LA SINTESI DEL RAPPORTO

LA SINTESI DEL RAPPORTO

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1 aprile 2008

Introduzione

All’inizio del 2007, osservatori ed esperti economici pronosticavano un miglioramento dello scenario economico internazionale e, seppure in misura minore, italiano. Oggi la situazione è radicalmente cambiata: qualsiasi previsione di crescita del Pil per l’anno in corso rischia di essere troppo ottimistica. In questo scenario si potrebbero creare maggiori problemi per l’Italia per quei difetti di struttura che, ormai da tempo, appannano le performance congiunturali nei periodi di crescita e enfatizzano rallentamenti o cadute nei momenti di riduzione del tasso di sviluppo dell’economia mondiale.

Attualmente, uguali incrementi di lavoro e capitale non sortiscono i risultati di cinque anni fa e producono molto meno che negli anni Settanta e Ottanta. La produttività totale è passata da un contributo annuo di +0,5 al Pil a un -0,4. Senza questo peggioramento di performance il prodotto lordo italiano sarebbe oggi maggiore di circa 43 miliardi di euro. Cifra che, generando verosimilmente un gettito fiscale aggiuntivo di circa 18 miliardi di euro, consentirebbe la riduzione delle aliquote fiscali non di tre o cinque punti in cinque anni, ma di tre punti in un solo anno.

Le ragioni di questo preoccupante fenomeno sono da attribuirsi a tre fattori: la scarsa qualificazione del capitale umano, le scarse interrelazioni del nostro sistema produttivo con i mercati che offrono e utilizzano la tecnologia dell’informazione e della comunicazione e il modesto grado di liberalizzazione di molti importanti settori dell’economia, in primis quello delle public utilities.

Il Paese ha necessità di più commercio e non, invece, di minore distribuzione. La crescita anche se moderata della popolazione, quella dei nuclei familiari, via via di minore dimensione (famiglie di anziani soli, singles, nuclei con due componenti entrambi occupati) sono tutte ragioni socio-demografiche che domandano maggiore capillarità e servizio.

 

 

LA STRUTTURA DELLE ECONOMIE TERRITORIALI

 

Popolazione e offerta di lavoro

La popolazione residente in Italia ha superato nel 2006 i 59 milioni di abitanti con un incremento demografico di circa 390 mila unità rispetto al 2005 con un tasso di attività della popolazione attiva del 62,4%. E mentre nel Nord e nel Centro questo indicatore risulta in crescita negli ultimi anni, arrivando a superare il 70% in alcune realtà come Trentino ed Emilia Romagna, nel Mezzogiorno le persone che appartengono alle forze lavoro sono solo il 52% della popolazione attiva, con regioni (Campania e Calabria) che non raggiungono il 50%. Tra il 2000 e il 2007 le forze di lavoro sono cresciute del 4,4% a livello nazionale, mentre nel Sud sono calate del 4,9%, soprattutto per la contrazione di persone in cerca di occupazione, che ha comportato un evidente calo del tasso di disoccupazione.

Nonostante i progressi registrati degli ultimi anni, la partecipazione al mercato del lavoro è ancora molto inferiore alla media europea, in particolare per i giovani, le donne e le classi di età più elevate. Occorrono, dunque, politiche per incentivare l’ingresso nel mondo del lavoro, favorire l’occupazione femminile, la permanenza di chi arriva all’età pensionabile e avvicinare sempre di più il mondo dell’istruzione a quello dell’impresa per consentire l’inserimento dei giovani.

 

Le imprese sul territorio

Pur in un contesto economico difficile e fortemente competitivo, negli ultimi anni il sistema imprenditoriale italiano ha mostrato una certa vitalità. Tra il 2000 e il 2007, le imprese registrate all’Anagrafe camerale sono aumentate di oltre il 7,5% portando lo stock di imprese complessivo a oltre 6 milioni. E’ il Sud a registrare la variazione più consistente (+9,6%), in particolare con le performance di Campania e Calabria che hanno visto aumentare del 16,1% il numero di imprese operanti nel settore dei servizi.

Ma, al di là dell’andamento demografico, si assiste ad una profonda ristrutturazione nel nostro sistema imprenditoriale: costante diminuzione delle imprese del settore agricolo; aumento del numero di società di capitali (oggi il 20%, contro poco più del 15% del 2000); uscita dal mercato di molte micro-imprese; crescita di imprese gestite da immigrati (nel 2007 hanno superato le 225.000 unità con un incremento dell’8% rispetto al 2006).

 

 

Il valore aggiunto e la produttività: analisi e previsioni

Tra il 1995 ed il 2006 il 32,1% del valore aggiunto è stato prodotto nel Nord-Ovest, il 22,7% nel Nord-Est, il 21,7% al Centro e il 23,5% al Sud, dove però si concentra il 36% della popolazione. Dato quest’ultimo che testimonia un prodotto pro capite più basso e quindi una parziale o totale inefficacia delle politiche settoriali adottate negli anni sotto forma di incentivi e trasferimenti pubblici, sia derivanti da fondi nazionali, sia da fondi europei. La sola Lombardia, ha prodotto più di 1/5 del valore aggiunto nazionale, seguita dal Lazio che presenta stabilmente una quota intorno al 10% (Tab. 1).

Interessante è l’analisi della composizione del prodotto territoriale per settore che evidenzia un costante processo di terziarizzazione delle attività economiche: tra il 1995 ed il 2006 la quota di valore aggiunto di questo settore a livello nazionale è passato dal 66% al 72% e tutte le regioni presentano un valore non inferiore al 60%. Specularmente a questa espansione delle attività terziarie c’è il graduale, generalizzato arretramento delle attività industriali, passate dal 30% a poco più del 26%, e dell’agricoltura scesa dal 3,2% del 1995 al 2,1% del 2006.

Un interessante spunto di riflessione viene dal confronto delle performance di crescita nei due sottoperiodi 1996-2000 e 2001-2006. Nel primo, con un incremento medio annuo del valore aggiunto a livello nazionale di poco inferiore al 2%, si evidenzia una sostanziale tenuta del Centro (1,9%) che si riduce, nel periodo successivo, all’1,3%, mentre il peggioramento più forte si registra nelle regioni meridionali il cui valore aggiunto passa dal 2,1% allo 0,5%. Questo perché è probabile che la struttura produttiva a maggiore vocazione agricola e i servizi tradizionali (commercio, trasporti, credito, servizi alle famiglie) abbiano risentito in misura più sensibile del rallentamento del mercato interno e della domanda per consumi.

Il biennio 2008-09 sarà caratterizzato da un tasso di crescita del valore aggiunto nel suo complesso e di quello per occupato, non particolarmente elevato, stimabile rispettivamente, all’1,2% ed allo 0,6%. Si tratta di previsioni che rispecchiano l’insufficiente processo di accumulazione che caratterizza da molti anni l’economia italiana.

 

I consumi sul territorio al 2009

Nel periodo 1996-2005 i consumi delle famiglie, pur evidenziando un’evoluzione molto contenuta, pongono in luce alcune peculiarità. In termini pro capite, quasi il 41% delle province evidenzia tassi di crescita medi annui compresi tra l’1,4% e l’1,8% ed il 29% tra lo 0,9% e l’1,4%. A livello regionale, nel 2006, il valore più alto dei consumi delle famiglie per abitante si registra in Valle d’Aosta con 21.500 euro, seguita dal Trentino Alto Adige (18.700 euro) e dall’Emilia Romagna (18 mila); ultime, tutte le regioni del Sud con la Basilicata “fanalino di coda� (10.800 euro) (Tab. 2).

Non sempre le province più dinamiche in termini di ricchezza prodotta lo sono anche in quelli di consumo. La classifica del valore aggiunto pro capite nel periodo 1995-2005 è senza significative variazioni. Tra le prime 20 si segnala il miglioramento registrato da Firenze, salita dal 15° posto al 6° posto e di Roma dal 10° al 5°. Tra le province che registrano i valori più bassi di reddito pro capite si riscontrano nel decennio spostamenti molto contenuti, a cui fanno eccezione Vibo Valentia e Caltanissetta che hanno recuperato sei posizioni.

Dall’analisi della relazione tra valore aggiunto e consumi si stima che nel periodo 2007-09 i consumi nel complesso aumenteranno ad un tasso medio annuo dell’1,1%, sintesi di una crescita più sostenuta nel mezzogiorno (1,7%) e di una crescita molto debole nel Nord-Ovest (0,6%). Tra le aree più dinamiche la Campania e la Calabria, con stime di crescita superiori al 2% in termini reali, mentre tra le meno dinamiche si collocano Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria.

 

Il ruolo degli investimenti e delle esportazioni nette

Alcuni elementi utili all’analisi derivano dalla scomposizione della crescita dal lato della domanda. Un primo elemento, per alcuni versi inatteso, è il vistoso limite da parte delle regioni settentrionali, manifestato a partire dal 2000, di penetrare nei mercati internazionali. Dopo il 2001, infatti, il contributo alla crescita delle esportazioni nette, cioè il saldo tra esportazioni ed importazioni, è risultato sempre o quasi sempre negativo, anche in misura consistente, sia nella ripartizione Nord-Ovest sia in quella Nord orientale. L’ingresso nella moneta unica e la pressione competitiva della globalizzazione hanno costretto le imprese italiane export-oriented ad affrontare una fase importante di ristrutturazione e di ricollocazione in termini di fasce di prodotti, i cui frutti dovrebbero manifestarsi proprio nell’attuale fase di congiuntura internazionale avversa, relativamente ad una ritrovata capacità di mantenere le quote di mercato.

Una conferma di questo processo di ristrutturazione lo si può cogliere nel contributo alla crescita del prodotto derivante dagli investimenti fissi lordi, che in alcuni degli anni considerati ha spiegato più del 50% della crescita sia nel Nord-Ovest che nel Nord-Est, compensando in tal modo il contributo negativo delle esportazioni nette ed evitando quindi che l’economia dell’area, in assenza di quel contributo, entrasse in recessione.

Diverso il discorso per le regioni del Centro-Sud, nelle quali il contributo prevalente alla crescita del Pil delle relative aree, più degli investimenti, è derivato essenzialmente dai consumi finali interni, privati e pubblici.

 

 

LA STRUTTURA TERRITORIALE DELLA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE PER CANALE DI VENDITA

 

Introduzione

L’attuale struttura del sistema distributivo italiano è l’esito di un processo di trasformazione, ancora in corso, indotto da diversi fattori: il rallentamento dei consumi delle famiglie, i nuovi orientamenti e comportamenti di spesa dei consumatori, lo sviluppo di moderne formule di vendita, l’introduzione di nuove tecnologie. Tutti elementi che hanno accelerato processi di efficienza e di competitività, ma hanno anche prodotto situazioni di crisi, con la chiusura di molte imprese sprovviste dei mezzi e delle capacità di riposizionarsi in un nuovo contesto. In questo processo evolutivo si è passati da un sistema di tipo “tradizionale� (numero limitato di tipologie distributive, prevalenza di piccole imprese, basso livello di modernizzazione) ad uno dov’è aumentata la varietà delle formule distributive e il livello di concorrenza in funzione dei servizi offerti, della localizzazione, delle caratteristiche dell'assortimento, del mix qualità/prezzo.

Oggi, i consumatori possono contare su una rete di esercizi al dettaglio, sia in sede fissa che in forma ambulante, costituita da 958.593 punti vendita, con un aumento di 81.550 unità rispetto al 2002. Un risultato che è sintesi di due differenti processi evolutivi tra il settore dei negozi food, che ha registrato un forte ridimensionamento numerico dei punti vendita “tradizionali�, e l’area del non alimentare che ha visto nel complesso un incremento del numero di esercizi.

 

Piccolo dettaglio (distribuzione relazionale)

Nel 2007, gli esercizi del “piccolo dettaglio� in sede fissa erano oltre 763 mila; con un incremento rispetto al 2002 di 36 mila unità (+4,9%), ma con andamenti diversi sia tra le diverse regioni del paese, sia tra negozi food e non food: la modesta evoluzione positiva nelle regioni del Nord e del Centro (escluso il Lazio), tutte al di sotto del dato medio e, in alcuni casi, con valori negativi (Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Val d’Aosta), fa supporre la presenza di un’elevata competitività tra formule distributive con conseguente ristrutturazione del settore, elevata concentrazione degli esercizi e crescita delle quote di mercato delle imprese medio-grandi. La dinamica positiva che, a partire dal Lazio (+15,1%) ha interessato tutte le regioni del Sud (+7%) è invece legata sia alla necessità di ampliare una rete spesso carente, sia all’opportunità offerta dal commercio di uno sbocco occupazionale in aree caratterizzate da un mercato precario del lavoro (Tab. 3).

Tra il 2002 e il 2007 l’unica variazione negativa (-8,5%) ha riguardato i piccoli punti vendita alimentari a conduzione familiare, con punte di flessione più accentuate in Trentino Alto Adige (-15,5%), Friuli Venezia Giulia (-15%), Lombardia (-13%). Aumentano (+5,6% a livello nazionale) gli esercizi non specializzati a prevalenza alimentare di media grandezza (discount, superettes), con incrementi significativi al Centro (+44,7% nel Lazio) e al Sud (+13,8% in Puglia, +13,6 in Campania, +13,5 in Sicilia).

Aumentano in tutte le regioni gli esercizi del comparto non alimentare: in particolare tabacchi (+15,4% a livello nazionale) e il settore abbigliamento-calzature-cosmetici (+10%), anche in quest’ultimo caso spiccano le performance del Lazio (+26,6%) e del Sud (Sardegna +17,5%, Sicilia +16,6%, Puglia e Campania +13,7%).

 

 

 

 

Minimercati

Il minimercato è un format che include quegli esercizi non specializzati a prevalenza alimentare e che per la dimensione ridotta della sua superficie (rientrano tra i minimercati i punti vendita tra i 200 e 399 mq. di superficie) è assimilabile a un piccolo supermercato.

A giugno 2007 i minimercati erano 5.061. Di questi la metà sono concentrati nelle regioni del Nord, in particolare in Lombardia (643 unità), Veneto (506), Emilia Romagna (358). Una quota significativa è nel Sud (1.878), soprattutto in Puglia (522) e Campania (368). Rispetto al 2005, i minimercati sono cresciuti di 1.345 unità. L’incremento ha riguardato tutte le regioni, ma è nel Mezzogiorno che si sono riscontrati i valori più elevati (+797 unità).

 

Supermercati

Attualmente i supermercati, cioè i punti vendita con una superficie che varia tra 400 e 2.500 mq., sono 8.569: oltre il 50% nelle regioni del Nord, il 28% al Sud e la restante parte al Centro. Rispetto al 2002, l’incremento è stato di 1.677 unità, con una crescita più accentuata in Lombardia (+223 unità), Veneto (+192) e Sicilia (+184). L’aumento è legato, da un lato, al rafforzamento della rete in regioni, specie al Nord, caratterizzate da bacini di utenza densamente abitati e con buone capacità di spesa; dall’altro, dall’occupazione degli spazi in quelle regioni, specie al Sud, ancora scarsamente dotate di questo tipo di servizio commerciale.

 

Ipermercati

Dei 490 ipermercati (nel 2002 erano 381) presenti in Italia, ben 312 sono al Nord (125 solo in Lombardia). L’incremento in questi cinque anni di 109 unità ha interessato tutte le regioni, ma la crescita più significativa è avvenuta al Sud, dove si è passati da 55 a 99 unità.

La crescita degli iper risalta con maggior evidenza se si prende in considerazione il dato relativo alla superficie di vendita, complessivamente aumentato tra il 2002 e il 2007 di circa il 33%. Al Sud, dove la dotazione di ipermercati era numericamente esigua, l’apertura di pochi insediamenti di dimensione molto elevata o di più esercizi dalle dimensioni più ridotte, ha prodotto un incremento di superficie di circa il 93%.

 

Grandi magazzini

Attualmente i grandi magazzini sono 1.232, concentrati per oltre il 60% nel Centro e nel Sud. Rispetto al 2002, il numero di grandi magazzini è cresciuto di appena di 124 unità, con i maggiori incrementi in Toscana (55) e Sicilia (45). In altre regioni si è invece preferito riqualificare le strutture esistenti piuttosto che aprirne di nuove: è il caso della Lombardia e del Veneto, dove il numero degli esercizi è rimasto identico a quello del 2002. Nelle regioni dove questo tipo di formula non ha saputo rinnovare i contenuti dell’offerta, il numero si è ridotto come accaduto, in particolare, nel Lazio e in Piemonte.

 

Grandi superfici specializzate

Su 1.284 strutture (nel 2002 erano 375 di meno), 861 si trovano al Nord, 200 nel Centro e 223 nel Sud. L’incremento è stato maggiore al Nord (218) e al Sud (106). A livello regionale, la crescita più significativa è avvenuta in Lombardia (99 unità). Se la crescita nel Nord riflette una strategia delle imprese a presidiare mercati interessanti per la capacità di spesa delle famiglie, lo sviluppo nel Mezzogiorno risponde alla logica di indirizzare gli investimenti nelle aree con un basso livello di concentrazione e potenzialità di crescita ancora tutte da sfruttare.

 

Ambulanti e itineranti

Anche se diminuiti rispetto agli anni ‘80, nel 2007 i punti vendita erano 162.938 (+35.936 unità rispetto al 2002), di cui 103.037 ambulanti su posteggio fisso e 59.901 su posteggio mobile o in forma itinerante. La localizzazione sul territorio ha le stesse caratteristiche evidenziate per il piccolo dettaglio: una diffusione molto capillare al Sud (46% del totale) rispetto al Nord (36%) e al Centro (18%).

Dal punto di vista del territorio, l’incremento non uniforme evidenzia processi evolutivi differenti tra il resto del Paese e il Sud, dove la maggior crescita è legata probabilmente al fatto che il settore costituisce, come per il commercio al dettaglio in sede fissa, un’opportunità occupazionale in un contesto di forte precarietà del mercato del lavoro.

L’incremento degli esercizi, che per circa la metà ha interessato appunto il Meridione, si è concentrato soprattutto in Campania (+5.661) e Sicilia (+4.545).

 

Altra distribuzione commerciale

Commercio per corrispondenza, vendita a domicilio, commercio per mezzo dei distributori automatici: si tratta di realtà statisticamente meno rilevanti, ma comunque contraddistinte da importanti trend di sviluppo, anche sulla spinta delle regole più trasparenti introdotte a maggior tutela degli acquirenti.

Attualmente le imprese sono 17.322, di cui il 46% opera nella vendita a domicilio, il 39% nelle vendite per corrispondenza - modalità di acquisto che ha trovato in internet uno strumento di diffusione più vasto - e il 15% tramite distributori automatici. Oltre la metà degli esercizi è al Nord, particolarmente in Piemonte (3.036 unità), Lombardia (2.510) e Veneto (1.581). Rispetto al 2002 vi è stato un aumento (+4.079 esercizi) che ha riguardato soprattutto le regioni del Nord e Centro (+3.560 unità) dove probabilmente esistono abitudini di acquisto più favorevoli allo sviluppo di queste forme di vendita.

 

Le imprese del commercio all’ingrosso

Il settore del commercio all’ingrosso ha evidenziato negli anni più recenti un’elevata vitalità dal punto di vista imprenditoriale. Tra il 2002 ed il 2006 gli esercizi sono aumentati di oltre 39 mila unità, con un incremento del 6,3%. Tale incremento ha riguardato prevalentemente il comparto dell’ingrosso tradizionale (+28 mila imprese) e in misura minore gli intermediari (+6.500 unità) e il settore auto (+4.300 esercizi).

A livello territoriale, le variazioni più significative si sono registrate in Lombardia, Lazio, Campania e Sicilia, in larga misura grazie alle imprese operanti nell’ingrosso tradizionale.

 

 

Tab. 1 - Valore aggiunto ai prezzi base (composizione % settoriale per regione)

 

1995

2000

2006

 

ASP

IND

SER

TOT

ASP

IND

SER

TOT

ASP

IND

SER

TOT

Piemonte

7,2

10,8

8,0

8,8

6,4

10,5

8,0

8,6

5,9

9,0

7,8

8,1

Valle d'Aosta

0,1

0,2

0,3

0,3

0,1

0,2

0,3

0,3

0,2

0,2

0,3

0,2

Lombardia

11,2

26,4

18,6

20,7

11,9

25,8

19,0

20,7

11,0

26,2

19,4

21,0

Trentino-Alto Adige

2,4

1,8

2,2

2,1

2,4

1,9

2,3

2,2

3,4

1,9

2,1

2,1

Veneto

9,3

11,3

8,1

9,1

9,6

11,4

8,3

9,2

8,5

12,4

8,5

9,5

F. Venezia Giulia

2,3

2,4

2,4

2,4

2,1

2,3

2,3

2,3

1,8

2,3

2,4

2,3

Liguria

2,6

2,0

3,5

3,0

2,3

2,2

3,4

3,0

2,3

1,8

3,2

2,8

Emilia-Romagna

10,4

10,1

8,1

8,8

11,2

10,4

8,0

8,8

9,7

10,8

7,9

8,7

Toscana

4,9

6,8

6,7

6,7

4,5

7,1

6,7

6,8

6,2

6,7

6,7

6,7

Umbria

1,7

1,4

1,4

1,4

1,7

1,4

1,4

1,4

1,5

1,5

1,4

1,4

Marche

3,0

2,8

2,4

2,5

2,5

2,9

2,4

2,5

2,2

3,1

2,4

2,6

Lazio

5,6

6,2

12,3

10,3

5,8

6,3

11,9

10,2

6,3

6,0

13,0

11,0

Abruzzo

2,5

1,9

1,9

1,9

2,6

2,0

1,8

1,9

2,4

2,1

1,7

1,8

Molise

0,7

0,4

0,4

0,4

0,7

0,4

0,4

0,4

0,7

0,4

0,4

0,4

Campania

7,1

4,7

7,0

6,3

7,6

4,8

7,1

6,4

8,4

4,4

6,9

6,3

Puglia

10,4

3,5

4,8

4,6

9,8

3,6

4,8

4,6

8,5

3,9

4,6

4,5

Basilicata

1,5

0,7

0,7

0,7

1,6

0,7

0,7

0,7

1,7

0,7

0,7

0,7

Calabria

4,5

1,2

2,4

2,1

4,4

1,2

2,4

2,2

4,9

1,4

2,4

2,2

Sicilia

9,5

3,6

6,4

5,7

9,6

3,4

6,4

5,7

10,8

3,5

6,1

5,5

Sardegna

3,0

1,7

2,3

2,1

3,2

1,5

2,3

2,1

3,7

1,6

2,3

2,2

Nord-Ovest

21,0

39,4

30,4

32,8

20,7

38,6

30,6

32,6

19,3

37,2

30,6

32,1

Nord-Est

24,3

25,7

20,8

22,4

25,3

26,1

20,9

22,5

23,4

27,4

20,9

22,7

Centro

15,2

17,3

22,8

20,9

14,4

17,6

22,5

20,9

16,1

17,3

23,5

21,7

Sud e Isole

39,4

17,6

26,0

23,9

39,5

17,6

26,0

24,0

41,2

18,1

25,0

23,5

ITALIA

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

ASP: agricoltura, silvicoltura e pesca; IND: industria; SER: servizi; TOT: valore aggiunto totale nazionale;

Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

 

 

Tab. 2 - Graduatoria regionale dei consumi delle famiglie pro capite

(euro x .000 prezzi correnti)

Posizione

Regione

euro

 

Posizione

Regione

euro

1

Valle d’Aosta

21,5

 

11

Marche

15,5

2

Trentino A.A.

18,7

 

12

Umbria

14,6

3

Emilia Romagna

18,0

 

13

Abruzzo

12,9

4

Liguria

17,5

 

14

Sardegna

12,7

5

Lombardia

16,9

 

15

Molise

11,9

6

Toscana

16,9

 

16

Sicilia

11,7

7

Veneto

16,6

 

17

Puglia

11,6

8

Lazio

16,5

 

18

Calabria

11,6

9

F. Venezia Giulia

16,5

 

19

Campania

11,2

10

Piemonte

16,4

 

20

Basilicata

10,8

 

Elaborazioni: Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat e Istituto Tagliacarne

 

 

 

Tab. 3 - PUNTI VENDITA DEL PICCOLO DETTAGLIO PER MERCEOLOGIA (VAR. % 2007/2002)

 

 

Non specializ.

 Specializ.

Tabacchi

Carburanti

Farmacie

Abbigliam.,

calz.

Mobili,

elettrod.

Libri,

giornali

Altro

Tot.

 

 

alimentari

alimentari

 

 

 

cosmetici

ferramenta

cartoleria

 

 

 

Piemonte

4,1

-10,8

11,0

0,3

7,1

2,0

-2,5

2,0

7,4

1,3

 

Valle d'Aosta

-12,7

-2,8

8,3

1,1

19,5

-2,1

-6,1

1,0

13,3

-0,5

 

Lombardia

-2,3

-13,0

28,0

1,0

8,7

7,0

-1,0

0,7

6,7

2,3

 

Liguria

-2,2

-9,4

11,6

0,2

5,2

3,5

-2,9

3,7

8,5

1,0

 

Trentino-Alto Adige

2,6

-15,5

13,8

7,9

13,2

4,8

-6,9

-3,8

-0,4

-0,4

 

Veneto

-3,3

-9,1

18,3

5,0

7,9

5,4

0,0

0,6

2,2

1,4

 

Friuli-Venezia Giulia

-6,8

-15,0

1,2

2,4

1,1

-2,7

-10,7

2,6

8,2

-2,8

 

Emilia Romagna

0,3

-8,4

8,0

-1,1

2,7

3,7

-2,4

2,1

8,0

1,8

 

Toscana

3,7

-11,9

18,8

0,9

7,7

5,5

-5,3

-0,7

3,9

1,0

 

Umbria

-10,6

-1,4

9,9

-1,4

10,3

5,1

-3,2

2,2

10,8

2,4

 

Marche

-6,3

-5,9

12,4

7,8

10,9

8,3

-2,4

-0,3

5,1

2,4

 

Lazio

44,7

-9,1

22,4

9,5

10,0

26,6

13,5

14,5

11,0

15,1

 

Abruzzo

-2,9

0,2

22,9

10,9

6,9

12,2

1,4

6,6

7,3

6,1

 

Molise

-0,7

-6,1

-2,5

10,8

4,7

2,6

-6,1

6,5

20,4

3,1

 

Campania

13,6

-6,7

13,7

7,0

18,8

13,7

5,5

8,7

16,2

8,4

 

Puglia

13,8

-2,9

11,5

2,1

9,8

13,7

6,7

6,3

14,5

8,9

 

Basilicata

4,8

-1,3

17,7

9,3

8,2

5,8

-0,3

0,0

15,7

5,4

 

Calabria

-2,5

-9,4

25,1

11,9

6,8

7,9

-1,3

3,7

12,9

3,3

 

Sicilia

13,5

-11,2

12,4

4,9

7,4

16,6

4,9

8,2

6,1

6,4

 

Sardegna

-8,2

-3,8

9,4

5,8

5,0

17,5

5,3

5,5

14,8

5,9

 

Nord-Ovest

-0,4

-11,6

19,5

0,7

7,8

4,9

-1,8

1,5

7,2

1,7

 

Nord-Est

-1,6

-10,0

11,2

2,3

5,4

3,8

-2,7

1,3

4,8

1,0

 

Centro

14,7

-9,2

18,2

5,5

9,4

14,5

3,7

5,8

8,0

7,4

 

Sud

7,2

-6,5

13,9

6,3

10,2

13,5

4,2

6,9

12,4

7,0

 

ITALIA

5,6

-8,5

15,4

4,0

8,5

10,0

1,8

4,2

9,1

4,9

 

Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati dell'Osservatorio Nazionale del Commercio

 

 

 

 

 

 

 

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