazione tra le più elevate.

Negli ultimi quindici anni, la cancellazione fisiologica di vetture dal Pubblico Registro non ha mai superato mediamente 1,2 milioni di unità. Solo nel biennio 1997-98, gli incentivi fiscali alla rottamazione hanno elevato questo livello oltre i due milioni.

 

Gli aspetti fiscali connessi al mondo dell’auto

Secondo stime di settore con l’abolizione dell’Imposta Provinciale di Trascrizione (IPT) e relativa addizionale sui passaggi di proprietà delle vetture usate, si metterebbe in moto un circolo virtuoso capace di accelerare la sostituzione del parco veicolare non catalizzato, senza costi per lo Stato e con vantaggi concreti per il consumatore e per la comunità.

In un arco di cinque anni, dal 2002 al 2006, con l’abolizione della tassa sui passaggi di proprietà si accelererebbe, infatti, la sostituzione dei circa 10 milioni di veicoli usati più inquinanti e meno sicuri, con altrettanti veicoli di seconda mano ma catalizzati e muniti delle dotazioni di sicurezza come airbag e, spesso, anche ABS.

In parallelo si creerebbe un’ulteriore domanda di 200.000 vetture nuove l’anno che andrebbe a sostenere un mercato che si prevede in flessione, garantendo così il gettito IVA ottenuto negli anni migliori. L’uscita dalla circolazione delle vetture non catalizzate porterebbe ad una significativa riduzione degli agenti inquinanti, migliorando del 50% la qualità dell’aria.

Il minor gettito generato dall’abolizione dell’IPT sui passaggi di proprietà dell’usato, secondo stime di settore valutato in 5.163 miliardi nel periodo in oggetto (2002 – 2006), verrebbe compensato da 5.350 miliardi di maggiori introiti dovuti all’IVA e all’IPT (che resterebbe sulla vendita delle auto nuove) su 200.000 immatricolazioni aggiuntive.

In sostanza, l’abolizione dell’IPT per il mercato dell’usato porterebbe ad una situazione che negli Stati Uniti viene definita win-win-win. Vincerebbe lo Stato, che a costo zero libererebbe le strade dalle vetture più inquinanti e meno sicure, vincerebbe il mercato che manterrebbe la tonicità di questi ultimi due anni con 2,4 milioni di vetture immatricolate, vincerebbero - infine - il consumatore, che non dovrebbe più sostenere i pesanti oneri dei passaggi di proprietà (allineando l’Italia agli altri Paesi europei) e la comunità, sia sul piano ecologico sia su quello della sicurezza della circolazione.

Altri due aspetti risultano molto importanti: quello della spesa pubblica in favore della circolazione e quello del reale snellimento della macchina burocratico-amministrativa.

Come ben sanno gli operatori del settore, l’automobile genera, fra tasse dirette ed indirette, un gettito di 134.000 miliardi di lire, pari al 6% del PIL. Ebbene, mentre il traffico passeggeri dal ’70 ad oggi è aumentato del 300% e quello merci su gomma del 350%, gli investimenti dello Stato per le infrastrutture equivalgono allo 0,2% del PIL, mentre a metà degli anni ’70 costituivano l’1,4% e a fronte di un gettito fiscale sempre più elevato, si riscontra una preoccupante caduta degli investimenti per la viabilità.

Sul fronte della burocrazia, lo sportello unico, destinato a semplificare la vita dell’automobilista, avrebbe avuto più efficacia se fosse stata prevista anche la partecipazione dei concessionari. Quanto alla razionalizzazione del sistema fiscale gravante sugli autoveicoli, occorre richiamare l’attenzione sulla ridotta deducibilità dei costi relativi alle auto aziendali.

Il limite dei 35 milioni ai fini dell’ammortamento è nettamente inferiore a quanto applicato in altri Paesi della Comunità Europea, dove la deducibilità è illimitata, dove non vi è la riduzione al 50% di tale limite riconosciuto come costo di utilizzo del bene e dove non vi è l’indetraibilità dell’IVA.

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