Lavoratore autonomo non fa rima con evasore fiscale

Lavoratore autonomo non fa rima con evasore fiscale

Sul Garantista il direttore dell'Ufficio Studi Confcommercio, Mariano Bella, sottolinea che "è scorretto confrontare i redditi degli imprenditori con quelli degli impiegati. I datori di lavoro dichiarano il triplo dei loro dipendenti".

DateFormat

13 aprile 2015

Sul Sole24 Ore del 9 aprile il Professor Ricolfi stigmatizzava, con amarezza, la sciatteria diffusa e radicata di un certo modo di fare comunicazione televisiva in Italia. Salvo lodevoli eccezioni, si preferisce dire e dibattere non di qualcosa di oggettivo, che diventa poi base per opinioni, eventualmente divergenti, bensì di invenzioni personali basate sull'adulterazione dell'informazione statistica. Il racconto mediatico dell'evasione fiscale ne costituisce tipologia emblematica. Nell'ultima settimana almeno due importanti editoriali all'interno di famose trasmissioni serali contenevano affermazioni sulle presunte evidenze che in Italia i dipendenti guadagnino più dei loro datori di lavoro e che, a riprova della diffusa scorrettezza fiscale di autonomi e imprenditori, oltre l'80% delle imposte venga pagato dai lavoratori dipendenti. Francamente, queste sentenze hanno dell'incredibile. Infatti, il Dipartimento delle Finanze del MEF, nel comunicato del 2 aprile 2015 a commento dei dati delle dichiarazioni dei redditi relative all'anno 2013, chiarisce al di là di ogni ragionevole dubbio che, rispetto ai dati fiscali diffusi «la definizione di imprenditore non può essere assunta come sinonimo di datore di lavoro in quanto la gran parte delle ditte individuali non ha personale alle dipendenze. E' pertanto improprio usare i dati per confrontare i redditi degli imprenditori con quelli dei "propri dipendenti"». E poi, con un rimando in nota, chiarisce che «secondo i dati pubblicati a maggio 2014, riferiti all'anno d'imposta 2012, i datori di lavoro persone fisiche (circa 600mila imprenditori e autonomi) dichiarano un reddito medio da attività economica pari a 31.303 euro, mentre i rispettivi dipendenti dichiarano un reddito medio di 10.499 euro. Si ricorda inoltre, che tra i redditi da lavoro dipendente rientrano anche le retribuzioni di soggetti con redditi tipicamente elevati, quali ad esempio alti dirigenti privati e pubblici». Più chiaro di così non si può. Il Dipartimento delle Finanze ha cominciato a raccontare queste cose, scritte per altro in grassetto, proprio per evitare affermazioni errate come quelle citate sopra, che in passato scatenavano comprensibili proteste da parte delle associazioni dei datori di lavoro. Queste evidenze sono state sottolineate in modo eccellente, già lo scorso anno, dal Sottosegretario Zanetti (tra gli altri) in un pezzo dal titolo eloquente "Dai dati del fisco smentito il binomio autonomi-evasori" (Corsera, 4 giugno 2014). Eppure, come se niente fosse, si continua, anche da parte di autorevoli commentatori, non ragazzini alle prime armi, a raccontare falsità, dimostrate tali sotto il profilo aritmetico. Invece di fare confronti a casaccio, si possono considerare, visto che l'informazione statistica disponibile lo consente, solo i dati degli imprenditori che hanno realmente dipendenti e si confronta la media dei redditi di questi imprenditori con la media dei redditi dei loro dipendenti effettivi: il risultato è che i datori di lavoro dichiarano mediamente il triplo dei loro dipendenti! L'affermazione, poi, che l'80-85% dell'Irpef è pagata dai lavoratori dipendenti e dai pensionati risponde allo schema posticcio di dire una cosa vera per indurre una conclusione falsa (imprenditori e autonomi sono evasori). Infatti, è ben noto, o almeno dovrebbe esserlo, che su poco meno di 41 milioni di dichiarazioni Irpef ci sono quasi quindici milioni di redditi da pensione e oltre venti milioni di lavoratori dipendenti e che, quindi, per forza solo 5,6 milioni di dichiarazioni si riferiscono ad autonomi e imprenditori (meno del 14%): è dunque perfettamente logica la corrispondenza tra quota dei dichiaranti e quota dei redditi dichiarati. Le assurde affermazioni sul punto trascurano, poi, che i redditi da lavoro autonomo e d'impresa pagano altre imposte, come per esempio l'Irap e che quindi, un confronto corretto andrebbe fatto non sulla quota dell'imponibile Irpef ma sulla quota di tutti i redditi e di tutte le imposte pagate. Ma capisco che sarebbe pretendere troppo (e infatti non lo pretendo). Cosa c'è dietro tutto questo? Non posso pensare che gli errori a ripetizione siano dovuti all'opacità e alla complessità dei documenti statistici ufficiali. L'opacità non c'è più: il comunicato del Dipartimento consta di cinque paginette scritte con carattere per normo vedenti, ben spaziato, senza formule matematiche né complicate tabelle, e con le cose più importanti in grassetto. Le evidenze che ho qui discusso sono a pagina 3 e ci vogliono due minuti di orologio (quattro per i non addetti ai lavori) per giungere alle frasi e alle statistiche riportate proprio per prevenire i soliti grossolani errori. Allora non è una questione di conoscenze specialistiche. Sostanzialmente tutti parlano di evasione come piaga, cancro, malattia sociale ecc. ma non ci credono davvero: sottovalutano il fenomeno, visto che non vi dedicano neppure i ritagli dei ritagli del loro preziosissimo tempo. Invece il problema è di eccezionale gravità e interessa ampia parte della società italiana. Per combattere l'evasione bisogna utilizzare congiuntamente cinque leve: ridurre il costo dell'adempimento (meno burocrazia), aumentare il numero di controlli efficienti e non spettacolari, migliorare la qualità e la quantità di servizi pubblici, perché la correttezza va misurata su basi di reciprocità tra cittadini e fisco, ridurre l'incentivo all'evasione mediante una riduzione delle aliquote legali d'imposta e, infine, della massima importanza, creare vera consapevolezza della nocività del fenomeno. A questo scopo è indispensabile una buona informazione. 

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca