La prima grande crisi del terziario di mercato

La prima grande crisi del terziario di mercato

Dettagli settoriali di valore aggiunto e occupazione per l’anno 2020

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3 maggio 2021

Sintesi dei principali risultati

In questa nota si ricostruiscono i dettagli settoriali di valore aggiunto e occupazione per l’anno 2020 (appendice tecnica).

 

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L’anno appena trascorso, al di là delle eccezionali perdite di prodotto lordo, mai osservate dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, segna una discontinuità straordinaria nel processo di terziarizzazione dell’economia italiana (e, verosimilmente europea e mondiale). Per la prima volta da diversi decenni, la quota dei servizi di mercato diminuisce.

Non diminuisce la quota di valore aggiunto nei servizi, bensì esattamente nei servizi di mercato, conviene rimarcarlo. Ciò che il mercato perde, viene acquisito dalla sfera pubblica. C’è un cambio di composizione nella produzione, dunque, che costituisce un eclatante fatto di cronaca economica e, ancora di più, pone degli interrogativi per il futuro.

Quanto costerà riguadagnare le posizioni perse, visto che il processo di terziarizzazione planetaria va avanti?

Si riuscirà a resistere alle sirene del ritorno all’industria più produttiva?

Si riuscirà, in una condizione di fragilità e precarietà imprenditoriale in molti settori dei servizi di mercato, a rilanciare il tema della produttività dei servizi, come vero tallone d’Achille della nostra economia?

In gioco non c’è solo la ripresa, peraltro già mutilata da un primo trimestre 2021 piuttosto deludente. C’è il tasso di crescita dell’economia italiana nei prossimi dieci anni (e quindi il benessere, l’inclusione e la provvista delle risorse per le varie rivoluzioni intraprese: da quella digitale a quella verde).

Oggi il problema principale è mantenere vivo e vitale gran parte del tessuto produttivo dei servizi alle imprese e alle persone, in primis la convivialità e il turismo, e traghettarne le attività dalla pandemia alla ripresa.

Quando i flussi turistici mondiali riprenderanno vigore, se l’offerta italiana non sarà pienamente in grado di soddisfarli, le perdite saranno permanenti.

Si aggiunga a tale questione la grande sfida – ingigantita nel tempo del coronavirus – che il commercio fisico sta raccogliendo nei confronti dell’online senza frontiere.

Per tacere dei problemi di ridefinizione del proprio business che investono anche tanti altri comparti del terziario.

Insomma, ce n’è abbastanza per sperare che la stagione della pandemia, delle restrizioni e degli adeguati ristori si chiuda favorevolmente al più presto.

Le imprese italiane hanno tanto altro a cui pensare.

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Nel prossimo DEF osserveremo una riduzione del tasso di crescita precedentemente previsto per il PIL dell’anno in corso, verosimilmente dal 6% a un valore attorno al 4,5%.

Il primo trimestre del 2021 è stato peggiore delle attese, in ragione delle restrizioni imposte dal governo per mitigare l’impatto della pandemia.

Tab. A – Alcune variabili macroeconomiche
var. % m. a. se non altrimenti indicato

  2008-18 2019 2020 2021
PIL -0,4 0,3 -8,9 3,8
consumi -0,2 0,4 -11,7 3,8
investimenti -0,3 1,1 -9,1 7,7
occupati (ula in 000 - var. ass.) -981 28 -2487 708
indebitamento in % del PIL   -1,6 -9,5 -10,2
debito pubblico in % del PIL   134,8 155,6 158,7

 

Le limitazioni alla mobilità e all’attività produttiva dei mesi del 2020 e del 2021 in cui cade la Pasqua valgono minori consumi delle famiglie per oltre 15 miliardi in ciascun periodo rispetto a un periodo di “normalità” economica (il riferimento può essere il 2019). Ne risulta depotenziato il contributo del primo quarto, con significativo pregiudizio della contabilità del prodotto lordo per l’intero 2021. Stimiamo, infatti, in -1,5% la variazione congiunturale del PIL nel primo trimestre, cui corrisponde una flessione tendenziale del 2,6%

La nostra previsione, improntata certamente a qualche cautela, si ferma al 3,8% del PIL. In ogni caso, vi è incorporata una moderata ripresa congiunturale nel secondo quarto e un’accelerazione nell’ultimo semestre, in ragione dell’ipotesi di un utilizzo ampio dei fondi europei che si renderanno disponibili. Valgono, a questo proposito, le incertezze storicamente legate alla capacità effettiva dell’amministrazione di fare fronte con successo a questo importante impegno.

I consumi reali per abitante sono ritornati, nel 2020, ai livelli del 1995. Il reddito si è ridotto molto meno della spesa. La propensione al risparmio ha raggiunto livelli inusuali. La causa principale è stata l’oggettiva mancanza di opportunità di spesa. Non marginale, ma meno rilevante, è stata la motivazione precauzionale dovuta alla crescente incertezza sui redditi prospettici.

Circa il 60% dei redditi è risultato immune dall’impatto pandemico. Inoltre, le ingenti misure di sostegno al reddito ne hanno in certa misura mitigato gli impatti. Ciò spiega la crescita dei risparmi, detenuti, peraltro, largamente in forma liquida.

L’implicazione, ovviamente circondata da grande incertezza, è che la stabilizzazione del contagio e il ritorno a una decente vita economica e sociale possano contribuire a fare scattare una molla di rimbalzo forte dei consumi. Il dissiparsi dell’incertezza, se il piano di vaccinazione dovesse funzionare, potrebbe dare smalto alla ripresa.

Sembrano, in questo contesto, largamente sottostimati i rischi di una fiammata inflazionistica che preceda l’accelerazione della crescita. A nostro avviso, questo è un pericolo da non sottovalutare. Per adesso, come fanno i maggiori previsori internazionali, anche nell’esercizio di previsione qui suggerito, ci si affida a un'efficace gestione della politica monetaria da parte delle preposte autorità. Ma il rischio deve restare ben presente ai decisori pubblici.

Le perdite di prodotto e di spesa per consumi sono concentrate in pochi settori. Tale circostanza ha due implicazioni. In generale, costituisce un fattore di fragilità specifica in assenza di politiche mirate di sostegno. In particolare, presenta il rischio che una parte del tessuto produttivo – il turismo nella fattispecie – possa non arrivare integro al momento della ripartenza in cui l’offerta dovrà essere pronta a riconquistare adeguate quote dei flussi internazionali dei viaggiatori, la cui diversione su altre destinazioni potrebbe costituire una perdita permanente di ricchezza.

L’88% circa di tutta la perdita subita nel 2020 dalla spesa per consumi è patito da soli quattro macro-settori: abbigliamento e calzature, trasporti, ricreazione, spettacoli e cultura e alberghi e pubblici esercizi. Ciò chiarisce l’urgenza di adeguate policy di indennizzo alle imprese coinvolte.

Secondo le nostre stime, senza mutamenti rilevanti nelle suddette politiche e senza un rapido avvio del processo di riapertura, nella situazione di equilibrio post-pandemica verrebbero a mancare, rispetto al 2019, circa 300mila imprese, delle quali 240mila diretta conseguenza della crisi di reddito e di liquidità. A queste valutazioni occorre sommare la stima di riduzione del lavoro autonomo, ordinistico e non ordinistico, di circa 200mila unità nella nuova condizione rispetto al precedente equilibrio.

Tali fenomeni non hanno ancora un riflesso diretto nelle statistiche sulla nati-mortalità delle aziende.

***

Nel 2020, per la prima volta nella storia economica dell’Italia – per quella parte di storia di cui si hanno dati o per la quale è possibile fare affidabili congetture – i servizi di mercato (Area Confcommercio) perdono quota in termini di valore aggiunto sul totale: stimiamo una riduzione dal 41% del 2019, massimo di sempre, a 38,8%, un valore prossimo a quello raggiunto nel 2007 (tab. B).

Tab. B – Prodotto, occupazione e produttività

  1995 2007 2019 2020
  valore aggiunto (composizione %)
agricoltura 3,3 2,1 2,1 2,2
industria 29,2 26,5 23,8 23,8
Area Confcommercio 38,2 38,8 41,0 38,8
altro (compresa P.A.) 29,4 32,6 33,0 35,2
totale 100,0 100,0 100,0 100,0
totale (miliardi di euro) 893,0 1449,7 1605,6 1490,6
  unità di lavoro (composizione %)
agricoltura 7,5 5,2 5,2 5,7
industria 27,0 25,8 21,7 21,8
Area Confcommercio 37,6 42,7 47,3 45,7
altro (compresa P.A.) 27,9 26,3 25,8 26,7
totale 100,0 100,0 100,0 100,0
totale (000) 22.661 25.106 24.153 21.666
  valore aggiunto per ula (in euro 2020)
agricoltura 19.322 26.531 27.585 26.545
industria 68.460 72.542 75.572 75.164
Area Confcommercio 55.799 59.620 58.389 58.389
altro (compresa P.A.) 77.730 81.947 85.637 90.432
totale 61.996 66.931 67.516 68.800

 

Più in dettaglio, se il complesso dei servizi market, ha registrato una flessione del prodotto del 9,6%, il segmento del commercio, in virtù della tenuta del dettaglio alimentare, ha in certa misura contenuto le perdite, attestandosi a -7,3%. In doppia cifra, per contro, appare la contrazione nei trasporti (-17,1%); di eccezionale entità quella registrata nel comparto dei servizi di alloggio e ristorazione (-40,1%), una perdita di prodotto pari ad oltre otto volte quella più grave che si ricordi negli ultimi cinquant’anni per questo specifico settore, in corrispondenza degli impatti negativi sui flussi turistici successivi all’attentato alle Twin Towers del settembre 2001. La branca più penalizzata subito dopo i settori connessi ai movimenti turistici è risultata quella delle attività artistiche, di intrattenimento e divertimento, il cui prodotto è diminuito rispetto al 2019 di oltre il 27%.

Fino al verificarsi della pandemia, che ha quasi azzerato pezzi considerevoli dei servizi market, il terziario al netto del comparto della P.A. ha rappresentato l’unico canale di sbocco occupazionale (tab. C) in grado di inserire forza lavoro nei suoi processi produttivi, a differenza degli altri segmenti di agricoltura e industria che hanno migliorato il quoziente tra valore aggiunto e unità di lavoro prevalentemente in virtù di una riduzione delle seconde: tra il 1995 e il 2019, l’agricoltura ha perso 433mila unità di lavoro, l’industria 877mila mentre l’Area Confcommercio ne ha guadagnate 2,9 milioni, determinando l’intera crescita dell’occupazione del sistema economico (+1,5 milioni circa). Nel 2020, rispetto all’anno precedente, all’ulteriore riduzione di 512mila unità di lavoro standard nell’industria, si aggiunge la perdita di 1,5 milioni di unità nei servizi di mercato (considerando gli altri comparti si giunge a -2,5 milioni di Ula circa).

Tab. C – Variazione dell’occupazione per settori
migliaia di unità standard di lavoro (Ula)

  2014-2019 2020
Agricoltura 68 -29
Industria -15 -512
Servizi (1)+(2) 860 -1.945
(1) Area Confcommercio 933 -1.511
Commercio 15 -384
- Dettaglio 20 -216
Trasporti e logistica 84 -140
- Trasporto terrestre 37 -71
Turismo, tempo libero, comunicazioni 324 -659
- Ristorazione e alloggio 245 -514
Altri servizi 510 -328
- Studi professionali e servizi alle imprese e alle persone 56 -97
(2) Altri servizi -73 -435
Totale economia 913 -2.487

 

Se il tessuto produttivo, specialmente nella componente dei servizi, subirà conseguenze negative durature, il recupero delle suddette perdite sarà problematico. Fortunatamente, la parte migliore della manifattura esportatrice sembra essere comunque in salute in questa prima parte del 2021. Non basterà, però, solo il suo prezioso contributo per determinare una ripresa soddisfacente nei prossimi anni, almeno tale da recuperare in tempi ragionevoli il terreno perso lo scorso anno.

***

Sulla base dei dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio, infatti, le imprese attive dell’Area Confcommercio rappresentano il 54,7% del totale delle imprese contro il 52,1% del 2012, mentre il settore dell’agricoltura e dell’industria rappresentano in quota il 14,1% e il 24,1% delle imprese (rispettivamente 1,3 e 1,8 punti percentuali in meno rispetto al 2012).

Tab. D – Imprese attive per forma giuridica
quote %, anni 2012 e 2020

  quote % - anno 2012
  società di capitale (1) società di persone (2) ditte individuali (3) altre forme (4)
Commercio 14,7 16,2 68,5 0,5
 -Dettaglio 9,0 16,5 74,1 0,4
Trasporti e logistica 19,1 13,4 61,3 6,1
-Trasporto terrestre 12,6 13,1 70,9 3,5
Turismo, tempo libero, comunicazioni 21,5 30,2 44,8 3,5
-Alloggio 28,3 33,1 36,5 2,1
-Ristorazione 12,3 36,1 50,6 1,0
Altri servizi 40,0 24,8 27,9 7,4
Totale Economia 18,4 16,9 62,2 2,4
  quote % - anno 2020
Commercio 20,4 13,5 65,5 0,5
 -Dettaglio 13,7 14,0 71,8 0,5
Trasporti e logistica 28,9 11,2 53,7 6,2
-Trasporto terrestre 20,5 11,6 63,7 4,2
Turismo, tempo libero, comunicazioni 31,5 21,9 42,5 4,1
-Alloggio 35,1 23,1 39,8 1,9
-Ristorazione 22,6 27,1 49,1 1,2
Altri servizi 43,7 19,3 30,0 7,0
Totale Economia 24,6 14,4 58,5 2,6

 

È un mutamento strutturale, consolidatosi progressivamente negli ultimi decenni, che fa emergere il ruolo fondamentale dei servizi di mercato nel generare nuove opportunità imprenditoriali specialmente nelle aree più deboli del Paese.

Questi trend subiscono una battuta d’arresto nel 2020, ma i riflessi statistici non emergono ancora dai dati dei registri camerali. Ancora oggi, infatti, l’economia italiana permane in uno stato di attesa, di ibernazione: blocco dei licenziamenti, attesa di qualche indennizzo, cassa integrazione estesa e riduzione dell’attività giudiziaria, non fanno emergere né le reali chiusure delle aziende né il potenziale tasso di fallimento. Nel futuro prossimo la forbice tra realtà e suoi riflessi formali si chiuderà ed emergerà anche nei registri camerali, la riduzione effettiva del numero di aziende attive.

Fa ben sperare, dentro l’incerto futuro, l’irrobustirsi del fenomeno di progressiva trasformazione del terziario di mercato da un grande comparto di piccole e piccolissime imprese a un grande comparto di imprese piccole e medie (tab. D), sebbene le individuali siano ancora molto presenti (e ne costituiscono, comunque, un fattore di ricchezza). Non solo cresce un po’ la taglia media delle unità produttive: migliora anche la tipologia di governance, manifestandosi un diffuso spostamento del tessuto produttivo, negli ultimi dieci anni e senza soluzione di continuità, dal modello della ditta individuale a quello della società, di persone e di capitali.

 

1. Quadro macroeconomico e finanza pubblica nel 2021


1.1 L’anno 2020 in sintesi

Pur non disponendo di dati omogenei e perfettamente confrontabili, si può affermare con buona fiducia che una riduzione di attività economica come quella del 2020 non si registrava dagli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale.

Le perdite di PIL a valori correnti lo scorso anno sono state pari a poco più di 139 miliardi di euro. Una rappresentazione più nitida della caduta si ottiene con la metrica a prezzi costanti (secondo l’Istat, dei cosiddetti valori concatenati del 2015): la riduzione raggiunge i 153 miliardi di euro. Se la stessa operazione si facesse introducendo i prezzi attuali, la perdita di PIL reale arriverebbe a 160 miliardi di euro.

Assumendo una popolazione costante attorno ai 60 milioni di residenti, si perviene alla conclusione che l’attività economica rapportata al numero di abitanti è caduta lo scorso anno di oltre 2.600 euro a testa, misurata al potere d’acquisto di oggi.

Crisi di domanda e crisi di offerta si intrecciano e si sovrappongono, producendo effetti differenziati sia tra settori di attività economica sia sulle variabili aggregate.

Considerando le grandezze a valori correnti, dei 139 miliardi di prodotto perso nel 2020 la quasi totalità è dovuta al crollo dei consumi interni, che includono anche la spesa degli stranieri sul territorio italiano: sono spariti quasi 129 miliardi di euro di spesa.

Le perdite di acquisti di beni e servizi sono concentrate su pochi settori di importanza capitale nell’economia italiana. Vestiario e calzature, servizi di trasporto, ricreazione e cultura, alberghi, bar e ristoranti, fanno contare complessivamente cali dei consumi per quasi 107 miliardi di euro, pari all’83% dell’intero calo di questa componente della domanda.

Simmetricamente, i cali di valore aggiunto settoriale si concentrano su commercio non alimentare, servizi ricettivi e di ristorazione, trasporti: cumulativamente essi sono afflitti dai due terzi dell’intera perdita di prodotto calcolato ai prezzi base.

La concentrazione delle perdite di consumi (tab. 1) e valore aggiunto su pochi settori appare oggi come un elemento di debolezza del sistema e giustifica la richiesta di sostegni adeguati a transitare questa parte di tessuto produttivo dalla crisi pandemica al momento della ripresa.

Tab. 1 – Consumi sul territorio
livelli e var. assolute in milioni di euro e var. %

Elaborazioni USC su dati Istat.
  2019 corrente (a) 2019 ai prezzi del 2020 (b) 2020 (c) var. assoluta in valore (d)=(c)-(a) var.% reale 2020 su 2019 (e)=[(c)/(b)-1]*100
alimentari e bevande e tabacchi 200.480 203.345 204.028 3.547 0,3
di cui alimentari e bevande 165.147 167.351 170.461 5.314 1,9
vestiario e calzature 63.946 64.893 51.318 -12.629 -20,9
abitazione, acqua, elettricità, gas, combustibili 244.459 241.652 243.043 -1.415 0,6
mobili, elettrodomestici, manutenzione casa 66.699 67.024 62.419 -4.281 -6,9
sanità 38.148 38.172 35.787 -2.361 -6,2
trasporti 140.484 137.124 103.306 -37.178 -24,7
di cui acquisto mezzi di trasporto 34.971 35.482 28.961 -6.010 -18,4
comunicazioni 23.736 22.210 22.712 -1.023 2,3
ricreazione, cultura e istruzione 83.347 83.061 65.687 -17.659 -20,9
di cui servizi culturali e ricreativi, libri e giornali 39.777 40.113 28.247 -11.529 -29,6
alberghi e ristoranti 112.733 113.436 67.440 -45.293 -40,5
di cui servizi di ristorazione 85.008 86.060 53.277 -31.731 -38,1
di cui servizi di alloggio 27.725 27.271 14.162 -13.562 -48,1
beni e servizi vari 113.229 114.151 102.754 -10.474 -10,0
totale consumi sul territorio 1.087.259 1.085.068 958.493 -128.766 -11,7
totale residenti 1.064.778 1.062.571 948.755 -116.023 -10,7

L’economia italiana permane in uno stato di ibernazione. Le imprese cancellate dai registri camerali nel corso del 2020 hanno toccato un minimo storico: -42.500 pari al 12% sotto la media quinquennale precedente. La perdita di occupazione è cresciuta di una proporzione molto al di sotto della riduzione di prodotto lordo e delle stesse ore lavorate. L’input di lavoro, inteso come quantità di lavoro impiegata nei processi produttivi di beni e servizi, è sceso di oltre il 10%, mentre gli occupati totali definiti come titolari di un rapporto di lavoro dipendente e come autonomi si sono contratti solo del 2% circa. Esiste quindi una disoccupazione potenziale che non ha ancora un riflesso nelle statistiche ufficiali. La disoccupazione, conteggiata secondo gli usuali metodi condivisi dalla comunità internazionale, è oggi limitata dai provvedimenti di blocco dei licenziamenti, dell’estensione della cassa integrazione in deroga, dall’attesa e dalla speranza di molte imprese di ottenere qualche provvedimento di parziale ristoro.

Secondo le nostre stime, senza mutamenti rilevanti nelle politiche di sostegno al tessuto produttivo e senza un rapido avvio del processo di riapertura, nella situazione di equilibrio post-pandemica verrebbero a mancare, rispetto al 2019, circa 300mila imprese, delle quali 240mila diretta conseguenza della crisi di reddito e di liquidità. A queste valutazioni occorre sommare la stima di riduzione del lavoro autonomo, ordinistico e non ordinistico, di circa 200mila unità nella nuova condizione rispetto al precedente equilibrio.

Come detto, tali fenomeni non hanno ancora un riflesso diretto nelle statistiche sulla nati-mortalità delle aziende.

Ciò che già si vede, invece, e non poteva non vedersi, è l’aumento dell’area della marginalità socio-economica, nonostante che i vari interventi legati sia al reddito di emergenza sia all’estensione della cassa integrazione sia, infine, alla vigenza del reddito di cittadinanza, abbiano mitigato l’estensione della povertà assoluta, consolidando alcuni risultati raggiunti con i provvedimenti del 2019. Probabilmente, le risorse destinate al sostegno al reddito nel corso del 2020 hanno evitato ad almeno 300mila persone l’entrata nella povertà assoluta. Tuttavia, sebbene negli ultimi anni anche in Italia siano stati fatti importanti passi avanti in termini di contrasto alla povertà assoluta, oggi quasi il 10% della popolazione si trova in tale condizione, con un incremento nel 2020 rispetto al 2019 di oltre un milione di poveri assoluti.

Senza una prolungata e intensa crescita economica, sarà improbabile un riassorbimento di tale massa di residenti in condizioni precarie, atteso che il debito pubblico si avvicina al 160% del PIL, circostanza che limita l’ulteriore attivazione massiccia del canale dell’indebitamento.

L’ossessione per la crescita dovrà essere la stella polare dell’azione del governo e il tema principale del dibattito pubblico. Sostenibile e inclusiva, certamente, purché sia crescita.

 

1.2 I primi mesi del 2021 e le prospettive a breve termine

Rispetto alle valutazioni di qualche mese fa, il quadro economico italiano è peggiorato. Le previsioni di novembre sulla possibilità di una ripresa, ancorché moderata, nel primo quarto dell’anno 2021 sono state smentite dai fatti.

Il PIL mensile Confcommercio, pur valutando una crescita tendenziale dell’attività economica in marzo (+7,3% rispetto a marzo 2020), indica in -1,5% la variazione congiunturale del primo quarto dell’anno nella metrica dei valori destagionalizzati, che si traduce in una riduzione di PIL del 2,6% rispetto al primo trimestre dello scorso anno.

I maggiori previsori nazionali e internazionali sono concordi nell’indicare una ripresa solo moderata nel secondo quarto dell’anno, collocando negli ultimi mesi del 2021 una più robusta risalita del prodotto nel nostro Paese, in concomitanza con la normalizzazione sanitaria e, quindi, di un forte allentamento degli attuali vincoli alla mobilità e all’attività d’impresa.

Il complesso di queste considerazioni porta all’esercizio previsionale i cui principali risultati sono presentati nella tabella 2, dalla quale si evince una certa cautela nel tracciare le prospettive di ripresa a breve termine, con una crescita di PIL e consumi limitata al 3,8% per l’anno in corso.

Occorre ricordare, peraltro, che una partenza debole dell’anno in corso pregiudica fortemente il raggiungimento di quel rimbalzo statistico attorno o sopra il 6% che è ancora nei documenti ufficiali del governo, ovviamente in corso di revisione e aggiornamento. Ciò avrà impatti peggiorativi anche sul quadro di finanza pubblica. Il disavanzo in percentuale del PIL nominale con molta probabilità, tenendo conto dell’ulteriore scostamento di bilancio di 20 miliardi di euro che il Governo si appresterebbe a richiedere dopo il DL Sostegni, supererà il 10% nell’anno in corso. Conseguentemente, il debito pubblico si attesterebbe sulla cifra record di quasi 2.745 miliardi di euro, pari a circa il 159% del PIL nominale.

Tab. 2 – Il quadro macroeconomico e di finanza pubblica
v.m.a. % in termini reali se non diversamente indicato

(a) La variazione del PIL incorpora il contributo alla crescita degli investimenti in scorte.
Elaborazioni USC su dati Istat e Banca d’Italia

 

  2008-18 2019 2020 2021
PIL(a) -0,4 0,3 -8,9 3,8
Importazioni di beni e servizi 0,5 -0,7 -12,6 7,1
Spesa delle famiglie residenti -0,2 0,3 -10,7 3,8
 – Spesa sul territorio economico -0,2 0,4 -11,7 3,8
Spesa delle A.P. e ISP -0,3 -0,8 1,2 1,4
Investimenti fissi lordi -0,3 1,1 -9,1 7,7
Esportazioni di beni e servizi -2,0 1,6 -13,8 6,8
Inflazione (IPC) 1,1 0,6 -0,2 1,3
Occupazione (ula in 000 – var. ass.) -981,1 27,5 -2.486,50 708,4
Indebitamento netto A.P. (mln. di euro)   -29.301 -156.338 -175.655
 – in % del PIL   -1,6 -9,5 -10,2
Debito lordo delle A.P. (mln. di euro)   2.409.904 2.569.248 2.744.903
 – in % del PIL   134,8 155,6 158,7
Per memoria:        
 – PIL nominale (mln. di euro)   1.790.942 1.651.595 1.730.126


Alle condivise speranze di un’accelerazione della ripresa economica, si oppone, prevalendo, il freddo operare dell’aritmetica: il difficile primo trimestre dell’anno in corso ha già pregiudicato l’entità del rimbalzo.

Tra gennaio e marzo 2021, come nei peggiori frangenti dell’anno passato, è mancata la componente della domanda aggregata più importante, cioè i consumi. Nel confronto tendenziale, appare scontata la riduzione rispetto ai primi due mesi del 2020, non intaccati dalle conseguenze della pandemia. Le nuove chiusure di marzo e aprile hanno, però, tolto vigore a quella pure minima spinta potenzialmente presente nei risparmi in eccesso accumulati dalle famiglie.

Le analisi empiriche sviluppate su questo argomento, evidenziano una frazione prevalente del risparmio in eccesso, sia a livello europeo, sia italiano, dovuta a motivazioni involontarie – oggettiva impossibilità di effettuare acquisti di beni e, soprattutto, di fruire di alcuni importanti servizi – e non di natura precauzionale (accumulazione dovuta a un processo di assicurazione auto-gestita contro i rischi di minori redditi futuri).

Il risparmio involontario, in certa misura, costituisce una molla favorevole per la ripresa.

La molla, però, non è stata rilasciata a causa delle nuove restrizioni, e non si è vista una crescita dei consumi. L’ultimo decreto che ha vincolato mobilità ed attività economiche in concomitanza con la Pasqua, sostanzialmente posiziona questo periodo del 2021 dentro uno scenario molto simile a quello del 2020. Si stima una perdita di consumi pari a 15 miliardi di euro rispetto a una condizione di “normalità economica” del mese in cui cade la Pasqua. Ben oltre la metà dei suddetti 15 miliardi, sono consumi persi dalla ristorazione e dagli alberghi che assieme ai trasporti e al commercio non alimentare continuano ad essere i settori più colpiti dai provvedimenti adottati per limitare la diffusione della pandemia.

I più recenti dati sul sentiment degli operatori purtroppo confermano queste congetture. Se nel complesso, a marzo, la fiducia di famiglie e imprenditori è stabile, nei settori appena citati si registra una riduzione significativa delle attese.

Da tutto ciò consegue con palmare evidenza, la necessità di provvedimenti di indennizzo e ristoro a quelle attività che rischiano di non giungere vitali all’agognato momento della ripartenza.

 

2. La crisi dei servizi durante la pandemia: il prodotto

Le nuove stime su occupazione e valore aggiunto nelle diverse branche di attività certificano l’impatto devastante della pandemia da SARS-CoV-2 sul segmento dei servizi market nell’economia italiana. Si appalesa il rischio concreto che la futura possibile crescita del sistema-Italia nel complesso, risulti compromessa per un lungo periodo di anni a venire, prima di riuscire a recuperare le posizioni perdute.

Le misure di contrasto adottate dal Governo per mitigare il diffondersi della pandemia ed evitare il collasso del sistema sanitario, si sono sostanzialmente limitate a forme di rigido confinamento (lockdown), riducendo drasticamente o azzerando in alcuni casi tutte le attività economiche connesse alla libera circolazione delle persone, con pesantissime ripercussioni soprattutto sulle attività dei servizi: da gran parte del commercio al dettaglio, all’area del turismo, in particolare il comparto horeca, ai trasporti e alle attività di entertainment, benessere e cura della persona.

Il crollo della domanda interna in termini reali, pari a -8,4% rispetto al 2019, il contributo pesantemente negativo della domanda estera netta e la spesa dei non residenti sul territorio (nella quasi totalità, turismo consumer), ridottasi da poco più di 44 a soli 17 miliardi, una flessione in doppia cifra di oltre il 60%, rappresentano i fattori che hanno condotto alla paralisi del mercato interno, con gli inevitabili riflessi marcatamente negativi anche dall'alto dell’offerta.

Il valore aggiunto in termini reali ha esibito pesanti contrazioni in tutte le branche produttive.

Il complesso dei servizi market ha registrato una flessione del prodotto del 9,6%, con differenze anche sensibili tra le sue diverse componenti. Il segmento del commercio, in virtù della tenuta del dettaglio alimentare, ha in certa misura contenuto le perdite, attestandosi a -7,3%. In doppia cifra, per contro, stanti le ragioni esposte dal lato della domanda dipendenti dal crollo dei flussi turistici, la contrazione nelle branche dei trasporti (-17,1%) e quella di eccezionale intensità nel comparto dei servizi di alloggio e ristorazione (-40,1%), una perdita di prodotto pari ad oltre otto volte quella più grave che si ricordi negli ultimi cinquant’anni per questo specifico settore, in corrispondenza degli impatti negativi sui flussi turistici successivi all’attentato alle Twin Towers del settembre 2001.

Anche tutto il comparto delle attività professionali, scientifiche e tecniche ha pesantemente risentito del fermo produttivo, accusando una flessione del valore aggiunto del 10,4% rispetto al 2019, mentre la branca più penalizzata subito dopo i settori connessi ai movimenti turistici è risultata quella delle attività artistiche, di intrattenimento e divertimento, il cui prodotto è diminuito rispetto al 2019 di oltre il 27%.

Tab. 3 – Prodotto, occupazione e produttività

Elaborazioni e stime Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat
  1995 2007 2019 2020 2019-2020
  valore aggiunto (composizione %) var. ass.
Agricoltura 3,3 2,1 2,1 2,2 0,1
Industria 29,2 26,5 23,8 23,8 0,0
Area Confcommercio 38,2 38,8 41,0 38,8 -2,2
Altre attività di servizi (compresa la P.A.) 29,4 32,6 33,0 35,2 2,2
Totale economia 100,0 100,0 100,0 100,0  
Totale economia (miliardi di euro correnti) 893,0 1.449,7 1.605,6 1.490,6 -115,0
  unità di lavoro (composizione %) var. ass.
Agricoltura 7,5 5,2 5,2 5,7 0,5
Industria 27,0 25,8 21,7 21,8 0,1
Area Confcommercio (terziario di mercato) 37,6 42,7 47,3 45,7 -1,5
Altre attività di servizi (compresa la P.A.) 27,9 26,3 25,8 26,7 1,0
Totale economia 100,0 100,0 100,0 100,0  
Totale economia (migliaia di unità) 22.660,6 25.106,1 24.152,5 21.666,0 -2.486,5
  valore aggiunto per ula (in euro 2020) var. %
Agricoltura 19.322 26.531 27.585 26.545 0,0
Industria 68.460 72.542 75.572 75.164 3,6
Area Confcommercio (terziario di mercato) 55.799 59.620 58.389 58.389 -2,1
Altre attività di servizi (compresa la P.A.) 77.730 81.947 85.637 90.432 10,4
Totale economia 61.996 66.931 67.516 68.800 2,8


La tabella 3, in un’ottica di lungo periodo, evidenzia come a causa degli eventi pandemici del 2020 e dei descritti impatti sulle dinamiche economiche, il processo di terziarizzazione dell’economia per le componenti market non solo appaia interrotto, ma addirittura retroceda di circa quindici anni, riportandosi sostanzialmente ai livelli del 2007.

Essendo il 2007 l’ultimo anno di crescita di un ciclo moderatamente espansivo (+1,5% medio annuo) che sembrava essersi avviato con la prima decade degli anni duemila, si deve sottolineare come la tragica ed epocale contrazione produttiva del 2020 si sia innestata su un tessuto economico già fragile e fortemente deteriorato a causa della prolungata fase di recessione-stagnazione successiva alla crisi finanziaria globale del 2008, tramutatasi l’anno seguente in crisi profonda dell’economia reale, le cui conseguenze, anche a causa delle turbolenze innescate dai rischi di default del debito sovrano per alcuni paesi dell’eurozona, avrebbero portato alle ulteriori recessioni del biennio 2012-13. Questo concatenamento di eventi avversi, anche per effetto dell’imposizione di politiche di consolidamento di bilancio fortemente restrittive richieste dalla Commissione Europea pur nel corso di una prolungata fase ciclica recessiva, ha fatto sì che – per rimanere nell’ambito di una metafora sanitaria – il contagio globale da coronavirus, nelle sue implicazioni sotto il profilo economico-produttivo, abbia aggredito un organismo divenuto gracile e privo di difese immunitarie sufficienti (ampliare in misura consistente il debito pubblico senza rischi di destabilizzazione), a causa dei permanenti squilibri macroeconomici di finanza pubblica.

La quota di valore aggiunto dei servizi rimane, dunque, nel 2020, al 74%, come nel 2019 (tab. 3) per un effetto di ricomposizione al suo interno. Infatti, a causa della pandemia, la quota imputabile all’Area Confcommercio, che copre la prevalenza dei servizi market, si è ridotta di oltre due punti, scendendo al 38,8%, tornando sui livelli del 2007. Per converso, la quota residuale dei servizi market e della considerevole componente non market (Amministrazione pubblica e difesa, assicurazione sociale obbligatoria, istruzione, sanità e assistenza sociale) ha accresciuto la propria incidenza di oltre due punti, compensando la contrazione dell’Area Confcommercio e lasciando così immutato il valore della quota dei servizi sul totale delle attività economiche.

Nella metrica delle unità standard di lavoro (lavoratori equivalenti a tempo pieno, per brevità Ula) le considerazioni e le dinamiche quantitative sono analoghe, con l’Area Confcommercio che evidenzia nel 2020 una flessione della propria incidenza sul totale di circa un punto e mezzo (tab. 4).

All’interno dei servizi è possibile delimitare diversi perimetri di analisi. Un ruolo centrale è assunto dall’Area Confcommercio, a cui resta da aggiungere soltanto una frazione residuale di attività dei servizi per individuare la dimensione del terziario di mercato. L’Area Confcommercio è costituita da gran parte delle attività terziarie market, corrispondenti, in linea di massima al perimetro di applicazione del CCNL e ai settori dei servizi professionali a imprese e famiglie svolti nell’ambito del lavoro autonomo. Sono, pertanto, escluse le attività finanziarie, assicurative e bancarie, i servizi erogati da unità istituzionali che svolgono attività di amministrazioni pubbliche (cioè connesse ai beni pubblici puri e ad istruzione e sanità pubbliche) e i servizi che non comportano input di lavoro (cioè gli affitti imputati). Il terziario di mercato, invece, è un aggregato più ampio, che comprende la parte di servizi market esclusa dall’Area Confcommercio e sempre al netto di quelli non associati ad input di lavoro. La tabella AT2, nell’Appendice Tecnica, chiarisce in dettaglio la riclassificazione operata sulle categorie ATECO per delineare il perimetro dell’Area Confcommercio.

L’analisi dei settori produttivi proposta in questa Nota presenta due importanti caratteristiche che consentono di delineare in forma più precisa e corretta, sotto il profilo metodologico, il perimetro dell’Area Confcommercio, soprattutto ai fini di una valutazione non distorta del prodotto per occupato.
La prima caratteristica consiste nell’aver eliminato il bias generato dall’inclusione nelle attività immobiliari di una serie di poste legate alle transazioni imputate (affitti effettivi e figurativi e altre transazioni, unitamente al ruolo del prelievo fiscale sugli immobili e del suo cambio di regime regolatorio, dall’ICI all’IMU, e al suo impatto sulle misure del valore aggiunto che, in base ai criteri contabili del SEC utilizzati all’interno dei paesi UE, si diversificano a seconda dell’inclusione/esclusione di contributi alla produzione e/o ai prodotti ed imposte indirette su produzione e prodotti). Tenendo conto di questi fattori, si è potuta effettuare una distinzione tra valore aggiunto delle attività immobiliari prodotto con input di lavoro e valore aggiunto delle medesime prodotto senza input di lavoro, in quanto formato da valori imputati e dunque non riconducibile ad attività d’impresa in senso stretto. In tal modo, l’Area Confcommercio risulta circoscritta proprio a tutte quelle attività che sono esercitate all’interno di strutture produttive basate su organizzazione aziendale e addetti, eliminando l’inconveniente di una errata sopravvalutazione del valore aggiunto per effetto delle attività immobiliari imputate, considerando che la loro incidenza si è accresciuta dal 6% circa del 1995 a quasi il 10% del 2020. Queste ultime, denominate Altre attività immobiliari senza input di lavoro, figurano esplicitamente nelle tabelle 3, 4 e 5 della presente Nota, all’interno dell’aggregato Altre attività di servizi market e non market e fanno parte dell’aggregato Altre attività di servizi (compresa la P.A.) nelle tabelle 3 e 4.
La seconda caratteristica è rappresentata da una stima più accurata della parte market dei servizi di istruzione e sanità e assistenza sociale, che sono in larga misura funzioni di spesa delle amministrazioni pubbliche sotto forma di prestazioni in natura erogate direttamente ai cittadini.
Nell’Area Confcommercio è stata inclusa solo la quota di produzione di questi servizi imputabile ad organizzazioni imprenditoriali e alle relative quote di occupati, attraverso un confronto dei dati di fonte Istat sia della Contabilità Nazionale, sia del Conto dei Settori Istituzionali e del Conto Consolidato delle Amministrazioni Pubbliche, nonché del Conto Annuale del Pubblico Impiego, elaborato dalla Ragioneria Generale dello Stato.
Per i dettagli relativi alle stime e alla definizione dell’Area Confcommercio, relativamente alle branche market incluse in tale aggregazione e allo loro ridenominazione rispetto all’ATECO 2007 dei conti economici nazionali, si rimanda all’Appendice Tecnica a fine testo.

L’Area Confcommercio approssima meglio di altre definizioni il macro-settore dell’economia reale caratterizzato dalla dimensione dei servizi alle persone e alle imprese in senso lato.

Fino al 2019, essa è cresciuta in tutto l’orizzonte pluri-ventennale di analisi, prima, durante e dopo le crisi a cavallo delle prime due decadi degli anni duemila, in termini di quote di valore aggiunto sul totale economia (tab. 3). Ancora più significativa è stata la sua crescita occupazionale. Ciò ha comportato, aritmeticamente, come si vede nella terza sezione della tabella 3, un andamento del prodotto per unità di lavoro standard, che ha evidenziato due fasi distinte: nella prima, tra il 1995 e il 2007, un incremento generalizzato della produttività del lavoro in tutti i grandi comparti produttivi; nella seconda, tra il 2008 e il 2019, una rallentamento della dinamica rispetto al periodo precedente, sebbene ancora positiva, con l’eccezione dell’Area Confcommercio che ha evidenziato una contrazione appena superiore al 2%.

La spiegazione di questo fenomeno, definibile come contraddizione della dinamica del valore aggiunto dei servizi di mercato, risiede nel fatto che fino al verificarsi dell’evento drammaticamente distorsivo della pandemia, che ha quasi azzerato pezzi considerevoli dei servizi market, il terziario al netto del comparto della P.A. ha rappresentato l’unico canale di sbocco occupazionale in grado di inserire forza lavoro nei suoi processi produttivi, a differenza degli altri segmenti di agricoltura e industria che hanno migliorato quel quoziente tra valore aggiunto e unità di lavoro in virtù di una riduzione delle seconde al crescere del primo o di una loro minore crescita o maggiore riduzione rispetto alla crescita o alla riduzione del valore aggiunto, come è facile argomentare attraverso le variazioni assolute dei livelli occupazionali di cui alla tabella 4. In altri termini, i miglioramenti di produttività dei comparti agricoli e della manifattura industriale si sono realizzati non con rendimenti di scala crescenti al crescere dell’input di lavoro, ma semplicemente implementando processi di tipo labour-saving a parità di prodotto. Una soluzione di efficienza che tuttavia non fa crescere in misura significativa la ricchezza prodotta dal sistema economico.

In generale, ed è da sempre un’evidenza aritmetica, il macro-settore che attrae occupazione se è in grado di generare crescita della produttività del lavoro diventa il pilastro per la crescita dell’intero sistema economico. Così non è stato. Le ragioni hanno radici nella ridotta dimensione delle unità produttive all’interno dei servizi di mercato e nelle deteriorate variabili di contesto: burocrazia, logistica, costo dell’energia, eccessivo carico fiscale. La rimozione di questi difetti, a parità di taglia media delle unità produttive, permetterebbe di valutare la “vera” produttività delle imprese micro, piccole e medie dei servizi e degli addetti che vi lavorano. Permetterebbe di apprezzare, in altri termini, anche nella comparazione internazionale, quanto vale il deficit di crescita dovuto alle variabili di contesto e quanto vale quello dovuto alla minore dimensione media. Un tema che dovrebbe attirare l’attenzione dei policy maker, perché se il sistema deve tornare a crescere ciò potrà realizzarsi solo agevolando la crescita della produttività nei settori storicamente attrattori di risorse, investimenti e capitale umano: vale a dire i servizi di mercato.

Che non ci siano grandi alternative realistiche a questa prospettiva è confermato dalla tabella 4 sull’occupazione per macro-settori.

Tab. 4 – Unità di lavoro totali per principali settori di attività
migliaia di unità

  1995 2007 2019 2020
Agricoltura 1.701 1.309 1.268 1.239
Industria 6.116 6.484 5.239 4.727
Area Confcommercio (terziario di mercato) 8.516 10.721 11.416 9.905
Altre attività di servizi (compresa la P.A.) 6.327 6.592 6.230 5.796
Totale economia 22.661 25.106 24.153 21.666
Elaborazioni e stime Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.
  1996-2007 2008-2019 2019-2020
Agricoltura -392 -41 -29
Industria 368 -1.245 -512
Area Confcommercio (terziario di mercato) 2.205 695 -1.511
Altre attività di servizi (compresa la P.A.) 266 -362 -435
Totale economia (migliaia di unità) 2.446 -954 -2.487


Tra il 1995 e il 2019 l’occupazione è cresciuta di oltre 2,9 milioni di unità (standard di lavoro, Ula) nell’Area Confcommercio. Nell’area degli altri servizi non si riscontrano variazioni positive, semmai una flessione di circa 100mila unità. La scomposizione di questa variazione in sottoperiodi è molto utile. Prima della crisi del 2009 la variazione complessiva dell’occupazione è stata per oltre il 90% dovuta all’Area Confcommercio (2,2 milioni di Ula rispetto agli oltre 2,4 milioni del totale economia). Durante la crisi e fino al 2019 l’unica crescita dell’occupazione è risultata ancora nei servizi di mercato (basti vedere i segni meno dei rimanenti settori). In poche parole, nell’ultimo quarto di secolo l’espansione dell’occupazione è stata materia esclusiva dell’Area Confcommercio, se si eccettua il periodo 2016-2018 in cui, fortunatamente, anche l’industria aveva mostrato qualche segnale di recupero.

Queste tendenze di lungo periodo sono state bruscamente vanificate dal dato del 2020 che, tuttavia, introduce una distorsione sotto il profilo di un corretto confronto statistico con il passato, in quanto le cadute verticali di produzione e input di lavoro sono state generate da uno shock contemporaneo di domanda e offerta non originato da mutate condizioni di mercato o da squilibri finanziari o da eventi imprevedibili in grado di alterare repentinamente le quotazioni delle materie prime (energetiche e non), come per le recessioni precedenti, ma da decisioni obbligate per la tutela della salute dei cittadini e per evitare il collasso del sistema sanitario. Quindi, la contrazione dell’8,6% registrata dal lato del valore aggiunto in termini reali per l’intera economia (-13,2% per l’Area Confcommercio) e quella dell’input di lavoro complessivo di quasi 2 milioni e 500mila unità (1 milione e 500mila per l’Area Confcommercio, tab. 4), entrambe nell’arco dello scorso anno, vanno registrate come un evento statistico, ma senza alcuna spiegazione riconducibile ad una qualche logica economica, se non quella del semplice operare meccanicistico dei coefficienti delle variabili indipendenti (lavoro e capitale) della funzione di produzione.

Tenendo conto di queste considerazioni di metodo relativamente al 2020, si può comunque procedere ad una valutazione di come il processo di terziarizzazione dal lato del prodotto e dal lato del fattore lavoro abbia influito nel lungo periodo sulla loro risultante, cioè la produttività del lavoro.

Non c’è dubbio che la terziarizzazione dell’occupazione non sia stata accompagnata dalla tenuta della produttività del lavoro.

La produttività del lavoro è un fattore decisivo per la crescita, sebbene non sia l’unico indicatore per misurare la produttività[3], e costituisce un ineludibile vincolo per l’impresa che opera in regime di massimizzazione del profitto – cioè di efficienza – relativamente alla remunerazione dell’input di lavoro. In altri termini, salari e stipendi possono crescere solo in ragione della crescita della produttività del lavoro. Se, dunque, la produttività del lavoro non cresce o cresce troppo poco, analogamente non potranno registrarsi incrementi dal lato redditi da lavoro e quindi della capacità di spesa delle famiglie, con effetti di feedback negativi sulla produzione delle imprese, in presenza di una domanda insufficiente. Si verrebbe così a generare, secondo il meccanismo del flusso circolare dell’economia, una situazione di pericolosa stagnazione che è quella in cui versa il nostro sistema produttivo ancora a distanza di dieci anni dalla fase acuta della recessione del 2009.

Con riferimento alle diverse branche di attività economica, la tabella 5 descrive e declina in dettaglio gli andamenti del prodotto medio per occupato – misurato dal rapporto tra valore aggiunto in volume, valori concatenati 2020, e unità di lavoro standard – focalizzando l’attenzione sui settori dell’Area Confcommercio.

In termini di livello di volume di prodotto per occupato, emergono differenze assai rilevanti tra le diverse branche di attività economica. I servizi nel loro insieme presentano un livello di poco superiore a quello dell’intera economia, poiché stabilmente negli ultimi anni i tre quarti circa del valore aggiunto e delle unità di lavoro si concentrano nei servizi complessivamente considerati. In estrema sintesi, sulla misura del prodotto medio per occupato incidono sia la dotazione di capitale tecnico che entra come input nella funzione di produzione, sia l’input di lavoro misurato dal numero di occupati. Ne consegue che i comparti più incisivamente labour intensive, come l’Area Confcommercio nel suo insieme, evidenzino livelli di produttività del lavoro inferiori alla media, mentre settori strutturalmente capital intensive ed a minore input di lavoro come quelli della manifattura industriale o alcune branche dei servizi (trasporto marittimo ed aereo, noleggio, editoria e telecomunicazioni e attività finanziarie e assicurative) presentino livelli di prodotto per occupato nettamente superiori alla media dell’intera economia.

Sotto il profilo dinamico, tra il 2014 e il 2019, il prodotto in rapporto alle unità di lavoro è complessivamente cresciuto in misura modesta, l’1,2% in termini di variazione cumulata (tab. 5), equivalente ad un ritmo medio annuo di appena lo 0,2%.

L’industria ha evidenziato un’evoluzione più brillante della media (+6,1% cumulativamente nel periodo), anche in virtù di una leggera contrazione occupazionale contrapposta alla crescita sostenuta del prodotto. Nettamente inferiore la performance dell’Area Confcommercio (+1,4%), che ha scontato il brusco deterioramento del tono dell’economia nel 2019 sul fronte della domanda interna, ma che ha continuato a svolgere il suo tradizionale ruolo di settore a maggior tenuta occupazionale, registrando un incremento delle Ula che ha quasi compensato quello del valore aggiunto, realizzando così una crescita più modesta della produttività del lavoro rispetto all’industria.

Tab. 5 – Valore aggiunto per Ula in valori concatenati 2020

Nota: (a) comprende anche il valore aggiunto generato dalle attività immobiliari senza input di lavoro (vedi (b)); (b) affitti effettivi per uso residenziale e non residenziale, affitti figurativi e altre transazioni immobiliari imputate. Elaborazioni e stime Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.
  2020 2020 2020 2014-2019
  euro 2020 var. ass. var. % var. ass. var. %
 Agricoltura 26.545 -1.041 -3,8 -2.067 -7,0
 Industria 75.164 -408 -0,5 4.344 6,1
 Servizi (1)+(2)(a) 70.217 2.215 3,3 30 0,0
 (1) Area Confcommercio 58.389 0 0,0 785 1,4
  (a) Commercio 59.193 2.644 4,7 6.631 13,3
  – Auto e moto 45.119 -3.088 -6,4 7.591 18,7
  – Ingrosso 82.547 4.650 6,0 12.906 19,9
  – Dettaglio 47.969 2.549 5,6 2.732 6,4
  (b) Trasporti e logistica 77.823 -6.983 -8,2 -577 -0,7
  – Trasporto terrestre 65.907 -4.466 -6,3 -5.522 -7,3
  – Trasporto marittimo 74.019 -16.469 -18,2 14.338 18,8
  – Trasporto aereo 141.531 -62.698 -30,7 95.965 88,6
  – Logistica 95.395 -7.064 -6,9 -3.006 -2,9
  – Servizi postali 46.426 346 0,8 -7.881 -14,6
  – Noleggio 173.634 -12.803 -6,9 7.424 4,1
  (c) Turismo, tempo libero e comunicazioni 60.986 3.579 6,2 -1.509 -2,6
  – Ristorazione e alloggio 38.718 -4.101 -9,6 -2.339 -5,2
  – Tour operator e agenzie di viaggio 35.759 -12.434 -25,8 -16.054 -25,0
  – Intrattenimento 52.172 -1.222 -2,3 2.724 5,4
  – Editoria 89.336 -2.748 -3,0 -13.964 -13,2
  – Telecomunicazioni 209.865 17.894 9,3 32.829 20,6
  – Servizi informatici 89.964 5.675 6,7 4.222 5,3
  (d) Altri servizi 51.152 -1.609 -3,0 -2.525 -4,6
  – Attività immobiliari con input di lavoro 84.672 -1.186 -1,4 8.014 10,3
  – Studi professionali 59.935 1.023 1,7 1.215 2,1
  – Società di ricerca 137.969 8.439 6,5 -10.729 -7,6
  – Marketing 45.010 -1.613 -3,5 -582 -1,2
  – Agenzie per il lavoro 35.002 -2.947 -7,8 -2.595 -6,4
  – Altri servizi alle imprese 39.662 -2.635 -6,2 -4.290 -9,2
  – Istruzione e servizi sanitari (market) 42.584 -3.565 -7,7 -4.400 -8,7
 (2) Altre attività di servizi market e non market 90.432 4.795 5,6 445 0,5
  – Attività finanziarie e assicurative 142.713 7.637 5,7 4.109 3,1
  – Amministrazioni pubbliche e altri servizi market 47.754 2.624 5,8 -1.841 -3,9
  – Altre attività immobiliari senza input di lavoro(b) - -  - - -
Totale economia 68.800 1.284 1,9 802 1,2


In particolare, i settori della distribuzione commerciale all’ingrosso e al dettaglio denotano variazioni cumulate elevate del prodotto per occupato (tab. 5), addirittura a due cifre nel caso dell’ingrosso (+19,9%), mentre il dettaglio si attesta al +6,4%. Anche il commercio di mezzi di trasporto (auto e moto) evidenzia un incremento cumulato in doppia cifra, poco al di sotto del 19%, complici i buoni andamenti delle immatricolazioni di auto/motoveicoli nel ciclo moderatamente espansivo conclusosi nel 2019. Le performance dei settori della distribuzione, così nettamente superiori alla media dell’intera economia, sono state favorite da variazioni occupazionali di entità diversa (tab. 5), decisamente elevate per auto/motoveicoli (+3,6%), più modeste nel caso del commercio al dettaglio (+1,1%) e significativamente negative per il comparto dell’ingrosso (-1,6%).

I rimanenti grandi rami produttivi dell’Area Confcommercio evidenziano, per contro, andamenti in chiaroscuro, con branche in recupero di efficienza contrapposte ad altre in calo di produttività.

Il comparto trasporti e logistica appare in sofferenza, soprattutto nelle componenti della modalità terrestre e della logistica (che da sole rappresentano il 90% del valore aggiunto dell’intero settore). Restano irrisolte le problematiche del gap fiscale sui carburanti rispetto ai partner europei e alla concorrenza dei vettori stranieri che operano con costi del lavoro sensibilmente inferiori. In aggregato, la flessione prossima all’1% del prodotto per occupato dell’intero comparto (tab. 5) dipende sostanzialmente dal settore del trasporto terrestre, in calo di oltre il 7% e dal segmento della logistica, che perde quasi il 3% in termini cumulati. Nel trasporto marittimo la crescita in doppia cifra del prodotto per occupato (+18,8%) è esaltata da un incremento del valore aggiunto che è pari a quasi tre volte la crescita dell’input di lavoro. Anche il trasporto aereo evidenzia, in termini statistici, una performance straordinaria di produttività (+88,6%), ma si tratta di un settore fortemente condizionato dalla vicenda Alitalia (prorogatio dei prestiti-ponte e piani industriali che prevedono riduzione di personale) e, quindi, una crescita del prodotto per occupato di tale entità risulta di ardua interpretazione sotto il profilo dell’analisi economica.

Le rimanenti attività dell’Area Confcommercio, collegate al turismo, alla fruizione del tempo libero e ai servizi professionali a imprese e famiglie, nel periodo 2014-19 hanno evidenziato in molti comparti flessioni della produttività, collegate sostanzialmente a crescite occupazionali più elevate del prodotto nel periodo considerato. Nelle branche dove, invece, si è registrato un incremento di prodotto per occupato, la dinamica di quest’ultimo è risultata superiore a quella dell’input di lavoro, probabilmente per effetto di un maggior contributo dello stock di capitale impiegato in virtù di un maggior flusso di investimenti.

Se queste sono le considerazioni che suggerisce l’analisi di lungo periodo, riguardo ai risultati del 2020 valgono le avvertenze già esposte sull’effetto distorsivo operato dalla pandemia nei confronti statistici. In generale, si può sinteticamente sostenere che tutte le attività connesse alla mobilità delle persone, dal commercio al dettaglio non legato agli acquisti di beni primari e/o di farmaci, ai trasporti di passeggeri, alle strutture ricettive e alla ristorazione, nonché alle attività ancillari del turismo come agenzie di viaggi e tour operator, fino ai comparti dell’intrattenimento e del benessere fisico, hanno evidenziato o un modesto miglioramento di produttività o un contenuto peggioramento, perché pur in presenza di contrazioni decisamente consistenti dell’input di lavoro (con il personale nella posizione di fruitore delle misure di sostegno al reddito predisposte dal Governo e quindi titolare del rapporto di lavoro ma non partecipante al processo produttivo), la flessione del valore aggiunto è risultata comunque superiore e ciò spiega la presenza del segno negativo. Per contro, in altri specifici segmenti dei servizi, come le telecomunicazioni, i servizi informatici, le società di ricerca, il prodotto medio per occupato ha registrato incrementi anche consistenti, trattandosi di comparti non toccati direttamente dal blocco delle attività imposto dai lockdown, che hanno potuto organizzare i processi produttivi in modalità immateriale e svincolata dalla presenza fisica sul luogo di lavoro dei dipendenti. Allo stesso tempo, altri comparti produttivi che hanno potuto continuare la propria attività con i propri dipendenti in lavoro da remoto hanno accresciuto la domanda di servizi informatici e per le telecomunicazioni, generando un incremento consistente di valore aggiunto per chi doveva offrire tali servizi.

Una riflessione conclusiva può essere svolta in relazione ai livelli di prodotto per occupato, al fine di individuare, anche nell’ottica di un proficuo utilizzo dei fondi Next Generation EU in materia di investimenti, quei settori produttivi che, con un adeguato accrescimento dello stock di capitale, potrebbero far incrementare in misura significativa la produttività del nostro sistema economico. Si tratta di quelle branche il cui prodotto medio per occupato si colloca significativamente al di sopra del 100% della media 2018 per l’intera economia, pari a oltre 67mila euro in termini reali. Il riferimento è, ad esempio, al trasporto aereo, 293%, al noleggio, 277%, alle telecomunicazioni, 263%, alle attività finanziarie e assicurative, 198%, alle società di ricerca, 193%, alla logistica, 153% e all’editoria, 140%, per citare la zona più alta della graduatoria. Realizzando investimenti in questi settori, per mantenere costante il rapporto capitale/occupato, al crescere in misura significativa dell’occupazione, crescerebbe in misura più che proporzionale, rispetto alla media del totale economia, l’output prodotto da quegli occupati, realizzando quei significativi incrementi di produttività del lavoro in grado di colmare il rilevante gap di crescita che da troppo tempo separa il sistema produttivo nazionale da quello dei nostri principali competitors a livello europeo e globale.

 

3. La crisi dei servizi durante la pandemia: l'occupazione

Come già evidenziato dal lato del prodotto, per la prima volta dal 1995 – da quando, cioè, sono disponibili serie storiche omogenee e confrontabili sul fenomeno – si riduce il peso del terziario di mercato (area Confcommercio) sul totale dell’economia (tab. 6). Se nel complesso i servizi, come il resto dei grandi aggregati di valore aggiunto, sono stabili, al loro interno sale la quota dei servizi pubblici, finanziari e bancari, e scende quella dei servizi non finanziari alle imprese e alle persone, definita, appunto, terziario di mercato. La riduzione in quota sul totale del valore aggiunto è di oltre due punti percentuali, riportandola ai livelli del 2007.

Tab. 6 – Valore aggiunto ai prezzi base
composizione % e livelli totale economia

Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat
  1995 2007 2019 2020
  composizione %
 Agricoltura 3,3 2,1 2,1 2,2
 Industria 29,2 26,5 23,8 23,8
 Servizi (1)+(2) 67,5 71,4 74,0 74,0
 (1) Area Confcommercio 38,2 38,8 41,0 38,8
  (a) Commercio 14,0 11,5 11,8 11,9
  – Auto e moto 1,5 1,2 1,2 1,0
  – Ingrosso 5,8 5,3 5,5 5,5
  – Dettaglio 6,8 5,0 5,2 5,3
  (b) Trasporti e logistica 5,7 5,8 6,2 5,8
  – Trasporto terrestre 2,8 2,9 2,9 2,8
  – Trasporto marittimo 0,3 0,3 0,2 0,2
  – Trasporto aereo 0,4 0,1 0,2 0,1
  – Logistica 1,4 1,7 2,1 2,0
  – Servizi postali 0,3 0,4 0,2 0,2
  – Noleggio 0,5 0,5 0,6 0,5
  (c) Turismo, tempo libero e comunicazioni 7,3 8,9 9,0 7,5
  – Ristorazione e alloggio 3,1 3,6 4,0 2,6
  – Tour operator e agenzie di viaggio 0,2 0,2 0,1 0,0
  – Intrattenimento 0,8 1,0 1,1 0,9
  – Editoria 0,8 0,8 0,5 0,5
  – Telecomunicazioni 1,4 1,8 1,0 1,0
  – Servizi informatici 1,1 1,6 2,1 2,4
  (d) Altri servizi 11,1 12,6 14,0 13,6
  – Attività immobiliari con input di lavoro 1,0 1,1 1,1 1,0
  – Studi professionali 3,9 4,1 4,3 4,3
  – Società di ricerca 1,0 1,1 1,0 1,1
  – Marketing 1,3 1,3 1,1 1,1
  – Agenzie per il lavoro 0,0 0,5 0,7 0,7
  – Altri servizi alle imprese 1,4 1,6 2,0 1,9
  – Istruzione e servizi sanitari (market) 2,4 2,9 3,6 3,5
 (2) Altre attività di servizi market e non market 29,4 32,6 33,0 35,2
  – Attività finanziarie e assicurative 4,7 5,6 4,9 5,0
  – Amministrazioni pubbliche e altri servizi market 16,2 16,2 15,7 16,9
– di cui: Amministrazioni pubbliche elenco S13 14,2 14,9 14,5 16,2
  – Altre attività immobiliari senza input di lavoro 8,5 10,8 12,4 13,3
Totale economia 100,0 100,0 100,0 100,0
Totale economia (miliardi di euro) 893,0 1.449,7 1.605,6 1.490,6


Per alcuni questo fenomeno costituirebbe un’opportunità, in quanto una delle cause meccaniche della ridotta produttività del lavoro negli ultimi venti anni in Italia conseguirebbe dallo spostamento del lavoro dai settori ad alto prodotto medio, come la manifattura, a quelli a minore produttività, come molti comparti dei servizi di mercato. Un ritorno al passato, insomma, verso una maggiore produttività.

Sfortunatamente queste suggestioni non funzionano né in teoria né in pratica. Su base planetaria, il processo di terziarizzazione non è in discussione, neppure sotto i colpi della pandemia. In Italia, il problema era ed è ancora di più oggi, rendere più produttivi i comparti di attività che sono stati e saranno ancora in crescita: i servizi di mercato. Non ci sono altre soluzioni credibili.

All’interno dell’area Confcommercio, nel 2020, sono stati i settori che operano nel turismo, nei trasporti e nei servizi d’intrattenimento che hanno conosciuto, in linea con i sensibili cali produttivi e della domanda, i regressi più significativi. Per alcuni l’incidenza del valore aggiunto sul totale è scesa a valori inferiori rispetto a 25 anni fa: in realtà, per settori come la ristorazione e l’alloggio si può immaginare che il salto indietro sia di almeno 40 anni, se si considera che la quota di valore aggiunto scende tra il 2019 e il 2020 dal 4% al 2,6%, e tale perdita di 1,4 punti percentuali assoluti è superiore all’incremento di peso conquistato negli ultimi cinque lustri, dal 3,1% del 1995 al 4% del 2019.

Probabilmente, alcuni osservatori e forse anche alcuni interlocutori presso le istituzioni politiche, ritengono che una volta rimossi i vincoli alla mobilità e alle attività produttive, la realtà si riconfiguri rapidamente tornando alla caratterizzazione pre-pandemica, con un immediato rifiorire del tessuto produttivo perso, l’acquisizione dei lavoratori espulsi e dei flussi turistici interni e internazionali che sono stati silenti o transitoriamente deviati su altre mete più pronte dell’Italia.

Questa visione rassicurante non è del tutto condivisibile. È vero che il tessuto produttivo ha mostrato in varie circostanze una grande vitalità in risposta a shock esogeni, ma non c’è alcuna garanzia di una ripresa miracolistica. È proprio l’intensità della crisi – e la sua concentrazione settoriale – a porre dei dubbi sulle reali capacità di ripresa o, se si vuole – ma è lo stesso – sui tempi dell’asserita ripresa. La diversione dei flussi turistici, per esempio, per quanto temporanea, potrebbe avere, per una frazione rilevante della domanda internazionale, effetti duraturi.

Tutto ciò implica tanto l’urgenza di definire un percorso di normalizzazione, subordinato con trasparente evidenza agli obiettivi di contenimento della pandemia, sia la provvista di adeguati sostegni alle imprese più colpite dalla crisi.

Quanto registrato nell’ultimo anno sul versante produttivo si è inevitabilmente trasferito sul mercato del lavoro. Le conseguenze sull’occupazione derivanti dalla crisi produttiva innescata dalla pandemia richiedono una lettura su più livelli (tab. 7).

Il piano di misure messe in atto, anche con il sostegno europeo, è stato volto alla conservazione del posto di lavoro e al sostegno, sia pure parziale, al reddito. Ciò si è tradotto in una riduzione degli occupati (-2,1% gli occupati-teste di Contabilità nazionale) molto meno intensa rispetto alla caduta del PIL (-8,9%), coinvolgendo, comunque, fasce particolarmente deboli del mercato del lavoro, come gli stagionali, i lavoratori con contratto a tempo determinato e tutte quelle figure meno regolamentate e tutelate. La circostanza che nel terziario di mercato la quota di occupazione femminile presenti un’accentuazione rispetto ad altri settori ha penalizzato significativamente le lavoratrici: sono poco meno del 51% degli occupati nel terziario, il 44% nel commercio e negli alberghi, il 25,6% nell’agricoltura e il 21,3% nell’industria.

Stando alle forze di lavoro oltre il 54% dei posti persi nel terziario riguarda le donne, il 59% delle quali svolgeva un lavoro a tempo parziale.

In generale, la gravità della crisi va letta nella metrica dell’effettivo input di lavoro, per esempio attraverso le Ula (tab. 7).

In termini di unità di lavoro standard[4] (Ula) la riduzione è stata di poco meno di 2,5 milioni (-10,3%. Il confronto con la perdita cumulata di poco più di 1,8 milioni di unità registrata nell’intero periodo della doppia crisi economico-finanziaria del periodo 2008-2013 rende abbastanza chiara l’eccezionalità degli eventi osservati nell’anno passato.

Tab. 7 – Unità di lavoro totali
composizione %, variazioni assolute in migliaia e var. %

Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.
  1995 2007 2019 2020 2020 2020 2014-2019
  composizione % var. ass. in migliaia var. % var. ass. in migliaia var. %
Agricoltura 7,5 5,2 5,2 5,7 -29,1 -2,3 68,0 5,7
Industria 27,0 25,8 21,7 21,8 -512,3 -9,8 -14,8 -0,3
Servizi (1)+(2) 65,5 69,0 73,1 72,5 -1.945,1 -11,0 859,7 5,1
(1) Area Confcommercio 37,6 42,7 47,3 45,7 -1.510,6 -13,2 932,6 8,9
(a) Commercio 14,9 14,4 13,9 13,8 -383,8 -11,4 15,0 0,4
- Auto e moto 1,6 1,7 1,6 1,6 -38,9 -10,1 13,4 3,6
- Ingrosso 4,4 5,1 4,7 4,6 -129,4 -11,5 -17,9 -1,6
- Dettaglio 8,8 7,6 7,7 7,6 -215,5 -11,6 19,5 1,1
(b) Trasporti e logistica 4,6 4,8 5,2 5,1 -139,7 -11,2 83,6 7,2
- Trasporto terrestre 2,7 2,7 2,9 2,9 -71,0 -10,1 37,1 5,6
- Trasporto marittimo 0,1 0,2 0,2 0,2 -15,6 -32,4 5,0 11,5
- Trasporto aereo 0,1 0,1 0,1 0,0 -7,7 -50,6 -1,2 -7,1
- Logistica 0,9 1,4 1,5 1,5 -39,8 -11,1 38,8 12,2
- Servizi postali 0,6 0,4 0,3 0,4 1,1 1,4 -4,6 -5,7
- Noleggio 0,1 0,1 0,2 0,2 -6,7 -13,8 8,5 21,3
(c) Turismo, tempo libero e comunicazioni 7,6 8,9 10,4 8,5 -659,0 -26,3 323,9 14,9
- Ristorazione e alloggio 4,5 5,1 6,3 4,7 -513,9 -33,7 245,1 19,2
- Tour operator e agenzie di viaggio 0,1 0,2 0,2 0,1 -34,7 -70,4 4,8 10,9
- Intrattenimento 1,1 1,3 1,4 1,2 -87,8 -25,5 33,3 10,7
- Editoria 0,4 0,5 0,4 0,4 -5,4 -5,7 -0,1 -0,1
- Telecomunicazioni 0,5 0,4 0,3 0,3 -3,0 -3,9 -9,4 -10,8
- Servizi informatici 0,9 1,4 1,7 1,8 -14,2 -3,5 50,2 13,9
(d) Altri servizi 10,5 14,6 17,8 18,3 -328,1 -7,6 510,0 13,5
- Attività immobiliari con input di lavoro 0,7 0,8 0,9 0,8 -31,3 -15,1 7,1 3,5
- Studi professionali 2,9 4,3 4,9 5,0 -96,5 -8,2 56,3 5,0
- Società di ricerca 0,3 0,5 0,5 0,5 -10,6 -8,2 12,0 10,3
- Marketing 1,2 1,5 1,7 1,7 -32,9 -8,2 29,7 8,0
- Agenzie per il lavoro 0,1 0,7 1,3 1,3 -38,6 -12,1 146,7 84,9
- Altri servizi alle imprese 2,0 2,7 3,3 3,3 -72,0 -9,1 81,8 11,6
- Istruzione e servizi sanitari (market) 3,4 4,0 5,3 5,7 -46,2 -3,6 176,5 16,0
(2) Altre attività servizi market e non market 27,9 26,3 25,8 26,7 -434,5 -7,0 -72,9 -1,2
- Attività finanziarie e assicurative 2,7 2,6 2,3 2,4 -44,2 -7,8 -34,6 -5,8
- Amministrazioni pubbliche e altri servizi market 25,2 23,6 23,5 24,3 -390,3 -6,9 -38,3 -0,7
 – di cui: Amministrazioni pubbliche elenco S13 16,4 14,5 13,7 14,8 -119,5 -3,6 -40,3 -1,2
- Altre attività immobiliari senza input di lavoro - - - - - - - -
Totale economia 100,0 100,0 100,0 100,0 -2.486,5 -10,3 912,9 3,9
Totale economia 22.661 25.106 24.153 21.666        


Ancora più significativa è stata la contrazione in termini delle ore lavorate (-11%), grandezza alla base del calcolo delle Ula.

La riduzione dell’input di lavoro seppure ha interessato la quasi generalità dei comparti produttivi, ha assunto, in linea con l’impatto che hanno avuto le misure di contrasto alla pandemia sull’attività dei diversi settori, intensità molto diverse. Delle circa 2,5 milioni di Ula perse tra il 2020 ed il 2019 oltre 1,9 milioni (il 78,2%) si concentra nel settore dei servizi, principalmente tra i settori che rientrano all’interno del terziario di mercato (Area Confcommercio), che segnalano una caduta di oltre 1,5 milioni di unità standard. Il terziario di mercato ha conosciuto dal 1995 una perdita di occupazione solo in tre occasioni: 2009 (-198mila unità), 2012 (-12mila) e 2013 (-238mila). Durante questi episodi il resto dei settori conobbe diminuzioni ben più accentuate. Dal 1995, quindi, il peso dell'occupazione di questo aggregato sul totale è stato sempre crescente (solo nel 2005 stabile sul 2004). La quota di occupazione nel terziario di mercato è passata dal 37,6% del 1995 al 47,3% del 2019. Nel 2020 la quota di occupazione impiegata nel terziario di mercato è scesa di 1,6 punti percentuali attestandosi al 45,7%.

I cali più sensibili, in linea con quanto rilevato per gli altri indicatori, si registrano nei settori del turismo, della mobilità e delle attività per il tempo libero, nei quali, tra l’altro, sono più presenti i lavoratori stagionali.

 

4. I nostri dubbi sull’indice di restrizione del commercio al dettaglio costruito dalla Commissione europea (e richiamato dall’AGCM)

Nella recente Segnalazione dell’AGCM inviata al Presidente del Consiglio dei Ministri[5] si legge che “(…) la Commissione europea sottolinea che nessun progresso è stato compiuto nell’affrontare le restrizioni alla concorrenza, che restano elevate nel settore del commercio al dettaglio. Dall’indicatore Product Market Regulation 2018 dell’Ocse e dall’indicatore di restrittività della commissione europea (RRI, Retail Restriction Index), emerge che l’Italia è lo stato membro più restrittivo per quanto riguarda la regolamentazione relativa alla creazione di nuovi negozi e il secondo più restrittivo con riferimento sia agli stabilimenti commerciali sia alle operazioni quotidiane dei dettaglianti”.

Queste ben note considerazioni sono in forte contrasto con il comune sentire che vede il settore del commercio al dettaglio tra i più liberalizzati in assoluto e nella comparazione tra i diversi ambiti di attività economica.

La distonia potrebbe nascere dalla circostanza che la Commissione adotta un indice di restrizione, appunto l’RRI, viziato, a nostro avviso, da rilevanti difetti di cui diamo conto nel seguito di questo riquadro.

Rileviamo la contraddizione tra la posizione in classifica dell’Italia secondo il RRI – che indicherebbe un alto grado di restrizione al commercio nel nostro Paese – e l’evidenza empirica relativa ad almeno tre parametri: l’elevato tasso di turnover delle imprese, la crescita della concentrazione della grande distribuzione e la contestuale capillarità territoriale delle imprese al dettaglio. Se vigesse il presunto grado di restrizione il turn over dovrebbe essere basso, le quote di mercato dovrebbero variare poco, dovrebbe essere impossibile avere molte imprese in competizione tra loro.

Lo schema adottato dalla Commissione è: maggiori vincoli implicano meno concorrenza e quindi meno benefici per i consumatori. Tuttavia, l’RRI tiene conto solo delle presunte cause – le restrizioni – ma non degli effetti.

Si propone pertanto, oltre a una semplificazione della struttura dell’indice, la costruzione del terzo pilastro che raccolga le evidenze sullo stato effettivo del funzionamento del mercato concorrenziale nei diversi Paesi europei.

Sotto il profilo della semplificazione si propongono due modifiche (salvo gli approfondimenti che andranno fatti in sede tecnica):

  1. eliminare un paio di indicatori che costituiscono dei duplicati di un medesimo indicatore o, detto altrimenti, espungere dal computo dell’RRI indicatori che tra loro presentano una correlazione superiore a 0,7-0,75;
     
  2. passare da due a tre pilastri con uguali valori di ponderazione (3 pesi ciascuno dei quali uguale a 1/3) superando l’irragionevole attuale ponderazione dei due pilastri 60-40.

Modifica nr. 1

Eliminare le correlazioni eccessive, cioè estrarre solo la genuina informazione contenuta nei singoli indicatori evitando duplicazioni; si suggerisce di eliminare sia per ragioni logiche (si riferiscono quasi sempre al medesimo fenomeno) sia per l’evidenza di una correlazione pari a 0,84, o l’indicatore numero 5 – numero di permessi richiesti – oppure l’indicatore 6 – numero di soggetti pubblici da contattare.

Modifica nr. 2

È la proposta più importante che riguarda i risultati delle legislazioni nazionali alla prova dei fatti; il pilastro che si propone di aggiungere, basato sulle evidenze (evidence based pillar), sarà costituito dalla media aritmetica di tre indicatori:

3.1 (terzo pilastro, primo indicatore) rapporto tra numero di negozi al dettaglio e popolazione residente: quanto è più alto, minore è il potere di mercato che ciascun soggetto può esercitare senza che lo stesso potere di mercato scompaia in tempi ragionevoli per l’operare delle forze concorrenziali; questo indicatore fa riferimento alle esternalità positive prodotte dalla capillarità dei negozi fisici in termini di vivibilità degli agglomerati urbani grandi e piccoli e costituisce un fattore di coesione sociale, antidoto contro la marginalizzazione e il disagio delle fasce più deboli della popolazione[6];

3.2 (terzo pilastro, secondo indicatore) rapporto di concentrazione delle vendite (fatturato) pari alla quota di mercato delle prime cinque imprese sul totale fatturato del commercio al dettaglio; maggiore è il grado di restrizione maggiore è la quota di mercato degli incumbent.

3.3 (terzo pilastro, terzo indicatore) turn-over delle imprese del commercio al dettaglio, pari alle imprese iscritte più le imprese cessate diviso lo stock di imprese attive al periodo precedente; maggiore è il grado di restrizione minore dovrebbe risultare la natalità o la nati-mortalità delle imprese, visto che le restrizioni comunque costituirebbero barriere all’entrata.

Ora, nel discussion paper della Commissione finalizzato a sollecitare le proposte di revisione dell’RRI, si chiarisce che le modificazioni non dovrebbero riguardare aspetti di performance, ma solo di legislazione. Si indica, tuttavia, che gli aspetti di performance saranno considerati in futuro. Crediamo che il futuro sia oggi.

Anche per una ragione specifica che richiede una digressione tecnica – ma non complessa – che si ritiene d’importanza capitale per la comprensione, la condivisione, l’upgrade e diffusione dell’RRI.

Gli estensori dell’RRI adottano un paradigma semplice: come detto, maggiori restrizioni implicano peggiori performance del commercio in termini di benessere del consumatore. Per questa ragione non ci devono essere indicatori di performance dentro l’RRI, il quale, appunto, le determina. Come a dire che non si possono mescolare cause ed effetti.

In un paper riguardante il controllo statistico dell’RRI[7] si afferma che i pesi attribuiti ai vari indicatori elementari di cui si compone l’RRI sono stati definiti sulla base dei giudizi degli esperti e sulla base di analisi di regressione rispetto a variabili economiche rilevanti: il tasso di natalità delle imprese, il livello dei prezzi nei vari paesi, la concentrazione del mercato e altri. Si vede abbastanza chiaramente che il tentativo, più che legittimo, è quello di collegare comunque i risultati dell’RRI a variabili di performance; addirittura, anzi, tali variabili di performance avrebbero contribuito a disegnare i fattori di ponderazione dell’indice.

Abbiamo provato a testare, quindi, il funzionamento dell’indice RRI, semplicemente verificando se le previsioni teoriche che ne costituiscono le fondamenta sono poi rintracciabili nell’evidenza empirica, esattamente come sembra suggerire il paper appena citato (in nota). Questo tipo di analisi è già contenuta in una nota in riferimento (USC, 2018, giugno), ma viene qui aggiornata in modo semplificato e diretto. I risultati sono presentati nella tabella 8. Meritano solo un breve commento.

Tab. 8 – L’RRI come determinante delle performance del commercio al dettaglio
regressione livello prezzi 2018 in funzione di RRI

Elaborazioni USC su dati Eurostat e European Commission – Commission Staff Working Document, “A European retail sector fit for the 21st century”, {COM(2018) 219 final} - {SWD(2018) 237 final}.

regressione livello prezzi 2018 in funzione di RRI

(1.1)   RRI cost
coeff   17,76 55,43
t-stat   3,55 5,25
R2 0,33    
n-k 26    

regressione del birth rate 2017 in funzione di RRI

(Cipro escluso per mancanza di dati)
(3.1)   RRI cost
coeff   -0,71 10,31
t-stat   -10,7 7,48
R2 0,04    
n-k 25    

regressione livello prezzi 2018 in funzione di RRI con dummy su 9 paesi dell'EST

(1.2) dummy RRI cost
coeff -35,36 2,42 97,02
t-stat -3,82 0,42 7,01
R2 0,57    
n-k 25    

regressione del birth rate 2017 in funzione di RRI con dummy su 9 paesi dell'EST*

(Cipro escluso per mancanza di dati)
(3.2) dummy RRI cost
coeff 2,57 0,44 7,23
t-stat 1,84 0,049 3,39
R2 0,16    
n-k 24    

regressione del churn rate 2017 in funzione di RRI*

(Cipro e Polonia esclusi per mancanza di dati)
(2.1)   RRI cost
coeff   -2,33 22,64
t-stat   -1,57 7,30
R2 0,09    
n-k 24    

regressione densità commerciale in funzione di RRI (nr. negozi su pop)

(4.1)   RRI cost
coeff   -1,98 12,46
t-stat   -1,32 4,01
R2 0,06    
n-k 25    

regressione del churn rate 2017 in funzione di RRI con dummy su 8 paesi dell'EST*

(Cipro e Polonia esclusi per mancanza di dati)
(2.2) dummy RRI cost
coeff 7,35 0,82 14,22
t-stat 2,44 0,44 3,19
R2 0,28    
n-k 23    

regressione densità commerciale in funzione di RRI (nr. negozi su pop.) con dummy su 9 Paesi dell'Est*

(Cipro escluso per mancanza di dati)
(4.2) dummy RRI cost
coeff 6,65 0,99 4,51
t-stat 2,15 0,50 0,96
R2 0,22    
n-k 24    


Il primo test sul funzionamento – sul senso – dell’RRI riguarda la sua relazione con il livello dei prezzi (tab. 8, panel 1.1): a maggiori restrizioni sul commercio al dettaglio dovrebbe corrispondere un maggiore livello medio dei prezzi al consumo (le fonti dei dati, tutti ufficiali, sono in nota alla tab. 1). Sembra essere così, perché il coefficiente dell’RRI è positivo e significativo (t-stat 3,55). Però aggiungendo una variabile dummy che permette alla costante della precedente regressione di essere diversa per i Paesi dell’Est (panel 1.2) la significatività statistica scompare: l’RRI non influenza il livello medio dei prezzi al consumo. Confrontando i risultati di panel 1.1 e panel 1.2 si vede benissimo che la costante, che dà conto di quanto sarebbe il livello medio dei prezzi, una volta che è suddivisa tra Paesi europei del primo nucleo e paesi dell’Est, indica che sono questi ultimi ad avere un livello medio dei prezzi particolarmente basso (che determina la dummy negativa nel panel 1.2). Il che fornisce una conclusione robusta e per nulla sorprendente: il livello medio dei prezzi non ha a che fare con l’RRI, ma con il livello del reddito pro capite, largamente più basso nei Paesi a basso reddito e piuttosto privi di burocrazia (quindi con RRI più esiguo). Il risultato fuorviante del panel 1.1 è dato dalla circostanza che i Paesi dell’Est europeo hanno basso RRI e basso livello dei prezzi, fenomeno privo di causalità, ma che comunque spinge il coefficiente ad assumere valori positivi.

Il secondo esercizio riguarda la relazione delle restrizioni con il churn rate, parametro dato dalla somma di imprese del commercio al dettaglio iscritte e cessate rispetto allo stock di imprese attive nell’anno immediatamente precedente. La teoria prevede che molte restrizioni riducano questo tasso perché sarebbero presenti barriere all’entrate: quindi meno natalità, meno competizione tra imprese e meno mortalità.

Il panel 2.1 presenta un valore negativo dell’RRI, ma scarsamente significativo sotto il profilo statistico (non sarebbe diverso da zero con elevata probabilità). Un valore negativo è, comunque, coerente con la previsione della teoria, inserendo però la solita dummy che seleziona l’Est-Europa non solo la significatività dell’RRI scompare del tutto, ma il segno addirittura cambia.

RRI e churn rate non hanno granché a che fare l’uno con l’altro.

Dai documenti della Commissione europea sembra, stranamente, che gli estensori dell’RRI preferiscano al churn rate il birth rate come indicatore di vitalità delle imprese al dettaglio. È una scelta singolare: la natalità non può essere distinta dalla mortalità; se i fenomeni fossero indipendenti il numero di imprese sul mercato tenderebbe a crescere indefinitamente. Abbiamo comunque fatto la prova con il birth rate: nel panel 3.1 si osserva un coefficiente negativo coerente con la teoria: al crescere dell’RRI cala il tasso di natalità delle imprese del commercio al dettaglio. Disgraziatamente la significatività è troppo bassa per prendere sul serio questa evidenza. D’altra parte, se si aggiunge la solita dummy per i Paesi dell’Est, anche in questo caso come nel precedente, il coefficiente dell’RRI cambia di segno (con nessuna significatività). Conclusioni come sopra: l’RRI con la natalità delle imprese del commercio al dettaglio non ha nulla a che fare.

Una prova cui attribuiamo particolare valore è quella relativa alla potenziale relazione tra restrizioni e densità commerciale: un contesto caratterizzato da un elevato grado di restrizioni dovrebbe abbassare la densità commerciale (numero negozi per mille abitanti) e per diverse ragioni che dovrebbero essere evidenti. Anche nel caso dei panel 4.1 e 4.2 si ripete il pattern già osservato e le conclusioni già evidenziate. L’RRI non presenta correlazioni rilevanti neppure con la densità commerciale.

Sintetizzando. È vero che un indice di restrizione potrebbe non considerare gli effetti, ma solo le cause delle suddette restrizioni, cause ragionevolmente esogene rispetto alle dinamiche economiche. È altrettanto vero che un indice di qualcosa deve presentare qualche correlazione con il supposto “qualcosa”: giusto per vedere se la sua costruzione conferma una connessione, almeno debole, tra teoria e risultati.

Tutto ciò non accede nel caso dell’RRI.

È per questa ragione che abbiamo formulato la proposta del terzo pilastro basato sulle evidenze empiriche riguardanti le performance del commercio al dettaglio secondo i più diffusi parametri allo scopo utilizzati. La costruzione dell’RRI a tre pilastri consentirebbe, comunque, la duplice visione della vecchia versione (con pesi 50-50 per entrambi i pilastri riformati come suggerito con la modifica nr. 1) e della nuova versione a tre pilastri (con pesi uguali a un terzo).

Naturalmente, la definizione degli indicatori del terzo pilastro sarebbe facilmente rapportata alla metrica (0-6) degli altri pilastri (Paese con peggiore indicatore pari a 6 e gli altri Paesi con punteggi decrescenti in proporzione della variabile continua rappresentata dall’indicatore da rendere proporzionale al valore del Paese peggiore: se, per esempio, per la densità commerciale il Paese peggiore presenta 5 e un altro presenta 10 (negozi per 1000 abitanti), il Paese peggiore avrà punteggio 6 e l’altro 3). Non è questa la sede per esplorare i dettagli tecnici delle metriche più opportune da adottare per le suddette valutazioni. Una soluzione ragionevole sarà certamente disponibile. È la mancanza del pilastro empirico, riguardante i risultati reali della legislazione sul commercio, che non può essere ulteriormente accettata.

 

5. Demografia d’impresa

Sulla base dei dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio, le imprese attive dell’Area Confcommercio rappresentano il 54,7% del totale delle imprese contro il 52,1% del 2012, mentre il settore dell’agricoltura e dell’industria rappresentano in quota il 14,1% e il 24,1% delle imprese (rispettivamente 1,3 e 1,8 punti percentuali in meno rispetto al 2012).

È un mutamento strutturale, consolidatosi progressivamente negli ultimi decenni, che fa emergere il ruolo fondamentale dei servizi di mercato nel generare nuove opportunità imprenditoriali specialmente nelle aree più deboli del Paese

Come già detto nei paragrafi precedenti, questi trend subiscono una battuta d’arresto nel 2020, a causa della pandemia e delle restrizioni alla mobilità e all’attività produttiva che hanno colpito soprattutto il terziario di mercato, la cui contrazione non si vede, però, dalla demografia d’impresa dell’anno passato. Ancora oggi, infatti, l’economia italiana permane in uno stato di attesa, di ibernazione: blocco dei licenziamenti, attesa di qualche indennizzo, cassa integrazione estesa e riduzione dell’attività giudiziaria, non fanno emergere né le reali chiusure delle aziende né il potenziale tasso di fallimento. Nel futuro prossimo la forbice tra realtà e suoi riflessi formali si chiuderà ed emergerà anche nei registri camerali, la riduzione effettiva del numero di aziende attive.

I dati riportati in questo paragrafo sono una testimonianza inequivocabile di tali fenomeni: nel 2020 non solo e non tanto si riduce il tasso di creazione di nuove imprese bensì, soprattutto, si riduce il tasso di mortalità delle stesse e si riduce in maniera storicamente eccezionale.

Pur con differenze settoriali, queste tendenze sono complessivamente piuttosto diffuse.

Fa ben sperare, dentro l’incerto futuro, l’irrobustirsi del fenomeno di progressiva trasformazione del terziario di mercato da un grande comparto di piccole e piccolissime imprese a un grande comparto di imprese piccole e medie, sebbene le individuali siano ancora molto presenti (e ne costituiscono, comunque, un fattore di ricchezza). Non solo cresce un po’ la taglia media delle unità produttive: migliora anche la tipologia di governance, manifestandosi un diffuso spostamento del tessuto produttivo, negli ultimi dieci anni e senza soluzione di continuità, dal modello della ditta individuale a quello della società, di persone e di capitali.

I numeri parlano da sé, qui è il caso di dirlo. Nel seguito, per i settori del terziario di mercato, per ciascuno dei grandi comparti in cui sono raggruppati, vengono presentate tre semplici tabelle: la prima sulla numerosità e sul peso delle imprese attive rispetto al totale, da cui si può desumere sia il trend espansivo degli ultimi dieci anni sia l’importanza relativa del settore rispetto al comparto di appartenenza e al totale economia; la seconda tabella dà conto delle modificazioni nel fare impresa dal punto di vista giuridico, che naturalmente rispecchia l’evoluzione del terziario verso forme più complesse di gestione dell’azienda; la terza tabella, infine, confronta la nati-mortalità del 2020 con quella di un anno “normale” come il 2019 facendo emergere con chiarezza l’eccezionalità, di cui si è detto, del difficile anno appena passato.

Le informazioni contenute nelle tabelle sono tutte elaborazioni dell’Ufficio Studi Confcommercio su dati Movimprese.

 

Commercio

Tab. 9 – Numerosità e peso % delle imprese attive

 
  Attive 2012 Attive 2020
  n. peso % n. peso %
Commercio 1.419.366 27,1 1.355.822 26,3
 -Auto, moto 149.996 2,9 159.247 3,1
 -Ingrosso 454.014 8,7 439.422 8,5
 -Dettaglio 815.356 15,6 757.153 14,7
Totale Economia 5.239.924 100,0 5.147.514 100,0

Tab. 10 – Imprese per forma giuridica
quote %

Nota: (1) società per azioni, società a responsabilità limitata, società in accomandita per azioni; (2) società in nome collettivo, in accomandita semplice, società di fatto; (3) Impresa di cui è titolare una persona fisica; (4) impresa con forma giuridica diversa dalle precedenti (ad esempio società cooperativa, consorzio).
  quote % – anno 2012
  società di capitale (1) società di persone (2) ditte individuali (3) altre forme (4) totale
Commercio 14,7 16,2 68,5 0,5 100,0
 -Auto, moto 16,8 23,0 59,8 0,4 100,0
 -Ingrosso 24,3 13,4 61,5 0,8 100,0
 -Dettaglio 9,0 16,5 74,1 0,4 100,0
Totale Economia 18,4 16,9 62,2 2,4 100,0
  quote % – anno 2020
  società di capitale (1) società di persone (2) ditte individuali (3) altre forme (4) totale
Commercio 20,4 13,5 65,5 0,5 100,0
 -Auto, moto 23,6 18,4 57,6 0,4 100,0
 -Ingrosso 30,7 10,9 57,6 0,7 100,0
 -Dettaglio 13,7 14,0 71,8 0,5 100,0
Totale Economia 24,6 14,4 58,5 2,6 100,0


Tab. 11 – Nati-mortalità
anni 2019 e 2020 (*)

Nota: (*) il numero delle cessate comprende le cessazioni d'ufficio.

  2019 2020
  iscritte cessate saldo iscritte cessate saldo
Commercio 55.645 104.307 -48.662 46.256 85.674 -39.418
 -Auto, moto 6.196 8.460 -2.264 4.960 7.341 -2.381
 -Ingrosso 19.916 33.208 -13.292 16.245 27.409 -11.164
 -Dettaglio 29.533 62.639 -33.106 25.051 50.924 -25.873
Totale Economia 353.052 362.218 -9.166 292.308 307.686 -15.378

 


Trasporti e logistica

Tab. 12 – Numerosità e peso % delle imprese attive

 
  Attive 2012 Attive 2020
  n. peso % n. peso %
Trasporti e logistica 178.652 3,4 167.180 3,2
-Trasporto terrestre 129.521 2,5 113.458 2,2
-Trasporto marittimo 2.022 0,0 2.417 0,0
-Trasporto aereo 212 0,0 194 0,0
-Logistica 24.853 0,5 26.965 0,5
-Servizi postali 3.642 0,1 4.146 0,1
-Noleggio 18.402 0,4 20.000 0,4
Totale Economia 5.239.924 100,0 5.147.514 100,0

Tab. 13 – Imprese per forma giuridica
quote %

Nota: per la legenda cfr. tab. 10
  quote % – anno 2012
  società di capitale (1) società di persone (2) ditte individuali (3) altre forme (4) totale
Trasporti e logistica 19,1 13,4 61,3 6,1 100,0
-Trasporto terrestre 12,6 13,1 70,9 3,5 100,0
-Trasporto marittimo 31,7 13,8 49,7 4,7 100,0
-Trasporto aereo 82,5 6,6 7,1 3,8 100,0
-Logistica 37,8 11,8 26,9 23,5 100,0
-Servizi postali 15,2 11,7 69,1 4,0 100,0
-Noleggio 38,8 18,1 41,2 2,0 100,0
Totale Economia 18,4 16,9 62,2 2,4 100,0
  quote % – anno 2020
  società di capitale (1) società di persone (2) ditte individuali (3) altre forme (4) totale
Trasporti e logistica 28,9 11,2 53,7 6,2 100,0
-Trasporto terrestre 20,5 11,6 63,7 4,2 100,0
-Trasporto marittimo 31,0 10,6 54,1 4,3 100,0
-Trasporto aereo 80,4 5,7 7,7 6,2 100,0
-Logistica 47,6 8,8 25,3 18,3 100,0
-Servizi postali 26,5 8,6 61,4 3,5 100,0
-Noleggio 51,2 12,4 34,2 2,1 100,0
Totale Economia 24,6 14,4 58,5 2,6 100,0

 

Tab. 14 – Nati-mortalità
anni 2019 e 2020 (*)

Nota: (*) il numero delle cessate comprende le cessazioni d'ufficio

 

  2019 2020
  iscritte cessate saldo iscritte cessate saldo
Trasporti e logistica 3.878 9.855 -5.977 2.932 8.731 -5.799
-Trasporto terrestre 1.589 6.238 -4.649 996 5.362 -4.366
-Trasporto marittimo 71 108 -37 47 103 -56
-Trasporto aereo 3 8 -5 4 21 -17
-Logistica 1.127 1.769 -642 895 1.692 -797
-Servizi postali 207 415 -208 294 287 7
-Noleggio 881 1.317 -436 696 1.266 -570
Totale Economia 353.052 362.218 -9.166 292.308 307.686 -15.378

 

Turismo, tempo libero e comunicazione

Tab. 15 – Numerosità e peso % delle imprese attive

 
  Attive 2012 Attive 2020
  n. peso % n. peso %
Turismo, tempo libero e comunicazioni 541.537 10,3 608.666 11,8
-Alloggio 43.321 0,8 57.568 1,1
-Ristorazione 312.101 6,0 340.564 6,6
-Agenzie di viaggio 15.229 0,3 16.390 0,3
-Intrattenimento 59.495 1,1 69.761 1,4
-Editoria 22.349 0,4 22.420 0,4
-Telecomunicazioni 10.556 0,2 9.013 0,2
-Servizi informatici 78.486 1,5 92.950 1,8
Totale Economia 5.239.924 100,0 5.147.514 100,0

Tab. 16 – Imprese per forma giuridica
quote %

Nota: per la legenda cfr. tab. 10
  quote % – anno 2012
  società di capitale (1) società di persone (2) ditte individuali (3) altre forme (4) totale
Turismo, tempo libero e comunicazioni 21,5 30,2 44,8 3,5 100,0
-Alloggio 28,3 33,1 36,5 2,1 100,0
-Ristorazione 12,3 36,1 50,6 1,0 100,0
-Agenzie di viaggio 37,1 24,5 32,9 5,5 100,0
-Intrattenimento 26,5 18,4 39,4 15,7 100,0
-Editoria 44,6 14,5 30,3 10,6 100,0
-Telecomunicazioni 18,7 10,3 69,9 1,1 100,0
-Servizi informatici 41,2 21,9 33,7 3,2 100,0
Totale Economia 18,4 16,9 62,2 2,4 100,0
  quote % – anno 2020
  società di capitale (1) società di persone (2) ditte individuali (3) altre forme (4) totale
Turismo, tempo libero e comunicazioni 31,5 21,9 42,5 4,1 100,0
-Alloggio 35,1 23,1 39,8 1,9 100,0
-Ristorazione 22,6 27,1 49,1 1,2 100,0
-Agenzie di viaggio 42,8 17,6 33,6 6,0 100,0
-Intrattenimento 35,7 13,0 32,2 19,0 100,0
-Editoria 51,4 10,9 27,1 10,6 100,0
-Telecomunicazioni 31,5 8,2 59,0 1,3 100,0
-Servizi informatici 52,2 13,3 31,7 2,8 100,0
Totale Economia 24,6 14,4 58,5 2,6 100,0

 

Tab. 17 – Nati-mortalità
anni 2019 e 2020 (*)

Nota: (*) il numero delle cessate comprende le cessazioni d'ufficio.

  2019 2020
  iscritte cessate saldo iscritte cessate saldo
Turismo, tempo libero e comunicazioni 26.560 43.122 -16.562 20.027 38.023 -17.996
-Alloggio 2.834 2.558 276 1.682 2.850 -1.168
-Ristorazione 13.185 26.979 -13.794 9.207 22.692 -13.485
-Agenzie di viaggio 609 975 -366 387 1.033 -646
-Intrattenimento 2.846 4.115 -1.269 2.179 3.438 -1.259
-Editoria 730 1.374 -644 673 1.408 -735
-Telecomunicazioni 250 780 -530 201 563 -362
-Servizi informatici 6.106 6.341 -235 5.698 6.039 -341
Totale Economia 353.052 362.218 -9.166 292.308 307.686 -15.378

 


Altri servizi

Tab. 18 – Numerosità e peso % delle imprese attive

 
  Attive 2012 Attive 2020
  n. peso % n. peso %
Altri servizi 591.179 11,3 684.393 13,3
-Attività immobiliari 248.301 4,7 258.453 5,0
-Studi professionali 80.352 1,5 99.465 1,9
-Società di ricerca 3.884 0,1 6.210 0,1
-Marketing 90.923 1,7 94.639 1,8
-Agenzie per il lavoro 989 0,0 951 0,0
-Altri servizi alle imprese 111.386 2,1 154.830 3,0
-Servizi sanitari 55.344 1,1 69.845 1,4
Totale Economia 5.239.924 100,0 5.147.514 100,0

Tab. 19 – Imprese per forma giuridica
quote %

Nota: per la legenda cfr. tab. 10.

  quote % – anno 2012
  società di capitale (1) società di persone (2) ditte individuali (3) altre forme (4) totale
Altri servizi 40,0 24,8 27,9 7,4 100,0
-Attività immobiliari 50,9 36,3 11,9 0,9 100,0
-Studi professionali 56,0 18,7 15,4 9,9 100,0
-Società di ricerca 62,4 9,5 3,5 24,6 100,0
-Marketing 26,7 15,9 54,8 2,5 100,0
-Agenzie per il lavoro 58,3 19,0 16,9 5,8 100,0
-Altri servizi alle imprese 19,6 13,4 57,0 10,0 100,0
-Servizi sanitari 28,2 20,5 16,9 34,4 100,0
Totale Economia 18,4 16,9 62,2 2,4 100,0
  quote % – anno 2020
  società di capitale (1) società di persone (2) ditte individuali (3) altre forme (4) totale
Altri servizi 43,7 19,3 30,0 7,0 100,0
-Attività immobiliari 53,1 33,4 12,8 0,7 100,0
-Studi professionali 60,2 11,8 20,9 7,2 100,0
-Società di ricerca 76,8 3,8 3,8 15,6 100,0
-Marketing 34,8 11,2 51,7 2,4 100,0
-Agenzie per il lavoro 66,0 13,8 11,0 9,1 100,0
-Altri servizi alle imprese 24,8 8,5 58,5 8,2 100,0
-Servizi sanitari 36,0 14,4 16,9 32,7 100,0
Totale Economia 24,6 14,4 58,5 2,6 100,0

 

Tab. 20 – Nati-mortalità
anni 2019 e 2020 (*)

Nota: (*) il numero delle cessate comprende le cessazioni d'ufficio
  2019 2020
  iscritte cessate saldo iscritte cessate saldo
Altri servizi 33.282 39.206 -5.924 28.872 35.981 -7.109
-Attività immobiliari 5.299 10.339 -5.040 4.549 9.751 -5.202
-Studi professionali 6.373 6.293 80 5.811 6.123 -312
-Società di ricerca 511 313 198 479 307 172
-Marketing 6.888 7.599 -711 6.155 6.859 -704
-Agenzie per il lavoro 24 73 -49 14 49 -35
-Altri servizi alle imprese 12.013 11.603 410 9.917 9.877 40
-Servizi sanitari 2.174 2.986 -812 1.947 3.015 -1.068
Totale Economia 353.052 362.218 -9.166 292.308 307.686 -15.378

 

Appendice tecnica: la definizione dell’area Confcommercio e la ricostruzione dei dati per il 2019 e il 2020

L’analisi delle attività produttive e dell’occupazione per branca, presentata in questa Nota, ha comportato, sul piano metodologico, un duplice ordine di stime, inerenti cioè sia alla definizione del perimetro dell’Area Confcommercio, sia alla ricostruzione dei dati mancanti, per prodotto e occupati nel 2019 e nel 2020, relativamente ad alcune specifiche categorie ATECO considerate all’interno dell’Area Confcommercio e della Altre attività di servizi market e non market (tab. AT1).

Tab. AT1 – I dati ufficiali dell’Istat
anno 2018

Nota: (a) comprende anche il valore aggiunto generato dalle attività immobiliari senza input di lavoro (vedi (b)); (b) affitti effettivi per uso residenziale e non residenziale, affitti figurativi e altre transazioni immobiliari imputate.
Elaborazioni USC su dati Istat.
  valore aggiunto ai prezzi base in milioni di euro unità di lavoro standard totali dati mancanti stimati
  valori concatenati anno 2015 prezzi correnti in migliaia val. agg. Ula
 Agricoltura 33.491 34.461 1.269,8    
 Industria 371.836 380.022 5.260,8    
 Servizi totali 1.141.598 1.175.283 17.594,4    
 (1) Area Confcommercio (1)+(2)(a) 629.930 650.957 11.320,9    
  (a) Commercio 181.139 188.661 3.380,1    
  – Auto e moto 17.584 18.039 385,3 2019-20 2019-20
  – Ingrosso 86.595 87.772 1.130,6 2019-20 2019-20
  – Dettaglio 76.938 82.850 1.864,2 2019-20 2019-20
  (b) Trasporti e logistica 95.844 95.776 1.229,1    
  – Trasporto terrestre 44.367 44.783 691,7 2019-20 2019-20
  – Trasporto marittimo 5.250 3.679 47,4 2019-20 2019-20
  – Trasporto aereo 2.493 2.424 14,9 2019-20 2019-20
  – Logistica 31.759 32.903 351,6 2019-20 2019-20
  – Servizi postali 3.127 3.150 74,7 2019-20 2019-20
  – Noleggio 8.860 8.836 48,8 2019-20 2019-20
  (c) Turismo, tempo libero e comunicazioni 136.075 143.084 2.475,6    
  – Ristorazione e alloggio 59.231 63.080 1.516,6    
  – Tour operator e agenzie di viaggio 1.286 2.246 49,4 2019-20 2019-20
  – Intrattenimento 18.432 17.988 340,8    
  – Editoria 7.577 8.833 93,3   2020
  – Telecomunicazioni 17.747 17.496 79,6   2020
  – Servizi informatici 31.855 33.441 395,9   2020
  (d) Altri servizi 216.862 223.437 4.236,1    
  – Attività immobiliari con input di lavoro 18.135 18.077 201,7 Stima USC dal 1995
  – Studi professionali 66.876 68.606 1.155,2   2020
  – Società di ricerca 16.314 16.425 126,4   2020
  – Marketing 18.531 18.368 390,5 2019-20 2020
  – Agenzie per il lavoro 11.731 11.967 320,6 2019-20 2019-20
  – Altri servizi alle imprese 30.322 32.483 790,4 2019-20 2019-20
  – Istruzione e servizi sanitari (market) 54.971 57.511 1.251,3 Stima USC dal 1995
 (2) Altre attività di servizi market e non market 511.637 524.326 6.273,5    
  – Attività finanziarie e assicurative 82.721 78.119 573,7    
  – Amministrazioni pubbliche e altri servizi market 238.353 251.926 5.699,8    
  – Altre attività immobiliari senza input di lavoro(b) 190.543 194.281 0,0 Stima USC dal 1995
Totale economia 1.547.043 1.589.766 24.125,0    


Sotto il profilo della definizione dell’Area Confcommercio, sono stati introdotti i due criteri già sommariamente illustrati nel Riquadro 1, relativi alla definizione delle “attività immobiliari con input di lavoro” e alla definizione della quota market di prodotto e occupazione per le attività connesse all’istruzione e alla sanità e assistenza sociale.

Per definire le attività immobiliari con input di lavoro, si è partiti dall’indagine ISTAT sui “Risultati economici delle imprese”[8], che presenta un dettaglio informativo estremamente ampio sotto il profilo degli indicatori relativi a produzione, occupazione e struttura dei costi delle imprese per branca NACE 4-digit (da cui deriva l’ATECO). Considerando i cambiamenti di classificazione intervenuti negli anni, si è partiti dalla divisione L68 ATECO 2007 (che identifica appunto le attività immobiliari che sono associate anche ad un dato livello di input di lavoro) per il periodo 2008-2018, corrispondente alla divisione K70 ATECO 2002 per il periodo 2002-2007, mentre per il periodo precedente al 2002 indietro fino al 1995 sono state utilizzate le informazioni più aggregate della sola sezione K (che ricomprendeva al suo interno anche noleggio, informatica, ricerca e servizi alle imprese), desumibili anno per anno dalle tavole dell’Annuario Statistico, stimando il valore di K70 come frazione di K mantenendo costante l’incidenza media di K70 su K per il periodo 2002-2007. È stato così possibile ricostruire una serie storica dal 1995 al 2018 del valore aggiunto al costo dei fattori a prezzi correnti della branca L68 secondo l’indagine ISTAT sui Risultati economici delle imprese, trasformata in serie del valore aggiunto ai prezzi base a prezzi correnti coerente con la contabilità nazionale, moltiplicando quei dati al costo dei fattori per il rapporto tra valore aggiunto ai prezzi base e valore aggiunto al costo dei fattori della differenza tra i valori della sezione L e della divisione L68A (che identifica gli affitti figurativi per agli alloggi occupati dai rispettivi proprietari) desumibili dai Conti economici nazionali. Il dato così ottenuto del 2018 è stato successivamente estrapolato per il 2019 e il 2019 con la dinamica del valore aggiunto ai prezzi base a prezzi correnti della sezione L al netto della L68A degli affitti imputati. Successivamente, dopo aver generato la serie del valore aggiunto ai prezzi base della sezione L, nettizzata dagli affitti imputati, espressa ai prezzi dell’anno precedente, si è proceduto a generare, attraverso la regola del concatenamento, la serie del valore aggiunto ai prezzi base delle attività immobiliari associate ad input di lavoro, in volume, ossia in valori concatenati anno di riferimento 2015.

Per la stima della quota market di prodotto e occupazione per le attività contraddistinte dalle sezioni P e Q dell’ATECO connesse, rispettivamente, all’istruzione e alla sanità e assistenza sociale, si è partiti dal valore aggiunto ai prezzi base a prezzi correnti di S13, cioè del settore delle Amministrazioni pubbliche nel loro complesso, desumibile dai Conti e aggregati economici delle Pubbliche Amministrazioni elaborati dall’ISTAT, per il quale risulta disponibile la serie storica dal 1995 al 2020. Da tale valore aggiunto è stato sottratto quello corrispondente alla sezione O (amministrazione pubblica e difesa, assicurazione sociale obbligatoria)[9] – anch’esso disponibile dal 1995 al 2020 – della Contabilità Nazionale, ottenendo a residuo una stima del valore aggiunto ai prezzi base a prezzi correnti della parte non market delle attività di P e Q. Poiché nella Contabilità Nazionale la somma del valore aggiunto ai prezzi base di P e Q comprende sia la quota non market, sia la quota market, da tale somma è stata sottratta la stima della frazione non market, come precedentemente definita, di P e Q, ottenendo così una stima del valore aggiunto ai prezzi base a prezzi correnti della complementare frazione market. Il corrispondente valore aggiunto ai prezzi base, valutato ai prezzi dell’anno precedente, di tale frazione market, è stato ottenuto applicando anno per anno al totale di P e Q ai prezzi dell’anno precedente l’incidenza della frazione market sul totale di P e Q a prezzi correnti, ottenendo così la serie 1995-2020. Una volta disponibili le valutazioni a prezzi correnti e a prezzi dell’anno precedente del valore aggiunto ai prezzi base della frazione market di P e Q, si è proceduto a generare la serie storica in volume attraverso la procedura del concatenamento, ossia espressa in valori concatenati anno di riferimento 2015. Per la stima dell’input di lavoro della quota market di P e Q, misurato dalle unità di lavoro standard (Ula) totali, si è seguito lo stesso criterio utilizzato per la stima del valore aggiunto. I dati 1995-2019 dei Conti delle Pubbliche Amministrazioni relativamente alle Ula sono stati estrapolati al 2020 ipotizzando una variazione del costo del lavoro identica a quella del 2019 e utilizzando la stima del monte redditi da lavoro per S13 contenuta nella NADEF2020, in modo da ottenere, dividendo il monte redditi per il costo del lavoro, una stima delle Ula per il 2020. La serie storica così ottenuta è stata confrontata con quella della Contabilità nazionale relativa alle sezioni O, P e Q, seguendo la medesima sequenza delle sottrazioni come per la stima del valore aggiunto.

Tab. AT2 – Corrispondenza tra riclassificazione Confcommercio delle attività economiche e denominazioni ATECO 2007 (NACE Rev2)

Elaborazioni USC su dati Istat.
Riclassificazione Confcommercio ATECO 2007
 Agricoltura  A: agricoltura, silvicoltura e pesca
 Industria  BTF: industria
 Servizi (1)+(2)  GTU: servizi
 (1) Area Confcommercio  GHIJLMNPQR: Area Confcommercio
  (a) Commercio   G: commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli
  – Auto e moto   G45: commercio all’ingrosso e al dettaglio e riparazione di autoveicoli e motocicli
  – Ingrosso   G46: commercio all’ingrosso, escluso quello di autoveicoli e di motocicli
  – Dettaglio   G47: commercio al dettaglio, escluso quello di autoveicoli e di motocicli
  (b) Trasporti e logistica   H: trasporti, magazzinaggio e noleggio&leasing
  – Trasporto terrestre   H49: trasporto terrestre e trasporto mediante condotte
  – Trasporto marittimo   H50: trasporti marittimi e per vie d’acqua
  – Trasporto aereo   H51: trasporto aereo
  – Logistica   H52: magazzinaggio e attività di supporto ai trasporti
  – Servizi postali   H53: servizi postali e attività di corriere
  – Noleggio   N77: attività di noleggio e leasing
  (c) Turismo, tempo libero e comunicazioni   IJNR: turismo, tempo libero e comunicazioni
  – Ristorazione e alloggio   I: servizi di alloggio e di ristorazione
  – Tour operator e agenzie di viaggio   N79: attività dei servizi delle agenzie di viaggio, dei tour operator e servizi di prenotazione e attività correlate
  – Intrattenimento   R: attività artistiche, di intrattenimento e divertimento
  – Editoria   J58T60: attività editoriali, audiovisivi, attività di trasmissione
  – Telecomunicazioni   J61: telecomunicazioni
  – Servizi informatici   J62_63: programmazione, consulenza informatica e attività connesse, attività dei servizi d’informazione
  (d) Altri servizi   LMNPQ: altri servizi
  – Attività immobiliari con input di lavoro   L: attività immobiliari
  – Studi professionali   M69T71: attività legali e contabilità, attività di sedi centrali, consulenza gestionale, attività degli studi di architettura e d’ingegneria, collaudi e analisi tecniche
  – Società di ricerca   M72: ricerca scientifica e sviluppo
  – Marketing   M73T75: pubblicità e ricerche di mercato, altre attività professionali, scientifiche e tecniche, servizi veterinari
  – Agenzie per il lavoro   N78: attività di ricerca, selezione, fornitura di personale
  – Altri servizi alle imprese   N80T82: servizi di investigazione e vigilanza, attività di servizi per edifici e per paesaggio, attività amministrative e di supporto per le funzioni d’ufficio e altri servizi di supporto alle imprese
  – Istruzione e servizi sanitari (market)   PTQ: istruzione e sanità e assistenza sociale
 (2) Altre attività di servizi market e non market   GTU – GHIJLMNPQR: altre attività di servizi
  – Attività finanziarie e assicurative   K: attività finanziarie e assicurative
  – Amministrazioni pubbliche e altri servizi market   O + GHIJLMNPQR residuo: Amministrazioni pubbliche e altre attività di servizi
  – Altre attività immobiliari senza input di lavoro   L68A: attività immobiliari, di cui: affitti imputati per gli alloggi occupati dai rispettivi proprietari

 

Riguardo, infine, alla stima dei dati di valore aggiunto e occupazione mancanti per il 2019 e il 2020 relativamente alle divisioni ATECO di cui alla tabella AT1, laddove è stato possibile sfruttare l’informazione ufficiale fino al 2020 della sezione a cui appartengono le diverse divisioni, come nel caso di commercio (G) e trasporti e logistica (H), il criterio seguito è stato quello di generare tassi di crescita di valore aggiunto e occupati che, tenendo conto dell’incidenza delle divisioni all’interno della sezione, restituissero in media ponderata il tasso di crescita del dato ufficiale relativo alla sezione. Per le rimanenti branche, all’interno degli aggregati di turismo, tempo libero e comunicazioni e degli altri servizi, sono state utilizzate le informazioni congiunturali dell’indagine ISTAT sul fatturato dei servizi, aggiornate al 2020. Tali indici sono stati trasformati in livelli di produzione lorda, applicandoli al dato del valore della produzione per il 2018 desumibile dai Risultati economici delle imprese di fonte ISTAT fino al dettaglio di classe ATECO. A tali livelli di produzione lorda è stata applicata l’incidenza dei consumi intermedi sul valore della produzione e i livelli dei costi intermedi così generati sono stati sottratti dalle stime della produzione lorda derivante dagli indici di fatturato dei servizi, in modo da ottenere stime attendibili del valore aggiunto i cui tassi di variazione sono stati applicati ai valori aggiunti del 2018 della Contabilità Nazionale per generare i dati mancanti di 2019 e 2020.

Le stime relative al comparto delle attività immobiliari con input di lavoro e alla frazione market dei servizi per istruzione e sanità e assistenza sociale, nonché il completamento delle serie storiche per le informazioni mancanti del biennio 2019-20, hanno consentito di ottenere una base dati del valore aggiunto di tutte le attività economiche secondo la disaggregazione della tabella AT1 e le ridenominazioni della tabella AT2 nelle tre valutazioni, a prezzi correnti, prezzi anno precedente e valori concatenati anno di riferimento 2015, in modo da poter generare, con il metodo del concatenamento, le serie in volume del valore aggiunto di tutte le branche all’interno dell’Area Confcommercio e dell’area stessa come aggregato di ordine superiore, nonché dell’aggregato per via residuale rispetto al totale dei servizi denominato Altre attività di servizi market e non market, non facente parte dell’Area Confcommercio.

Naturalmente, la somma per concatenamento delle branche dell’Area Confcommercio e degli altri servizi non appartenenti all’area, restituisce esattamente i valori ufficiali dell’aggregato dei servizi totali che, unitamente a quelli ufficiali di agricoltura e industria, rispettano il vincolo del totale economia così come diffuso dall’ISTAT nei conti economici nazionali.

Da ultimo, per le elaborazioni rappresentate nelle tabelle commentate nel testo della Nota, si è scelto di esprimere, sempre attraverso il metodo del concatenamento, i dati in volume del valore aggiunto in valori concatenati anno di riferimento 2020.

 

Il rapporto è stato redatto con le informazioni disponibili al 2 aprile 2021 da Mariano Bella, Francesco Lioci, Luciano Mauro e Livia Patrignani – Ufficio Studi Confcommercio.
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[1] Dati consolidati fino al 2018 e stime per il 2019 e il 2020 secondo la metodologia esposta nell’Appendice Tecnica.
[2] Nelle classificazioni dell’ISTAT, per affitto imputato si intende una componente non-monetaria del reddito delle famiglie che vivono in case di loro proprietà, in usufrutto, in uso gratuito o in affitto agevolato (cioè inferiore ai prezzi di mercato) che rappresenta il costo (aggiuntivo nel caso degli affitti agevolati) che queste dovrebbero sostenere per prendere in affitto, ai prezzi vigenti sul mercato immobiliare, un'unità abitativa con caratteristiche identiche a quella in cui vivono (al netto delle spese di condominio, riscaldamento, accessorie e con riferimento a una casa non ammobiliata). Dal punto di vista delle attività produttive, classificate secondo l’ATECO, che per definizione non può comprendere gli impieghi del reddito delle famiglie, tale voce viene convenzionalmente attribuita alla sezione L delle attività immobiliari. Il valore aggiunto delle imprese che operano in quel settore di attività deve essere, dunque corretto in modo da escludere la componente degli affitti imputati, al fine di evitare una macroscopica distorsione in termini di calcolo del prodotto medio per occupato.
[3] In effetti l’Italia ha un ben più serio problema in termini di produttività multifattoriale o produttività totale dei fattori (PTF), come attesta anche l’ultima indagine dell’ISTAT sulle misure di produttività, diffusa a novembre dello scorso anno https://www.istat.it/it/files//2019/11/Report_misure_produttivit%C3%A0_2018.pdf. Tra il 1995 e il 2018 la PTF, che misura la dinamica del valore aggiunto attribuibile al progresso tecnico e ai miglioramenti nella conoscenza e nell’efficienza dei processi produttivi e che tiene conto contemporaneamente di tutti i fattori utilizzati, della loro combinazione e dei loro legami, ha esibito un tasso di variazione medio annuo pari a zero. La crescita (+0,6%) registratasi con l’avvio dell’ultimo mini ciclo espansivo, tra il 2014 e il 2018, ha potuto solo compensare la pesante flessione media annua (-0,8%) registratasi tra il 2003 e il 2009.
[4] Le unità di lavoro rappresentano le posizioni lavorative ricondotte ad unità equivalenti a tempo pieno e forniscono una misura del volume di lavoro che partecipa al processo di produzione del reddito realizzato sul territorio economico di un paese. Tale calcolo è necessario in quanto le ore lavorate in ciascuna posizione lavorativa possono variare rispetto ad uno standard a tempo pieno, a seconda che si tratti di attività principale o secondaria svolta dalla persona, dell’orario di lavoro (a tempo pieno o part time), della posizione contributiva o fiscale (regolare, non regolare). Sono calcolate come quoziente tra il totale delle ore effettivamente lavorate e un numero standard di ore lavorate in media da una persona a tempo pieno. Il numero di ore standard è diverso tra i settori e va da circa 1.100 ore nell’istruzione a oltre 2.000 ore annue per lavoratore nel settore del commercio al dettaglio.
[5] AGCM, 2021, Segnalazione in merito a Proposte di riforma concorrenziale ai fini della Legge Annuale per il Mercato e la Concorrenza anno 2021, inviata al Presidente del Consiglio dei Ministri, 23 marzo.
[6] Cfr. Algan Y., Malgouyres C., Senik C., Territories, Well-being and Public Policy, Les notes du conseil d’analyse économique, no. 55, January 2020.
[7] Dominguez Torriero Marcos, Caperna Giulio, Saisana Michaela, 2018, The JRC Statistical Audit of the Retail Restrictiveness Indicator, JRC Techical Reports, Commissione europea.
[8] Si tratta di un’indagine articolata su due distinte rilevazioni. 1) Rilevazione sulle piccole e medie imprese e sull'esercizio di arti e professioni (PMI): la rilevazione è campionaria ed ha come campo di osservazione le imprese con 1-99 addetti e risponde alle esigenze richieste dal regolamento comunitario sulle statistiche strutturali n. 58/97 (fino all'anno di riferimento 2007 in Ateco 2002 o Nace Rev.1.1) e dal regolamento SBS n. 295/2008 (a partire dall'anno di riferimento 2008 in Ateco 2007 o Nace Rev.2). L'unità di rilevazione e analisi è l'impresa e l'universo oggetto di indagine è rappresentato dalle imprese attive nell'anno di riferimento presenti nell'Archivio statistico delle imprese attive (Asia). Il disegno di campionamento utilizzato è di tipo casuale stratificato per attività economica, classe di addetti e regione amministrativa. La rilevazione raccoglie annualmente, mediante un questionario elettronico scaricabile dal web, dati dettagliati sui risultati economici delle imprese, sull'occupazione, sul costo del personale e sugli investimenti. I dati delle imprese rispondenti sono sottoposti a revisione, a controlli di coerenza e compatibilità, a tecniche di trattamento delle mancate risposte, integrando le informazioni provenienti dalle fonti amministrative. La metodologia di riporto dei dati all’universo si basa sugli ‘stimatori di ponderazione vincolata’ che assicurano il rispetto dell’uguaglianza fra i totali noti dell’archivio di riferimento (numero di imprese e di addetti) e le stime campionarie nei domini di stima programmati. 2) Rilevazione sul sistema dei conti delle imprese: la rilevazione è di tipo censuario, in quanto si rivolge a tutte le imprese italiane con almeno 100 addetti che operano nei settori industriali e dei servizi, con l'esclusione di alcune divisioni dell'intermediazione monetaria e finanziaria, delle assicurazioni e dei servizi domestici. Il questionario rileva sia i dati economico-finanziari e patrimoniali delle imprese, classificate secondo l'attività economica prevalente, sia delle unità funzionali (unità di produzione omogenea) dell'impresa stessa. Inoltre si rilevano i dati sull'occupazione, sugli investimenti e sui costi del personale. Le voci di bilancio vengono richieste al fine di soddisfare il regolamento comunitario sulle statistiche strutturali (SBS) N 295/2008. I flussi dei ricavi e dei costi sono utilizzati per il calcolo del valore aggiunto nell'ambito dei conti economici nazionali e della tavola intersettoriale dell'economia italiana. Il questionario è telematico. Cfr. http://dati.istat.it/
[9] Questa correzione comporta comunque una distorsione, per quanto modesta, dovuta al differente modo in cui le attività connesse alle Amministrazioni pubbliche vengono classificate nell’ATECO a differenza dei Settori Istituzionali. In altri termini, L’ATECO non fa distinzioni per settore istituzionale (come definito in SNA e SEC) in cui l’unità istituzionale è classificata e non c’è una categoria ATECO che descriva tutte, unitariamente, le attività svolte dal governo. Di conseguenza, non tutti gli enti governativi sono classificati automaticamente nella sezione O (“Amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale obbligatoria”), così come, per converso, non solo gli enti governativi sono classificati nella sezione O, ma anche le unità private che svolgono tipiche “attività di amministrazione pubblica”.

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