Le imprese. L'Italia

Le imprese. L'Italia

Manifestazione unitaria di Casartigiani, CNA, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti contro la Finanziaria

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30 ottobre 2006

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Leggi l'intervento del Presidente Sangalli

 

PREMESSA

Le organizzazioni dell'artigianato, del commercio, del turismo, dei trasporti e dei servizi sottolineano congiuntamente, e con forza, la necessitàdi una profonda modifica dell'impianto della manovra finanziaria. La ragione è che questa contraddice, in molti suoi contenuti, le finalitàespresse nel DPEF di coniugare assieme il perseguimento di obiettivi di sviluppo, con quelli di risanamento e di equitàsociale.

Accrescere la competitivitàe la produttivitàdelle imprese e del sistema dei servizi è un'occasione straordinaria per rilanciare lo sviluppo e l'occupazione. Per questo è necessario uno sforzo straordinario e convergente delle forze politiche, del Governo, del Parlamento, delle imprese e del lavoro per affrontare la crisi strutturale del nostro sistema produttivo e gli effetti del suo spiazzamento competitivo all'interno del mercato globale.

Le Confederazioni denunciano, inoltre, come la loro disponibilitàal confronto non si sia per nulla tradotta in azione del Governo che ha, invece, sostanzialmente e acriticamente preso atto di "altre opzioni" espresse in "altre sedi": la concertazione tanto predicata dal Governo è stata realizzata in una forma assai singolare, coinvolgendo di fatto i Sindacati dei lavoratori dipendenti ed una sola parte del mondo delle imprese.

LA LEGGE FINANZIARIA

Il disegno di legge Finanziaria per il 2007 parte dal presupposto di intervenire prioritariamente sull'esigenza di contenere il debito pubblico e di rispettare gli impegni presi con l'Unione Europea.

Per quanto concerne lo sviluppo è necessaria l'adozione di misure di politica economica atte a consolidare e a rilanciare strutturalmente la crescita in quanto la ripresa economica in atto non presenta caratteristiche di stabilità e durata.

Muovendo da questa breve, ma doverosa, premessa si esprime un parere fortemente critico circa l'impostazione culturale e politica dell'intera manovra finanziaria, che colpisce il ceto medio produttivo ed è comunque insufficiente in termini di misure di rilancio della competitivitàe di sostegno al mondo dell'impresa.

Nel provvedimento si registrano consistenti aumenti delle imposte, un utilizzo della revisione degli studi di settore non coerente con le finalitàe le caratteristiche di questo strumento ed un pesante incremento della pressione contributiva sul lavoro autonomo.

Contemporaneamente le imprese dell'artigianato, del commercio, del turismo, dei trasporti e dei servizi si vedono in larga parte escluse dalle previste misure per il rilancio della competitività. Né vi è traccia nel provvedimento di significativi interventi a sostegno dei consumi interni.

Nel complesso siamo di fronte ad una manovra di finanza pubblica troppo condizionata da una presunta filosofia redistributiva e troppo poco attenta alla necessitàdi sostenere il passo di crescita dell'economia del Paese.

Infatti, le politiche di bilancio adottate da un lato trascurano la necessità di assumere efficaci interventi di riorganizzazione e riduzione della spesa pubblica e dall'altro penalizzano il sistema di imprese da noi rappresentato che in questi anni hanno garantito l'occupazione e la tenuta sociale ed economica del Paese.

Le nostre Confederazioni, inoltre, respingono l'assunto, errato e provocatorio, che attribuisce al mondo della piccola impresa, dell'artigianato e del terziario il primato dell'evasione fiscale.

Le Confederazioni, altresì, sottolineano come le risorse mancanti per lo sviluppo vadano ricercate in quella vasta area dell'evasione totale e dell'economia sommersa che con decisione va portata allo scoperto e ricondotta al rispetto delle regole dello stato di diritto.

La politica delle entrate

La crescita della pressione fiscale complessiva, stimabile almeno nella misura dell'1,3% tra il 2006 ed il 2007, costituisce la "cifra" di questa manovra finanziaria accanto alla sostanziale rinuncia ad incidere strutturalmente sulla spesa pubblica.

All'aumento della pressione fiscale concorreranno anche i maggiori margini di manovra per il "fisco locale" per effetto, tra l'altro, dei nuovi tributi di scopo e della riedizione della tassa di soggiorno che colpisce fortemente la competitività del settore turistico.

L'aumento delle aliquote previdenziali di artigiani e commercianti determina un ulteriore aggravio sul costo del lavoro per 1,4 miliardi di euro nel 2007 e 1,7 a regime.

Non possiamo, inoltre, non stigmatizzare che tali aumenti siano stati decisi senza un preliminare ed approfondito confronto sull'andamento delle diverse gestioni INPS del lavoro autonomo ed al di fuori di una più ampia riflessione sulle prospettive del sistema previdenziale pubblico, che tenga conto, in particolare, dell'esigenza di una robusta previdenza integrativa anche per il lavoro autonomo.

L'unica "controriforma" fatta, in materia di previdenza, è stata quella del conferimento presso l'istituendo Fondo INPS del 100% dei flussi maturandi del TFR inoptato dai lavoratori delle imprese con oltre 50 dipendenti.

La soluzione adottata è stata realizzata con un metodo che ha di fatto discriminato le nostre organizzazioni in quanto convocate solo dopo il raggiungimento dell'accordo tra Governo, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil.

Resta, inoltre, il fatto che siamo di fronte ad una operazione che sconta una contraddizione profonda tra lo smobilizzo del TFR al fine del decollo della previdenza integrativa ed il conferimento all'INPS di una quota parte dei suoi flussi ai fini del rafforzamento del "capitale pubblico".

Con l'aumento della contribuzione per gli apprendisti, che di fatto qualifica come "precario" un istituto che in realtà, per oltre 50 anni, ha creato lavoro e professionalità per intere generazioni di dipendenti e imprenditori dei nostri settori, si colpisce l'unico strumento rimasto di ingresso agevolato nel mercato del lavoro, accompagnato dalla formazione. La rilevanza nel mondo del lavoro di questa forma contrattuale è confermata da numero di persone occupate in questa posizione che, secondo le rilevazioni dell'ISTAT, sono circa 250 mila.

Larga parte degli intenti socialmente redistributivi della manovra è affidata ad una nuova struttura degli scaglioni delle aliquote IRPEF, denotando un'eccessiva fiducia nella capacità della leva fiscale ad agire a questi fini.

Inoltre, mentre per i lavoratori dipendenti ed i pensionati il livello di reddito oltre il quale si ha un aggravio di imposizione è di circa €40 mila, nel caso degli autonomi in contabilità semplificata tale livello reddito scende ad €32 mila. E' come se il reddito dei lavoratori autonomi avesse un peso diverso dagli altri. E', invece, vero il contrario in quanto i dipendenti o i pensionati non devono fare i conti con il rischio imprenditoriale.

L'operazione di rimodulazione della aliquote IRPEF, non è poi a saldo "zero" in quanto dall'intervento sono stimate maggiori entrate.

La riduzione del cuneo fiscale e contributivo

Quanto alla riduzione del cuneo fiscale e contributivo le nostre imprese riceveranno ovviamente un minor beneficio in ragione del minor numero di lavoratori dipendenti per ciascuna unitàd'impresa. A questo si aggiunge il fatto che poiché le nuove deduzioni risultano alternative a quelle attualmente previste si potrebbe arrivare, in taluni casi, ad un paradossale effetto di disincentivazione della trasformazione di contratti a termine in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

Tale effetto discorsivo va sanato. Sarebbe poi realizzabile un'ampia "no-IRAP area", perseguibile attraverso il raddoppio dell'attuale franchigia.

Si deve anche tenere conto dei lavoratori con contratto a termine, operanti nei settori caratterizzati da un ciclo stagionale o da picchi di attività. Per questi lavoratori non è prevista l'applicazione della manovra sul cuneo anche se essi operano in settori estremamente rilevanti per il nostro Paese, ad esempio nel turismo e nella distribuzione commerciale. Si tratta, dunque, anche in questo caso di una impostazione da riconsiderare.

La rideterminazione dei premi Inail

Tra gli oneri a carico delle imprese la finanziaria elude, inspiegabilmente, il tema della rideterminazione dei premi INAIL versati dalle imprese artigiane e del terziario all'Istituto per l'assicurazione infortuni sul lavoro. Da questo punto di vista una manovra che vuole essere equa non può che eliminare l'assurda sperequazione che vede gli imprenditori versare contributi largamente superiori rispetto alle prestazioni ricevute.

La riduzione è tanto più necessaria in considerazione dell'ottimo andamento 2005 delle gestioni di artigianato e del terziario presso l'Inail e dei positivi risultati dell'impegno delle imprese per garantire la sicurezza sul lavoro.

I notevoli avanzi di esercizio registrati negli ultimi anni, infatti, potrebbero agevolmente consentire di conseguire una riduzione dei premi per i settori.

Studi di settore, controlli e sanzioni

Quanto alle misure concernenti gli studi di settore, ribadiamo con determinazione il nostro interesse ad un loro progressivo affinamento, alla loro sempre maggiore selettività.

L'efficacia degli studi deve essere puntata sulla capacità di cogliere le differenziazioni tra i diversi cluster d'impresa e di individuare in modo selettivo i contribuenti che presentano situazioni di palese incoerenza fra la struttura aziendale e il dato dei ricavi dichiarati.

Dalla lettura del disegno di legge risulta chiaro che il Governo intende modificare la modalitàdi "revisione" degli studi sulla base di indicatori di contabilitànazionale esogeni alla logica di costruzione degli stessi.

Riteniamo profondamente erronea ogni ipotesi di revisione sviluppata in riferimento a dati di contabilitànazionale che, per le loro caratteristiche di sintesi, non sono oggettivamente applicabili alla metodologia degli studi e che, lungi dal mantenerla, falserebbero, nel medio periodo, la loro rappresentativitàrispetto alla realtàeconomica cui si riferiscono, facendola piuttosto virare in direzione di "automatismi", che minerebbero il diritto/dovere di ogni contribuente ad essere tassato sulla base del suo reddito reale.

Così come va mantenuto fermo il riconoscimento del fatto che l'azione di accertamento non possa essere basata solo sui risultati degli studi di settore, senza la necessitàdi alcun riscontro diretto, secondo quanto, del resto, più volte confermato in sede giurisprudenziale.

E, ancora, se già l'elaborazione di indicatori di coerenza a regime non può non suscitare allarme, rispetto alla capacità selettiva degli studi, per il suo generico riferimento "a comportamenti considerati normali per il relativo settore economico", del tutto inaccettabile risulta, poi, la previsione di "indicatori di normalità economica", definiti in autonomia dall'amministrazione finanziaria e destinati ad essere retroattivamente applicati sugli studi già vigenti per il 2006.

Si viola, così ed ancora una volta, non solo lo Statuto del contribuente, ma anche quel principio di confronto e di collaborazione tra categorie economiche e amministrazione finanziaria, che costituisce la filosofia di riferimento del Patto istitutivo degli studi.

Si è scelto, invece, di agire senza attendere gli esiti di un confronto ancora in corso e cifrando, intanto e ad ogni buon conto, gli effetti di maggior cassa attesi dagli interventi sugli studi di settore in circa 3,3 miliardi di euro per il 2007, 3,8 per il 2008, 4,9 per il 2009.

Il tutto – entro e oltre il perimetro degli studi – si accompagna ad una filosofia generale di forte inasprimento di controlli e sanzioni.

Con il decreto fiscale contestuale al disegno di legge finanziaria, si è registrato un nuovo picco sanzionatorio di cui la vicenda dello scontrino fiscale costituisce l'emblema.

Controlli e sanzioni certamente servono. Ma è un terreno rispetto al quale è a tutti utile procedere con ragionevolezza e con senso della misura. Nel rispetto della privacy del contribuente, come ha sottolineato anche l'Autorità garante in materia, e con una doverosa gradualità nelle sanzioni.

Le politiche per lo sviluppo

Sul terreno delle politiche per lo sviluppo, si segnala l'anticipo, nel corpo dell'articolato della finanziaria, di una parte rilevante del provvedimento predisposto dal Ministro Bersani sotto il titolo "Industria 2015" e che, nel suo insieme, ha l'ambizione di segnalare nuove linee strategiche per la competitività e lo sviluppo e di riordinare fondi e strumenti a sostegno di tali obiettivi.

Si tratta di scelte strategiche che il disegno di legge "Industria 2015" sottoponeva ad un percorso concertato, basato sulla redazione delle cosiddette "Linee strategiche per la competitività e per lo sviluppo" da approvare in sede politica individuata nel CIPE, con l'apporto di tutte le Amministrazioni interessate alla gestione dei provvedimenti e delle parti sociali.

La Finanziaria 2007, invece, già individua le aree produttive strategiche oggetto dei progetti di innovazione industriale, a cui andranno la maggior parte delle risorse del Fondo per la competitività. E' una selezione che limita le possibilità per i settori economici diversi dall'industria in senso stretto, di trovare spazio all'interno dei progetti per l'innovazione.

Il testo come formulato induce, comunque, rilevanti perplessità in ordine alla reale capacità - attraverso gli strumenti individuati - di valorizzare le peculiarità del sistema manifatturiero, costituito in larghissima parte da piccole e microimprese, e del sistema dei servizi.

In tal senso è auspicabile una politica che vada nella direzione del rafforzamento del tessuto imprenditoriale attraverso la specifica destinazione di uno stock delle risorse disponibili per progetti di innovazione strategica favorendo i processi di crescita dimensionale, di aggregazione reticolare e di cooperazione interaziendale.

Sul versante dello sviluppo e della logistica pur considerando apprezzabile l'attenzione riservata al sistema portuale si riscontra come risultino ancora insolute le questioni relative al sistema dell'autotrasporto.

Conclusioni e richieste

E' necessario cambiare profondamente questa legge finanziaria riequilibrando un impianto che è fortemente penalizzante per i comparti dell'artigianato, del commercio, del turismo, dei trasporti e dei servizi.

Le modifiche che chiediamo con forza nel percorso parlamentare sono in sintesi le seguenti:

  • radicale revisione dell'aumento della contribuzione pensionistica degli imprenditori e di quella degli apprendisti, nel contesto di un più generale confronto sulle prospettive del sistema previdenziale pubblico;
  • correzione sostanziale delle norme che hanno introdotto la contribuzione per gli apprendisti e hanno modificato la previdente disciplina;
  • riduzione delle tariffe INAIL in rapporto agli andamenti positivi delle gestioni infortuni;
  • riconferma della validitàdello strumento degli studi di settore, senza introdurre ipotesi di revisione degli stessi basata su automatismi palesi o dissimulati, perché contrastanti con i principi su cui si fonda la realizzazione di tali strumenti, sanciti nel protocollo di intesa tra le categorie ed il Ministro delle Finanze del 1996;
  • soppressione della tassa di soggiorno;
  • accoglimento dell'esigenza di una robusta previdenza integrativa anche per il lavoro autonomo;
  • incremento dell'efficienza dell'amministrazione finanziaria per il contrasto ed il recupero dell'evasione e dell'elusione;
  • riequilibrio degli effetti dell'IRPEF su lavoro dipendente e lavoro autonomo;
  • sviluppo delle forme di garanzia collettiva fidi e della loro rete;
  • adeguato sostegno ai processi di innovazione, di internazionalizzazione, di crescita dimensionale, di aggregazione e di rete dedicati alle imprese diffuse e del terziario;
  • soluzione delle questioni poste nell'ambito dell'autotrasporto.

 

 

La rappresentatività del settore

MA QUANTI SIAMO?

Oltre 4 milioni di imprese, il 70% del sistema produttivo italiano. E 13 milioni di addetti, pari al 63% degli occupati.

MA SIAMO CRESCIUTI?

Di oltre 130 mila unità  tra il 2000 e il 2004. 

E IL NOSTRO CONTRIBUTO ALL'OCCUPAZIONE?

Dal 2000 ad oggi abbiamo creato 1,2 milioni di nuovi posti di lavoro. 

E L'INDUSTRIA? 

Nello stesso periodo la grande industria ha perso circa 150 mila posti di lavoro. 

LA DIMENSIONE AZIENDALE DELLE IMPRESE È RIMASTA LA STESSA?

No, dal 2000 al 2004 è cresciuta, passando da 2,8 a 3,1 addetti. Ma sono cresciute anche le imprese più piccole (da 1 a 9 addetti) passate da 1,8 a 1,9 addetti. 

E QUANTO CONTIAMO IN TERMINI DI PIL?

Il nostro contributo alla creazione della ricchezza nazionale è pari al 70% ed è in ulteriore crescita negli ultimi anni.

 MA QUESTE IMPRESE VIVONO SOLO DI MERCATO INTERNO?

 No, le imprese artigianali, commerciali e di servizi contribuiscono all'export italiano per il 40%.

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