Roadshow PMI

Roadshow PMI

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29 gennaio 2009

Logo prima settimana europea delle PMI (2009)

È partito da Ancona, il 29 gennaio 2009, il Roadshow PMI di Confcommercio, un’importante iniziativa itinerante sul territorio che toccherà, tra gennaio e maggio, alcune città del Nord, del Centro e del Sud del Paese e affronterà, in ciascuna delle nove tappe previste, un tema di particolare interesse per il mondo delle piccole e medie imprese.

La manifestazione, che si inserisce nel contesto della Prima Settimana Europea delle PMI promossa dall’UE a favore dell’imprenditoria e dell’imprenditorialità, coinvolgerà rappresentanti del governo e dell’opposizione, istituzioni locali e nazionali con l’obiettivo di valorizzare, nel contesto economico generale, il ruolo delle imprese del terziario, quale asset fondamentale del nostro tessuto produttivo e imprenditoriale.

 

La ricerca dell'Ufficio Studi (PDF)

 

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Le tappe

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Il Manifesto: L'Italia delle imprese, le imprese per l'Italia

Microfono e payoff "Parola alle PMI"

L’economia internazionale è entrata, dall’ultimo trimestre del 2008, in una fase di recessione, che dovrebbe raggiungere il suo culmine nel corso di quest’anno, con pesanti ricadute sull’occupazione, sui redditi, sui consumi e sugli investimenti. In Italia, poi, all’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale si sommano ritardi strutturali di lungo periodo, che, nel loro complesso, costituiscono la sostanza notissima delle cause della crescita lenta, della competitività difficile, della produttività stagnante o declinante.

Con il pessimismo non si va lontano. Ma – entro ed oltre il perimetro della crisi – con la realtà bisogna fare i conti. Con responsabilità e senza paure. Perché – come ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo messaggio di fine anno – “l’unica cosa di cui aver paura è la paura stessa”.

Questo manifesto vuole dunque essere il contributo responsabile di un’Italia che non ha paura, ma è consapevole delle difficoltà, nuove e pregresse, che occorre affrontare e superare per crescere di più e meglio, per costruire sviluppo e coesione sociale.

È il contributo dell’Italia delle imprese. Delle sue PMI, in particolare, che costituiscono il 95% della struttura produttiva del Paese, che contribuiscono per oltre il 70% alla formazione del valore aggiunto e per oltre l’80% all’occupazione. Il tutto nel contesto di un mercato interno europeo, in cui oltre il 99% delle imprese rientra nella classe dimensionale fino a 250 addetti e in cui circa 18 milioni di imprese sono classificate come microimprese con meno di 10 addetti.

In Europa ed in Italia, dunque, le PMI non sono né un’eccezione, né un’anomalia. Al contrario, esse sono la struttura portante dell’economia reale e dei processi di sviluppo territoriale. Sono quindi una risorsa fondamentale su cui far leva per rispondere alla recessione originata dalla crisi sistemica dei mercati finanziari.

E lo sono particolarmente in un’Italia, di cui – accanto ad una certa maggiore solidità patrimoniale delle famiglie e del sistema bancario rispetto allo scenario internazionale – costituiscono uno dei principali punti di forza e di tenuta a fronte della crisi in atto e dei suoi sviluppi futuri. E’ il contributo delle imprese per l’Italia.

Soprattutto in tempi difficili, più difficili, le risorse vanno però coltivate. E’ bene che questa consapevolezza sia maturata, in Europa, con lo “Small Business Act”, ossia con la strategia della Commissione europea di valorizzazione dell’impresa diffusa, il cui primo principio è “think small first”.

Un “pensare anzitutto in piccolo”, che è il riconoscimento della necessità di politiche dedicate alle PMI come condizione fondamentale per la loro crescita e, in questo modo, per il loro contributo determinante ad un realistico perseguimento dell’obiettivo di Lisbona: fare dell’economia europea “l’economia più competitiva e dinamica al mondo basata sulle conoscenze, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e più qualificati posti di lavoro e con una maggiore coesione sociale”.

“Pensare anzitutto in piccolo” non è, allora, né un anacronistico ripiegamento su orizzonti localistici rispetto allo scenario difficile ed inquieto della globalizzazione, né l’evocazione di politiche da “riserva indiana”. E’ invece – lo ripetiamo, lo sottolineiamo – l’impegno a far sì che, ad ogni livello della scala dimensionale, le imprese possano ricercare maggiore efficienza e crescere. Crescere dimensionalmente e qualitativamente; crescere singolarmente e attraverso le aggregazioni di gruppo e le relazioni di distretto e di filiera. Senza “riserve indiane”: né per le PMI, né per i “campioni nazionali”.

Questi ci sembrano, dunque, i principi, i valori ispiratori delle politiche dedicate alle PMI italiane: la tutela della legalità e della sicurezza contro ogni forma di criminalità; il pluralismo imprenditoriale come condizione strutturale di democrazia economica; l’apertura dei mercati e l’attenzione alle ragioni dei consumatori, declinate attraverso una concorrenza a parità di regole; l’impegno per lo sviluppo territoriale e per una maggiore competitività dell’intero sistema-Paese.

Sono i principi, i valori di un’Italia che – a volte, quasi nonostante tutto – mantiene fortissima la voglia di fare impresa. E’ l’Italia dell’economia reale, che non si sottrae al problema della produttività stagnante o declinante, ma che, al contrario, intende affrontarlo per intero e sino in fondo. E’ l’Italia che – negli anni della crescita lenta e del venir meno della valvola di sfogo delle svalutazioni pro-competitive – ha saputo comunque andare avanti e sostenere la crescita dell’occupazione.

Lo ha fatto “cambiando pelle”, con ristrutturazioni profonde, silenziose ed anche dolorose. Basti pensare, ad esempio, alla “selezione darwiniana” delle imprese del commercio, con la chiusura di decine di migliaia di unità produttive all’anno.

Lo ha fatto esprimendo una buona parte di quelle “multinazionali tascabili” che – con creatività ed innovazione, con una forte integrazione tra produzione e servizi – hanno saputo accrescere il valore aggiunto dell’export italiano.

E’ l’Italia produttiva e dell’economia reale, che non ha vissuto né l’euforia della “new economy”, né le suggestioni del primato della finanza e delle tante, troppe privatizzazioni senza liberalizzazioni.

E’ l’Italia di un capitalismo familiare senza “grandi famiglie”.

E’ l’Italia di chi, ogni giorno, si confronta con il mercato e con le difficoltà delle famiglie. E, quando non ce la fa, chiude. Chiude, punto e basta. E con ben pochi ammortizzatori.

Cosa offre e chiede, oggi, questa Italia, l’Italia delle PMI?

Offre e chiede responsabilità. Offre tutto il proprio impegno per rilanciare crescita, sviluppo, coesione sociale. Chiede la responsabilità di perseguire questi obiettivi attraverso riforme che risolvano svantaggi competitivi di lungo periodo e che legittimino, pur nel quadro di un rigoroso controllo della finanza pubblica, una politica di bilancio più espansiva.

Chiede una funzione pubblica più efficiente, anche sul versante della giustizia, e una spesa pubblica più produttiva come occasioni di crescita e come condizione per una progressiva riduzione di una pressione fiscale troppo elevata, che avanzi in parallelo al recupero di evasione ed elusione. Il tutto nella prospettiva di un federalismo fiscale fondato su una solida e condivisa cultura della responsabilità nell’utilizzo delle risorse pubbliche e nel ricorso alla tassazione, ma anche nell’ottica di un ordinamento fiscale certo, stabile e semplificato.

Chiede un’opzione forte – anche e soprattutto nel Mezzogiorno – per gli investimenti in infrastrutture e per il potenziamento del capitale umano, con un sistema educativo e formativo che riconosca ed apprezzi merito e responsabilità, per irrobustire i fondamentali della crescita e dello sviluppo. Così come sollecita – soprattutto in questa fase – un rapporto più collaborativo tra banca ed impresa ed il rafforzamento del ruolo dei sistemi di garanzia mutualistica dei fidi.

Chiede che si completi il circuito della flexicurity attraverso la riforma degli ammortizzatori sociali, l’efficienza dei servizi per l’impiego e dei processi di formazione continua, anche rivedendo la struttura di una spesa sociale troppo assorbita dalla spesa previdenziale. E valorizzando la sussidiarietà del welfare contrattuale, nell’ambito di una ora rinnovata architettura della contrattazione che concorrerà al perseguimento di maggiore produttività e, conseguentemente, al miglioramento della dinamica salariale, con scelte incentivanti di riduzione del prelievo fiscale.

Chiede integrazione tra politica industriale e politica per i servizi, nella consapevolezza che, nel futuro del nostro Paese, maggiore e migliore crescita, maggiore e migliore occupazione potranno venire anzitutto dall’economia dei servizi e dai suoi incrementi di produttività. Un’integrazione fondata sulle liberalizzazioni ancora necessarie, a partire dai servizi pubblici locali; sulle semplificazioni degli oneri burocratici, con l’obiettivo della loro riduzione del 25% entro il 2012, ma anche sulla tempestività dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni; sul sostegno all’innovazione – tecnologica ed organizzativa – dell’impresa diffusa; sulla valorizzazione dell’identità italiana e della sua offerta turistica come straordinario asset competitivo del Paese; sul ruolo pro-competitivo del pluralismo distributivo; sul potenziamento del sistema dei trasporti e della logistica; sulla riduzione dei costi dell’approvvigionamento energetico del Paese e sulla costruzione dello sviluppo ambientalmente sostenibile come opportunità di innovazione tecnologica e di specializzazione produttiva; sulla riduzione del digital divide, anche con un mercato radiotelevisivo digitale effettivamente pluralistico.

Occorrono riforme, dunque. Definirle e realizzarle è una responsabilità condivisa: di chi governa e delle parti sociali; delle istituzioni e della politica, di maggioranza e di opposizione. Confrontarsi e cooperare per la migliore formazione delle scelte è un diritto/dovere di tutti, nel reciproco rispetto dei diversi ruoli. Da questo punto di vista, i tempi di crisi rafforzano il nostro auspicio, la nostra richiesta di una legislatura costituente, ancora possibile e più che mai necessaria.

Se così sarà, l’Italia delle PMI pensa davvero che sia possibile dar concreto seguito all’appello del Presidente della Repubblica: “Facciamo della crisi un’occasione…”. L’occasione per costruire un’Italia più prospera e più giusta. Alla realizzazione di questo obiettivo, le PMI vogliono dare tutto il loro contributo.

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Le piccole e medie imprese in Italia

a cura dell'Ufficio Studi Confcommercio

In Italia le PMI costituiscono una realtà numericamente molto significativa: su 4.338.766 imprese, 4.335.448 (il 99,9%) sono, infatti, piccole e medie imprese (Tab. 1). Inoltre, la quasi totalità di PMI (il 95%) è costituita da imprese con meno di 10 addetti. Il resto è formato da imprese che impiegano da 10 a 49 addetti (196.090 unità, pari al 4,5%), mentre le imprese di taglia più grande (da 50 a 249 addetti) sono appena 21.867, ossia lo 0,5% del totale.

Dal punto di vista dei settori economici, le PMI, soprattutto quelle con meno di 10 addetti, si concentrano nel terziario (circa il 76% del totale PMI), in particolare nelle attività immobiliari, di informatica, di ricerca e di altre attività professionali (25,2%) e nel commercio al dettaglio (16,5%). Salendo di dimensione (imprese da 10 a 249 addetti) cala la quota delle PMI che operano nei servizi (circa il 46%) perché più diffusa è la presenza di medie imprese nel settore industriale (Tab. 1).

Tab. 1 - Le imprese in Italia: dimensione per classi di addetti - 2006

  Numero imprese per classi addetti
  1-9 10-49 50-249 Tot. Pmi 250 e oltre Totale
Industria 431.319 77.504 10.375 519.198 1.460 520.658
Costruzioni 563.817 29.309 1.465 594.591 84 594.675
Servizi 3.122.353 89.277 10.027 3.221.657 1.776 3.223.433
Commercio, manutenzione e rip. autov. 140.514 6.762 406 147.682 24 147.706
Commercio all'ingrosso 390.036 14.671 1.204 405.911 149 406.060
Commercio al dettaglio 678.713 12.743 1.065 692.521 235 692.756
Alberghi e ristoranti 254.311 14.504 683 269.498 106 269.604
Trasporti e comunicazioni 143.671 10.768 1.668 156.107 349 156.456
Attività immobiliari, noleggio,informatica, ricerca,altre attiv. prof. 1.037.043 18.825 2.828 1.058.696 622 1.059.318
Altre attività dei servizi 478.065 11.004 2.173 491.242 291 491.533
 Totale 4.117.489 196.090 21.867 4.335.446 3.320 4.338.766
  Composizione % imprese per classi addetti
  1-9 10-49 50-249 Tot. Pmi 250 e oltre Totale
Industria 10,5 39,5 47,4 12,0 44,0 12,0
Costruzioni 13,7 14,9 6,7 13,7 2,5 13,7
Servizi 75,8 45,5 45,9 74,3 53,5 74,3
Commercio, manutenzione e rip. autov. 3,4 3,4 1,9 3,4 0,7 3,4
Commercio all'ingrosso 9,5 7,5 5,5 9,4 4,5 9,4
Commercio al dettaglio 16,5 6,5 4,9 16,0 7,1 16,0
Alberghi e ristoranti 6,2 7,4 3,1 6,2 3,2 6,2
Trasporti e comunicazioni 3,5 5,5 7,6 3,6 10,5 3,6
Attività immobiliari, noleggio,informatica, ricerca,altre attiv.prof. 25,2 9,6 12,9 24,4 18,7 24,4
Altre attività dei servizi 11,6 5,6 9,9 11,3 8,8 11,3
 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat

Le Pmi non costituiscono solo numericamente l'ossatura del sistema produttivo nazionale, ma anche il loro contributo in termini di occupazione è significativo: impiegano, infatti, oltre l'81% degli occupati, in particolare nel settore dei servizi (circa il 49%). Analoga situazione si registra anche in termini di valore aggiunto: il 72,4% (esclusa l'agricoltura) è prodotto dalle PMI, di cui più della metà dalle imprese del terziario (Tab. 2).

Tab.2 - Le piccole e medie imprese in Italia - 2006

  Pmi   peso % su tot. Imprese Addetti peso % su tot. addetti  Valore agg. (migliaia euro) peso % su tot. Val.agg.
Industria 519.198 12,0 3.492.380 21,1 148.835.402 22,0
Costruzioni 594.591 13,7 1.793.391 10,8 59.399.186 8,8
Servizi 3.221.657 74,3 8.069.880 48,7 274.606.567 40,5
- Commercio, manutenzione e rip. autov. 147.682 3,4 471.907 2,8 15.080.408 2,2
- Commercio all'ingrosso 405.911 9,4 1.029.304 6,2 50.893.358 7,5
- Commercio al dettaglio 692.521 16,0 1.541.388 9,3 35.043.998 5,2
- Alberghi e ristoranti 269.498 6,2 989.171 6,0 18.851.471 2,8
- Trasporti e comunicazioni 156.107 3,6 657.816 4,0 27.613.451 4,1
- Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre attiv. prof. 1.058.696 24,4 2.173.787 13,1 90.070.813 13,3
- Altre attività dei servizi 491.242 11,3 1.206.507 7,3 37.053.068 5,5
Totale pmi 4.335.446 99,9 13.494.473 81,4 490.030.100 72,4
Totale imprese 4.338.766 100,0 16.578.551 100,0 677.232.011 100,0
Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat

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Le piccole e medie imprese in Europa (EU-27)

a cura dell'Ufficio Studi Confcommercio

L’economia dell’Europa poggia la sua base produttiva su una rete diffusa di piccole e medie imprese (PMI) che giocano un ruolo cruciale nella creazione di impiego e nello sviluppo locale. La fotografia scattata da Eurostat sulla struttura imprenditoriale dei 27 paesi che formano l’Unione Europea è molto chiara: su circa 20 milioni di imprese di tutti i settori economici, escluso l’agricoltura e le attività finanziarie, la quasi totalità è composta da piccole e medie imprese*.

Tab. 1 – Le piccole e medie imprese in Europa (EU-27), escluse le imprese dell'agricoltura e del settore finanziario

  N. imprese Occupati Valore agg.
  (migliaia) (comp.%) (milioni) (comp.%) (miliardi euro) (comp.%)
Totale imprese 19.647 100,0 126,7 100,0 5.360 100,0
PMI 19.600 99,8 85,0 67,1 3.090 57,6
Micro 18.035 91,8 37,51 29,6 1.120 20,9
Piccole 1.353 6,9 26,1 20,6 1.011 18,9
Medie 213 1,1 21,3 16,8 954 17,8
Grandi 41 0,2 41,7 32,9 2.270 42,4
Fonte: Eurostat

In particolare, le PMI sono pari a 19,6 milioni di unità e rappresentano il 99,8% del totale delle imprese europee; occupano 85 milioni di persone (il 67% del totale) e realizzano un valore aggiunto di oltre 3 mila miliardi di euro, ovvero circa il 58% del totale (Tab. 1).

La quasi totalità delle PMI europee (oltre 18 milioni di unità, pari al 91,8% del totale) è costituita da imprese con meno di 10 addetti che occupano 37,5 milioni di persone (il 29,6% del totale) e realizzano un valore aggiunto di 1.120 miliardi di euro (il 20,9% del totale).

Considerando le sole PMI dal punto di vista dei settori economici (Tab. 2), il terziario, escluso i servizi finanziari, concentra il maggior numero di imprese (73,8% del totale), di occupati (61,1%) e di valore aggiunto (61,4%) rispetto all’industria nel suo complesso (comprese le costruzioni), dove le imprese sono il 26,2% del totale, gli occupati il 38,8% e il valore aggiunto realizzato il 38,6% del totale.

Pur costituendo un tessuto produttivo diffuso in maniera significativa in tutti gli Stati Membri dell’UE, esistono alcune differenze tra i vari paesi (Tab. 3). Le PMI del Portogallo, della Grecia e dell’Italia hanno una quota di occupati che supera l’80% del totale rispetto, ad esempio, al Regno Unito ed alla Germania dove la quota di occupati nelle Pmi è rispettivamente pari al 54% e al 60,6%. Anche per quanto riguarda il valore aggiunto, si distingue la posizione dell’Italia dove le PMI concentrano la quota più elevata (70,9%), seguite da quelle greche e portoghesi, mentre le tedesche e le britanniche registrano valori più bassi.

Tab. 2 - Indicatori chiave delle PMI per macro-settori (UE-27), escluse le imprese dell'agricoltura e del settore finanziario

  Numero imprese (comp.%) Numero occupati (comp. %) Valore aggiunto (comp. %)
Industria (C-E) 12,0 24,8 26,1
Costruzioni (F) 14,2 14,0 12,5
Servizi non finanziari (G-I & K) 73,8 61,1 61,4
Commercio, manutenzione auto, moto; carburante 4,0 4,2 3,9
Commercio ingrosso 8,7 9,4 12,0
Commercio dettaglio e riparazioni 19,2 13,0 7,2
Hotel e ristoranti 8,4 8,6 4,1
Trasporti terrestri 4,7 4,2 3,4
Trasporti marittimi e per acqua 0,1 0,1 0,5
Trasporti aerei 0,0 0,0 0,2
Servizi ausiliari di trasporto 0,9 1,7 2,2
Poste e telecomunicazioni 0,4 0,4 0,7
Attività immobiliari 5,1 2,8 7,1
Noleggio macchinari 0,7 0,5 1,8
Informatica e attività connesse 2,7 2,1 3,2
Ricerca e sviluppo 0,2 0,3 0,3
Altre attività professionali 18,6 14,1 14,9
Totale economia escluso settore finanziario 100,0 100,0 100,0
Fonte: Eurostat 2008

Tab. 3 - Indicatori chiave delle PMI per paesi della UE- 2005, % delle PME sul totale

  Numero imprese (migliaia) Numero occupati (migliaia) Valore aggiunto (Miliardi euro ) Numero imprese Numero occupati Valore aggiunto
EU-27 19.602 85.000 3.090 99,8 67,1 57,6
BE 395 1.602 83 99,8 66,6 57,8
BG 240 1.318 5 99,7 72,6 53,2
CZ 878 2.461 30 99,8 68,9 56,7
DK 202 1.129 67 99,7 66,0 64,8
DE 1.654 12.357 553 99,5 60,6 53,2
EL 820 2.031 44 99,9 81,9 69,6
ES 2.542 10.538 339 99,9 78,7 68,5
FR 2.274 8.834 412 99,8 61,4 54,2
IT 3.819 12.182 420 99,9 81,3 70,9
HU 556 1.783 20 99,8 70,9 50,2
NL 492 3.146 146 99,7 67,6 61,5
AT 272 1.589 76 99,7 67,4 60,0
PL 1.405 5.289 59 99,8 69,8 48,4
PT 848 2.676 47 99,9 82,0 67,8
RO 410 2.463 13 99,5 60,8 48,4
SE 523 1.667 83 99,8 63,2 55,6
UK 1.535 9.636 501 99,6 54,0 51,0
Fonte: Eurostat

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* Secondo i regolamenti della Comunità Europea, le PMI comprendono le imprese che hanno meno di 250 addetti e hanno un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro. All’interno di questa categoria si possono distinguere le piccole imprese (meno di 50 addetti e un fatturato annuo oppure un totale di bilancio non superiore a 10 milioni di euro) e le microimprese (meno di 10 addetti e un fatturato annuo oppure un totale di bilancio  non superiore a 2 milioni di euro).

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