L'intervento del presidente di Confcommercio all'Ufficio di Presidenza

L'intervento del presidente di Confcommercio all'Ufficio di Presidenza

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12 novembre 2009
Macro Carrier


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Incontro

con il Segretario

del Partito Democratico

 On.le Pierluigi Bersani

 

 

 

            

 

 

 

 

Roma, 12  novembre 2009


Caro Segretario, Caro Pierluigi,

anzitutto, il mio, il nostro ringraziamento per questa opportunità di incontro ed auguri, davvero auguri per il Tuo incarico di Segretario del Partito Democratico.

Sai che gli auguri sono sinceri, di cuore, e che nel ringraziamento non vi è davvero nulla di retorico.

Nulla di retorico, perché non ci sfugge il significato del fatto che il Tuo primo incontro da Segretario del Partito Democratico con una rappresentanza sociale avvenga, oggi, con Confcommercio-Imprese per l’Italia.

Cioè con chi rappresenta larga parte dell’economia dei servizi e dell’impresa diffusa del nostro Paese.

Del resto, ci conosciamo da tempo. E sappiamo di avere in Te un interlocutore attento alle ragioni dell’economia reale.

Ho, peraltro, avuto modo di leggere il Tuo intervento all’Assemblea nazionale del Partito Democratico dello scorso sabato.

E vi ho anzitutto ritrovato la conferma della volontà di costruire, di fare una politica che guardi al concreto e che parta dalle “condizioni reali dell’economia e della società”.

Una politica, inoltre, che si propone di contribuire alla realizzazione “di una democrazia efficiente”, affrontando l’agenda delle riforme necessarie: superamento del bicameralismo perfetto ed istituzione del Senato federale, ma anche una legge elettorale “che consenta ai cittadini di scegliere i Parlamentari”.

Ecco, sono tutti temi rispetto ai quali Ti rinnovo il nostro interesse al confronto.

Perché – sul piano economico e sociale – anche noi condividiamo una lettura della crisi non come semplice accidente congiunturale, ma come crisi strutturale.

E – così pure – non vi è dubbio sul fatto che una “democrazia efficiente” sia fattore determinante per un Paese che – come il nostro – ha assoluta necessità di più crescita, di più sviluppo, di più coesione sociale.

Nonostante le smentite della cronaca se non della storia, resta allora fermo il nostro auspicio di una legislatura costituente. Di una legislatura, cioè, in cui sia possibile, tra maggioranza ed opposizione, “confronto trasparente – leggo dal Tuo intervento all’Assemblea del Partito Democratico – nelle sedi proprie e cioè in Parlamento”.

Quanto allo stato di salute dell’economia, a noi pare che si possa oggi dire, con ragionevole fiducia,  che non solo la “grande depressione” è stata evitata, ma anche che siamo prossimi al “giro di boa”.

Alla conclusione, cioè, della recessione ed alla ripartenza dell’economia.

Ciò non toglie, ovviamente, che la “coda” della crisi sia particolarmente insidiosa per l’economia reale: in particolare, per le ricadute sull’occupazione e per il rapporto tra le imprese e le banche.

E, così pure, il fatto che, nel 2010, potrà considerarsi tecnicamente conclusa la fase di recessione, non significa in alcun modo che – tanto su scala globale, quanto in riferimento agli specifici andamenti dell’economia italiana -  si registrerà uno scenario di crescita stabile e vigorosa.

Al contrario, permarranno incertezze e rischi di ricaduta, e la crescita sarà complessivamente  debole.

Del resto, per l’Italia, le previsioni di crescita per il prossimo anno si collocano, al più,  intorno ad un punto percentuale.

E, con una dinamica della crescita così contenuta, già recuperare le pur non esaltanti posizioni di partenza non sarà agevole e richiederà tempo.

Bisogna, allora, fare  anzitutto tesoro  della lezione della crisi.

E, cioè, di quella rivalutazione delle ragioni dell’economia reale e del lavoro, che ha messo in evidenza alcuni buoni “fondamentali” del nostro Paese: il risparmio delle famiglie ed il sistema di sicurezza sociale; la prudenza tradizionale di un sistema bancario, che deve però ora – soprattutto ora – sapere essere anche più lungimirante; la stessa flessibilità delle piccole e medie imprese, che deve però ora – soprattutto ora – essere valorizzata e sostenuta.

Ne trarrei, allora, una prima conseguenza: l’attenzione ai “fondamentali” merita di essere confermata e, per quanto possibile, sempre più rafforzata.

Accelerando, ad esempio, i pagamenti vantati dalle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni; ampliando la gamma di beni  cui si applicano le misure di detassazione degli investimenti, anche per sospingere innovazione e produttività. Ma anche proseguendo nell’affinamento degli studi di settore, e nel  confronto internazionale per la moratoria dei parametri di Basilea 2.

E – ancora – confermando e rafforzando le misure di detassazione dei premi di risultato, degli straordinari e degli incrementi salariali derivanti dalla contrattazione di secondo livello. Perché si tratta di un buon modo per tenere insieme spinta al rafforzamento della produttività e maggior reddito da lavoro.

Il tutto senza “scassare” i conti pubblici, naturalmente, e, dunque, con la sobrietà – come si dice in cucina – del “quanto basta”.

“Quanto basta”, cioè, a sostenere la crescita, contribuendo,  in questo modo, anche al miglioramento della finanza pubblica.

E vi è, poi, il grande tema,  la “questione” della riduzione della pressione fiscale complessiva: di quella che grava sui redditi da lavoro, così come di quella che grava sulle imprese.

Bisogna tener conto dell’una come dell’altra esigenza. Sapendo che, certo, quando si parla di riduzione della pressione fiscale,  non sono possibili “scorciatoie”.

Non ci sono, cioè, scorciatoie rispetto alla costruzione di condizioni di contestualità   fra tre grandi processi: controllo e  riqualificazione della spesa pubblica, e riduzione della sua parte più improduttiva; contrasto e recupero di evasione ed elusione; progressiva riduzione delle aliquote fiscali.

Integrando, in questo modo, il principio del “pagare tutti per pagare meno” con il principio del “far pagare meno per far pagare tutti”.

Ben venga, allora, un primo intervento sull’IRAP.

Ma non si dimentichi la necessità di misure urgenti a sostegno della domanda e dei consumi, come la parziale detassazione delle tredicesime per i livelli di reddito medio-bassi.

Per il resto, conviene fare i conti ed impostare fin d’ora – questo sì – un’azione progressiva di intervento, chiarendo tempi e coperture.

Chiarendo, cioè, “come” e “quando”. Già questo, sarebbe un buon contributo alla fiducia delle famiglie e delle imprese.

Un buon contributo insieme alla prosecuzione dell’impegno per la maggiore produttività della funzione pubblica e per la riduzione della “tassa” degli oneri da adempimenti burocratici.

Un buon contributo insieme ad impegni puntuali e rapidamente cantierabili per il sostegno degli investimenti infrastrutturali realmente necessari per rafforzare la competitività del Paese  – basti pensare, ad esempio, alla “banda larga”, all’energia ed al “nocciolo duro” dei trasporti e della logistica - e per la manutenzione – ordinaria e straordinaria – del nostro territorio.

Un buon contributo insieme al giusto sostegno alla formazione ed all’innovazione come condizioni per un’Italia che costruisca  buona occupazione, che chiuda il circuito della flexicurity  e che  contrasti la precarietà del lavoro nero e della disoccupazione.

Nel 2011, poi,  si festeggeranno i 150 anni dell’Unità d’Italia. Li festeggeremo giustamente e non li celebreremo retoricamente, se, intanto, sapremo lavorare – tutti insieme – per un Paese più competitivo, ma anche più coeso socialmente e territorialmente.

Se sapremo costruire più crescita, più sviluppo, più coesione sociale per l’intero Paese, sospingendo anzitutto la capacità del Mezzogiorno di costruire più crescita, più sviluppo, più coesione sociale.

E’ una prospettiva che richiede sicurezza e legalità; responsabilità, qualità e produttività della spesa pubblica, con particolare riferimento all’utilizzo delle risorse comunitarie e del loro cofinanziamento nazionale.

Che richiede crediti d’imposta,  zone franche e fiscalità di vantaggio più che complessi e spesso inefficaci sistemi di incentivazione diretta dell’attività d’impresa. E che richiede anche  più infrastrutture, ivi compresa l’infrastruttura del credito.

Un’ulteriore ed ultima questione.

Anche a noi – che siamo persone di buon senso – è caro il sistema manifatturiero del Paese.

Pensiamo, però, che una monocultura industrialista non giovi né al progresso della manifattura, né agli interessi generali del Paese.

E questo semplicemente perché industria e servizi sempre più si integrano, e perché – lo segnaliamo ancora una volta – i servizi di mercato – quelli che Confcommercio-Imprese per l’Italia largamente rappresenta – già oggi contribuiscono per ben più del 40% alla formazione del valore aggiunto e dell’occupazione del nostro Paese.

Percentuali ragguardevoli e destinate a crescere anche  nel futuro prossimo venturo.

Ecco, un po’ più di attenzione a questo mondo di produttori di servizi – al nostro mondo – non guasterebbe. Penso, anzi, che potrebbe essere un ingrediente importante del “menù” per un’Italia più competitiva.

Basti pensare all’innovazione applicata alla distribuzione commerciale, ai servizi alle persone ed alle imprese o alla grande “risorsa” del turismo.

Conosci, del resto, la nostra richiesta: non solo “Industria 2015”, ma anche “Servizi 2020”.

Concludo con un auspicio.

L’auspicio che sia da tutti accolta la sollecitazione del Presidente della Repubblica a fare della “crisi” l’occasione per preparare un’Italia più competitiva e più giusta.

Lavorando, allora, tutti insieme - imprese e lavoratori, forze sociali e forze politiche – per cogliere questo obiettivo, attraverso la  condivisione di un confronto, mai pregiudiziale e sempre di merito, sui veri problemi del Paese: responsabilità di tutti, e responsabilità anche – forse soprattutto – di una buona politica, cioè di una politica lungimirante.

 

 

 

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