LA RIFORMA DEL COMMERCIO NELL'ITALIA CENTRALE

LA RIFORMA DEL COMMERCIO NELL'ITALIA CENTRALE

PERUGIA, 27 SETTEMBRE 1999 (sintesi)

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28 settembre 1999
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SERGIO BILLE' AL CONVEGNO "LA RIFORMA DEL COMMERCIO NELL'ITALIA CENTRALE"

PERUGIA, 27 SETTEMBRE 1999 (sintesi)                                      

 

 

E' necessario  chiedersi  cosa è accaduto o sta accadendo nella riforma del commercio, quale attuazione le regioni stanno dando ad essa, quali intenzioni di pianificazione urbanistica hanno i comuni  e come si sta muovendo il mercato.

Quanto alle regioni del Centro Italia è evidente che esse hanno caratteristiche comuni  e, soprattutto, un grado elevato di diffusione di benessere e di partecipazione alla vita sociale, culturale ed economica.

L'area, tuttavia, si caratterizza più per interrelazioni potenziali che per vere e proprie reti operative. Il mercato dei beni di consumo e dei servizi turistici è, infatti, potenzialmente legato da un sistema di itinerari di città d'arte e di ambienti naturali, ma su tale collegamento non si può dire che si stia lavorando attivamente.

Alcuni indicatori dell'inflazione sono la prova della diversità, abbastanza sensibile, dei loro modelli economici di sviluppo.

Pur con cautela, si nota negli ultimi anni una dinamica dei prezzi al consumo, nelle diverse provincie dell'Italia centrale, più contenuta rispetto al resto dell'intero Paese.

Più sensibili appaiono, poi, le differenze territoriali nelle dinamiche dei prezzi, se si considera il solo settore alimentare sul quale le caratteristiche dei mercati hanno più influenza sull'evoluzione dei prezzi.

In generale, nelle provincie dell'Italia centrale, nel comparto alimentare  si nota   una evoluzione dei prezzi più sostenuta rispetto a quanto riscontrato nel resto d' Italia negli ultimi anni.

Per quanto riguarda, inoltre, le esportazioni , fatto 100 il grado di penetrazione dell'Italia sui mercati esteri, la Toscana ha, ad esempio, un indice 123 e l'Umbria pari a 63.

Quanto alla raccolta del risparmio essa risulta pari al 22% del totale nazionale, superiore a quella del Nord - Est, ma dove manca un polo bancario che abbia preso l'iniziativa di guidare processi di ristrutturazione e concentrazione, questo mercato resta al semplice livello di luogo di raccolta.

C'è, dunque, da chiedersi cosa freni lo sviluppo di quest' area.

Certamente una prima causa è il prevalere di un certo localismo non saldato alla nuova globalizzazione dell'economia.

Il valore aggiunto di commercio e turismo, ad esempio, punti di forza di quest'area, cresciuto dal '96 al '98 di poco più di 2000 miliardi (a fronte dei 3000 mld del Nord - Est) dimostra le potenzialità inespresse di questi settori.

Nel '98, inoltre, il saldo attivo della bilancia turistica è stato pari a 8 mila miliardi, sintesi di crediti verso l'estero di 15 mila miliardi e di un debito inferiore ai 7 mila.

Pertanto la ricettività turistica, se affrontata con programmi su scala territoriale con il coinvolgimento di più regioni, può apportare maggiori risultati in termini di affluenza.

Altro elemento frenante sta nel fatto che i punti di eccellenza di carattere produttivo non riescono a fare sistema, perché manca una architettura di reti in grado di ottimizzare i servizi necessari alle attività delle imprese.

Il commercio rappresenta la parte più consistente del sistema economico dell'Italia centrale, con oltre 287 mila imprese (29% del totale) di cui oltre la metà operante nel dettaglio; segue l'industria con il 26% e l'agricoltura col 21. La quota dei servizi è pari al 18% del totale e quella del turismo è al 5%.

Delle oltre 163 mila imprese della distribuzione al dettaglio la gran parte è di piccole dimensioni, con un peso che varia da una quota minima del 69,3% dell'Umbria ad una quota massima pari all'84,7% del Lazio, rispetto al 79%, valore medio italiano.

Il commercio delle regioni  centrali, negli ultimi anni ha mostrato, inoltre, una dinamica in linea con quella riscontrata a livello nazionale, con una forte diminuzione delle imprese attive rispetto al numero di quelle iscritte alle Camere di Commercio.

Tra il '95 ed il '98 vi è stata una diminuzione di circa 13 mila imprese attive, quasi tutte di piccole dimensioni, e tale fenomeno ha interessato particolarmente  Lazio e  Toscana.

Nel periodo 1992 - 1997 i supermercati sono cresciuti di 330 unità; i grandi magazzini di 45 e gli iper di 10.

In termini di superfici di vendita i supermercati sono cresciuti del 51,3%, i grandi magazzini del 23,7% mentre gli iper del 33,2%.

L'insieme di questi dati dimostra che il modello della produzione diffusa, oggi, rischia di non essere più competitivo.

Si avverte, dunque, la necessità di un passaggio da una cultura fondata solo sul produrre ad una basata sulla competizione a livello di sistema di area, valorizzando le nuove strategie presenti nell'economia ed i nuovi interessi emergenti che si rivelano più legati al  terziario che non al modello di sviluppo industriale.

In questi mesi le regioni del Centro stanno decidendo quale modello distributivo ritengano più compatibile, quale futuro dare ai propri centri storici e alle periferie urbane e come salvaguardare la funzione sociale ed economica dell'imprenditoria.

Il cammino della riforma del commercio, tuttavia, si presenta lungo, tortuoso ed è difficile prevederne l'esito. Ma già di deve constatare una grande diversificazione nelle scelte di programmazione e nelle corrispondenti definizioni.

Si registra qualche scelta comune solo tra Toscana, Marche ed Umbria, mentre Lazio ed Abruzzo vanno per conto loro, come l'area metropolitana di Roma.

Va denunciato, però, che laddove esiste già una legislazione urbanistica, imperniata su quelli che vengono definiti i piani territoriali di coordinamento, le scelte di programmazione commerciale passano in secondo piano e con esse la nostra possibilità di interloquire, di partecipare e di concertare.

Le aree di localizzazione, gli standard necessari, la presenza o l'assenza di infrastrutture quali parcheggi, tutto ciò che la Bersani prevedeva come misuratori dell'impatto, necessari per decidere se permettere l'insediamento o no di una media o grande struttura, non vengono tenuti in alcun conto.

Pertanto urbanistica e programmazione commerciale stanno divergendo, anzi l'urbanistica diventa il mezzo o la scusa per fare scelte che prescindono dalle rappresentanze delle imprese.

La Conferenza Stato - Regioni si appresta ad adottare una deliberazione contenente linee guida sull'adeguamento degli strumenti urbanistici comunali.

Va, pertanto, sottolineato che i Comuni non possono prescindere dall'applicazione di specifici standard con riferimento a fattori quali la mobilità, il traffico, l'accessibilità, la salvaguardia del centro storico.

La riforma Bersani è arrivata ad una svolta: è necessario sapere che direzione intende imboccare ora.

Ma, va ribadito,  fra urbanistica e pianificazione commerciale ci deve essere una simbiosi che veda seduti intorno a un tavolo tutti i protagonisti: Il rischio, altrimenti, è quello di vedere una partenza non allineata tra il sistema statale centrale e quello delle autonomie locali, che invece sono il fulcro della riforma. Alcune regioni hanno completato il loro percorso legislativo, ma ci sono comuni in forte ritardo, mentre tutti dovrebbero avere lo stesso passo. Occorre, dunque, assicurare a qualunque livello la partecipazione dei soggetti direttamente interessati alla riforma, cioè le imprese del commercio.

    

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