L'intervento del Presidente di turno Daniele Vaccarino

L'intervento del Presidente di turno Daniele Vaccarino

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4 maggio 2015

 

Signor Ministro, Autorità, gentili Ospiti, care Amiche, cari Amici, porgo il mio benvenuto all'Assemblea annuale di Rete Imprese Italia.

Ringrazio tutti voi per avere accolto il nostro invito. Ringrazio, in particolare, il Ministro del lavoro Giuliano Poletti per la sua partecipazione in rappresentanza del Governo e il Presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni per l'ospitalità che ci offre nella splendida cornice di questa sede.

Con la nostra Assemblea, vogliamo rendere omaggio a Milano per sei mesi vetrina dell'Italia nel mondo, alla sua capacità di raccogliere sfide culturali e organizzative complesse come quelle poste dall'Expo.

Le sfide hanno un potere intrinseco, importante sia nelle piccole che nelle grandi cose. Fanno emergere il meglio che c'è in noi.

Io credo che in un momento di transizione come quello attuale sia cruciale affidarci alle nostre migliori virtù, misurando la considerazione di noi stessi su quello che riusciamo fare, senza indulgere nella rassegnazione o nelle retoriche del declino. 

Anche Rete Imprese Italia è il risultato di una sfida lanciata cinque anni fa: rappresentare in modo unitario la parte prevalente della struttura produttiva del nostro paese.  

Una sfida certo non facile che ancora oggi occorre raccogliere giorno dopo giorno sul terreno concreto della proposta, orientando, con responsabilità, la difesa degli interessi particolari entro cornici più ampie e senza perdere di vista l'interesse generale.

Rete ha espresso e continua a esprimere un modo innovativo di intendere e organizzare la rappresentanza.

E' una risorsa a disposizione delle imprese e del paese.

Una risorsa importante per fare fronte agli effetti generati dai profondi cambiamenti che attraversano la nostra epoca e toccano ogni aspetto della vita sociale, mutando paradigmi e riferimenti, valori e orientamenti.

Cambiamenti che hanno un grande bisogno della funzione di aggregazione e mediazione degli interessi che la rappresentanza svolge.

Senza il ruolo di sintesi dei corpi intermedi, la nostra società, la cui struttura è molto complessa e articolata, diventa sempre meno governabile e finisce con l'allontanare imprese e cittadini dalla partecipazione politica, rendendo molto più difficile la composizione dei conflitti sociali.

Senza il ruolo dei corpi intermedi la politica potrà tornare al centro della scena ma temo non possa dare risposte efficaci di governo. 

Non è questa, però, la consapevolezza che vedo diffondersi quanto una tendenza a ridimensionare l'importanza della rappresentanza, a svalutarne il ruolo.

Una tendenza che non credo debba essere assecondata perché nasconde molteplici insidie.

E' certamente vero che le organizzazioni devono accelerare il processo evolutivo per rispondere con la necessaria duttilità ai cambiamenti esterni. Ma essere aperti al cambiamento e all'innovazione non significa dimenticare che la cultura individualistica, la cultura della disintermediazione, può essere un rischio e una tentazione anche per noi, quando ci offre scorciatoie nel rapporto diretto con il potere politico.

Ma credo sia illusorio pensare che senza le organizzazioni si possano difendere meglio gli interessi delle imprese. 

Se si indeboliscono le organizzazioni della rappresentanza si indebolisce anche la capacità del paese di condividere obiettivi comuni e di agire con unità.

Si indebolisce quello strumento essenziale della crescita che è la fiducia. E lo è ancor di più, nella situazione economica che si va profilando e che ci consente di guardare alle prospettive future dell'economia dell'eurozona con un maggiore ottimismo rispetto al recente passato.

La riduzione del prezzo del petrolio che per anni ha penalizzato la competitività delle imprese europee e, in particolare, italiane, le misure di espansione monetaria della BCE e la discesa dei tassi d'interesse, il deprezzamento dell'euro hanno, infatti, creato nell'intera eurozona condizioni generali di stimolo dell'economia e le premesse per uscire definitivamente da sette lunghi anni di crisi, recessione e stagnazione.

L'Italia, rispetto allo scorso anno, registra qualche miglioramento. Ne sono conferma anche le previsioni di crescita per il 2015, contenute nel DEF, che non destano certo entusiasmo ma accendono una nuova speranza.

Non una speranza cieca ma una speranza intrisa di realismo, che non ignora le difficoltà della nostra economia. Sa che la crescita del PIL in Italia è più bassa rispetto alle altre maggiori economie avanzate. Che è dovuta a fattori esogeni ed è trainata dalla domanda estera. Conosce le debolezze della competitività del nostro sistema produttivo; vede che la domanda interna resta molto debole. Che i consumi sono fermi. Che la disoccupazione si attesta ancora su livelli di grande allarme. Che la dinamica degli investimenti è frenata. Che la pressione fiscale rimane alta e il credito per le imprese basso.

"Senza speranza è difficile trovare l'insperato". Quindi, la speranza può diventare spinta all'azione per trasformare la ripresa in vero sviluppo. Per trasformare un motore capace solo di riavviarsi e riprendere la marcia a passo d'uomo in un motore potente, elastico, che può far marciare il veicolo a velocità alta.

Per operare questa trasformazione la nostra economia ha bisogno di interventi incisivi sulla domanda interna, gli investimenti e i consumi.

I buoni risultati conseguiti sul fronte dell'export, sebbene da soli non sufficienti a trainare l'intera economia italiana, sono il segno evidente di quanto molte imprese, anche piccole e molto piccole sono state capaci di adattarsi ai grandi cambiamenti geopolitici, al mutare delle tecnologie, all'apparire di nuovi concorrenti, alla riorganizzazione internazionale della manifattura e dei servizi. Sono cresciute nonostante la crisi. Sono in grado di rispondere alla domanda proveniente dai mercati internazionali, hanno saputo innovare nei prodotti e nei servizi e sono apprezzate in tutti i mercati per la qualità della loro offerta.

Credo che in generale sia necessario aiutare le imprese ad innovare, ad inserirsi nei percorsi di internazionalizzarsi agendo sulle filiere; rafforzando i processi aggregativi.

Cari amiche, cari amici, l'Italia non può ripartire davvero senza la ripresa della domanda interna per consumi e investimenti.

In questo senso, l'Unione europea deve dare tangibili segnali.

Senza interventi orientati alla prosperità al benessere e allo sviluppo le ragioni dell'Unione europea rischiano di diventare sempre più astratte e lontane. E rischiano di venir meno del tutto, se l'Europa continua a preferire e imporre il rigore senza curarsi dei suoi effetti economici depressivi; se continua a non adottare coerenti e coraggiose politiche di crescita della domanda interna, con la stessa determinazione che sta manifestando la Bce con la politica monetaria.

Politiche di investimento, innanzitutto.

Negli ultimi anni gli investimenti in Europa sono crollati in un modo grave, un crollo particolarmente acuto nel nostro paese e in diversi settori fondamentali per la sua competitività, nell'edilizia e nelle infrastrutture in primo luogo. 

La consapevolezza delle conseguenze derivate dal crollo degli investimenti a livello europeo ha generato il Piano Juncker sul quale noi nutriamo molte perplessità circa l'effettività dei suoi obiettivi, peraltro, non concretamente perseguibili prima del 2016.

Anche a livello nazionale nel DEF non è previsto un incremento delle risorse destinate alla spesa per investimenti.

Eppure, basterebbe l'apertura e l'avvio dei cantieri diffusi su tutto il territorio, come previsto dal decreto "Sblocca Italia".

Si tratta di interventi che oltre ad essere salutari per quei segmenti di mercato presidiati, soprattutto, dalle imprese più piccole, possono realizzare strutture e infrastrutture e dare qualità e sostenibilità al territorio italiano. 

Penso ad un serio programma di recupero e bonifica del territorio, di tutela del suolo, di riqualificazione urbana dei centri storici e delle periferie mirato al risparmio energetico, alla riduzione drastica del consumo di suolo e della cementificazione, al recupero abitativo, alla prevenzione strutturale dei disastri naturali.

Penso all'attuazione coerente delle misure previste dal Piano Nazionale per le Città, dal Piano per l'Emergenza Abitativa e dalle misure in materia di agenda urbana e ambiente finanziate dai fondi strutturali europei nel quadro della politica di coesione.

Penso all'attuazione delle politiche per la green economy che reputiamo un motore di sviluppo importante per il tessuto economico delle piccole imprese e per l'economia dell'intero paese.

Penso all'economia digitale dove ogni impresa, anche la più piccola, può trovare nuove opportunità produttive e di mercato.

Interventi che potrebbero anche contribuire in misura determinante a migliorare la capacità di attrazione e la qualità dell'offerta turistica.

Per un paese come il nostro che ha un patrimonio secolare, unico al mondo, che è fatto di arte e cultura, di natura e di tradizioni, diffuso in tutto il territorio, la cura, la manutenzione, la fruibilità del patrimonio artistico, culturale e paesaggistico, oggi grandemente sottoutilizzato, rappresentano irrinunciabili fattori di sviluppo, in particolare per le regioni del Mezzogiorno. E senza il Mezzogiorno il Paese non può ripartire.

Ma non è solo la mancaza degli investimenti  e la debolezza dei consumi a frenare la risalita.

E' anche il livello di pressione fiscale che grava sulle imprese, ormai da tempo insostenibile anche a causa dalla infelice attuazione del federalismo fiscale che non ha prodotto l'atteso efficientamento della spesa ma, al contrario, ha determinato la crescita della tassazione locale.

Abbiamo subito l'ingiustificata impennata della tassazione sugli immobili produttivi a seguito dell'introduzione dell'IMU, della TASI e della nuova imposizione sui rifiuti.

E' inconcepibile equiparare capannoni, negozi e laboratori alle case di lusso!

Le tasse vanno ridotte sia pure in modo graduale ma certo!

Un primo passo è stato compiuto con l'eliminazione di una consistente parte del costo del lavoro dall'IRAP. In questo l'attuazione della delega fiscale potrà dare soluzione a questioni da tempo irrisolte.

Mi riferisco per esempio alla tassazione del reddito d'impresa, con speciale riguardo all'adozione del criterio di cassa per le imprese in contabilità semplificata, alla tassazione separata del reddito dell'impresa rispetto a quello dell'imprenditore.

Mi riferisco anche alla riforma del contenzioso tributario, alla revisione delle sanzioni amministrative fiscali e della riscossione coattiva.

Una riforma che, per colpire gli evasori non punisca più le imprese oneste come di recente accaduto con l'introduzione dello split payment e l'estensione del reverse charge che stanno producendo un grave danno finanziario alle imprese più deboli.

Alle imprese servono meno tasse e più credito.

Ma i dati purtroppo, ci indicano che non è così. Che la politica espansiva della Banca Centrale Europea non è riuscita ancora a migliorare i flussi e le condizioni di credito alle imprese.

I dati della Banca d'Italia confermano la contrazione del credito, che dal 2011 è diminuito del 10%, e che ancora non vi sono segnali in controtendenza.

Non possiamo sottovalutare l'incidenza sulla crescita di un buon funzionamento del mercato del credito e della effettiva disponibilità di un adeguato volume di finanziamenti all'economia reale.

Sappiamo che le regole internazionali sulla vigilanza bancaria sono un vincolo reale ma rischiano di diventare un alibi per escludere dal credito le imprese che più ne hanno bisogno.

Peraltro, vorrei richiamare l'attenzione sul fatto che l'assetto del settore bancario sempre più orientato, sul piano organizzativo, alle grandi aggregazioni e alla riduzione dei presidi territoriali rischia di essere sempre meno in sintonia con il tessuto delle micro e piccole imprese diffuse.

E' necessario, quindi, ripristinare la piena funzionalità del mercato del credito. Ciò anche realizzando interventi sui crediti deteriorati, che costituiscono un rilevante vincolo all'attività di finanziamento bancario dell'economia reale e riorientando l'azione del Fondo di garanzia per le PMI in modo coerente con la sua missione originaria di favorire l'accesso al credito delle piccole imprese, prioritariamente per il tramite dei confidi.

Rispetto al permanere degli elementi di criticità che penalizzano il nostro Paese chiediamo, sul piano congiunturale, che sia data continuità ad alcune importanti misure anticicliche di sostegno alla domanda.

Penso in particolare agli interventi di ristrutturazione edilizia, compreso il "bonus mobili", e di riqualificazione energetica, in virtù degli effetti positivi che questi hanno avuto su settori trainanti dell'economia.

Dal punto di vista strutturale, possiamo guardare con fiducia al cantiere delle riforme che il Governo ha avviato per destinate al miglioramento del contesto normativo e delle condizioni per investire.

Mi riferisco in primo luogo al Jobs Act che rappresenta una importante novità per coniugare le esigenze di flessibilità delle imprese con la certezza nella gestione dei rapporti di lavoro. Per favorire l'occupazione stabile e di qualità e un migliore utilizzo sia degli strumenti di supporto alle imprese e ai lavoratori durante i periodi di crisi aziendale, che degli strumenti destinati alle politiche attive.

L'entrata in vigore dei primi decreti, a partire da quello sulle tutele crescenti, affiancato dall'esonero contributivo, sta riscuotendo l'apprezzamento che speriamo possa trovare conferma nei prossimi mesi e tradursi in un incremento dell'occupazione.

Tuttavia, riteniamo che, all'interno del disegno riformistico, debbano trovare il giusto riconoscimento e valorizzazione gli strumenti costituiti dalla bilateralità.

Penso al sostegno al reddito e alle politiche attive del lavoro realizzate attraverso i fondi interprofessionali.

Diamo atto al Governo dell'importante sforzo per elevare la produttività mediante la valorizzazione del capitale umano anche attraverso la Buona Scuola e il  Programma Nazionale della Ricerca.

L'investimento sulla scuola e sull'istruzione solo se raccordato con il mondo dell'impresa diventa un investimento sul futuro; una potente leva di inclusione sociale, di reali prospettive per i giovani e di efficace  valorizzazione della intraprendenza e creatività delle donne.

L'alternativa è diventare un paese esportatore netto di intelligenze che si condanna al declino.

Ci aspettiamo molto anche dalla riforma della Pubblica Amministrazione, ancora troppo distante dalle esigenze di semplificazione, certezza dei tempi e delle decisioni.

Chiediamo uno Stato moderno, non più ostacolo ma vero e proprio partner con cui costruire risposte e trovare soluzioni. Senza dimenticare che  la semplificazione delle norme e delle procedure, unitamente ad una maggiore trasparenza, sono gli elementi primari per contrastare efficacemente il virus della corruzione.

Parlando di riforma della PA non posso che dedicare una riflessione al riassetto del sistema camerale che dà avvio a una nuova stagione dopo la riforma epocale della legge 580.

L'esame parlamentare del provvedimento ha correttamente superato i pregiudizi negativi presenti nella proposta iniziale, riconfermando il ruolo strategico delle camere riformate che, tuttavia, dovranno poter disporre di risorse adeguate per continuare a svolgere un ruolo propulsivo nello sviluppo dei territori.

Ci aspettiamo, altresì, molto dall'impegno di ridurre i margini di incertezza dell'assetto giuridico attraverso la riforma della giustizia civile i cui tempi e costi sono davvero intollerabili.

Più in generale abbiamo bisogno di uno Stato che sappia assicurare un contesto di piena legalità, e proteggere le imprese dalla concorrenza sleale, dalla delinquenza, dalla corruzione, dalla evasione fiscale, dal lavoro nero, dall'abusivismo, dalla contraffazione e dall'usura.

Ci aspettiamo molto, in ultimo, dalle linee ispiratrici della riforma costituzionale volte a definire in modo inequivoco le sfere di competenza dei diversi livelli istituzionali e le loro relazioni.

Inutile dire che l'apertura del cantiere delle riforme è solo una condizione necessaria. Bisogna anche fare l'opera. E farla rapidamente.

Se così non fosse avremmo perso l'ennesima occasione e non possiamo permettercelo. Ci ritroveremmo in mano una speranza che si è trasformata in illusione.

Cari amici, care amiche, gentili ospiti sappiamo tutti che la via per lo sviluppo è il risultato di una difficile alchimia che mescola insieme, azioni e scelte individuali e azioni e scelte collettive; azioni e scelte nazionali, azioni e scelte internazionali.

Un clima morale e ideale che crea fiducia.

Un'alchimia che oggi può realizzarsi se ognuno di noi raccoglie la sfida che ha davanti e fa emergere il meglio di sé. Se il paese intero investe nelle sue virtù e confina i suoi vizi, andando oltre gli impedimenti che pure ci sono, forte di quella capacità di rigenerazione economica morale e culturale che ha nel suo dna. Forte di pregi che possono bilanciare i limiti. Limiti rispetto ai quali è prevalsa per troppo tempo l'inerzia o la speranza di aggiustamenti spontanei ma che oggi avvertiamo tutti di non potere più rinviare. Perché stiamo lentamente riprendendo confidenza in noi stessi e consapevolezza che nel presente possiamo preparare un futuro all'altezza del nostro grande passato.

Permettetemi di chiudere con le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella "Dobbiamo avere coraggio e creare discontinuità che è invenzione, ricerca oltre i confini del conosciuto. C'è una storia italiana plurisecolare alle nostre spalle: tocca a noi rinverdirla."

 

 

 

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