Liberare l'economia: meno tasse più crescita

Liberare l'economia: meno tasse più crescita

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19 luglio 2012

Cari Amici,
viviamo una stagione straordinariamente difficile.

Come abbiamo sottolineato in occasione della nostra Assemblea pubblica del 21 giugno, servono, allora, i fatti che consentano di dire che, finalmente, sulle ragioni della crescita, l’Europa e l’Italia “ci mettono la faccia”.

Perché di crescita vi è necessità – in Europa e, ancora di più, in Italia – per la sostenibilità ed il consolidamento degli obiettivi di risanamento delle finanze pubbliche e per la stessa credibilità nei confronti dei mercati.

Ma, intanto, pesa come un macigno – tanto sulla congiuntura, quanto sulle prospettive di medio termine – l’impatto delle manovre correttive degli andamenti della finanza pubblica, rafforzate dalla manovra “salva-Italia”.

Occorreva reagire tempestivamente ad uno scenario da “deriva greca”. Ne è conseguita la necessità impellente di ridurre l’indebitamento pubblico di oltre 81 miliardi di euro entro il 2014.

Gli effetti recessivi sono pesanti.

Stando alle valutazioni d’impatto cifrate dal Programma di Stabilità, queste manovre correttive determineranno infatti, tra il 2012 ed il 2014, una riduzione cumulata del prodotto interno del 2,6%.

Nel 2012, secondo le stime del nostro Ufficio Studi, il PIL procapite torna ai livelli del 1999. I consumi procapite tornano ai livelli del 1998: un balzo all’indietro di quasi 15 anni!

E’ questa, purtroppo, la fotografia di un’Italia più povera, decisamente più povera.

In cui si fa ancora più profondo il divario tra Nord e Sud. In cui fioccano chiusure di imprese e fallimenti. In cui cresce soltanto la disoccupazione.

Ci sono – è vero - anche le tante imprese che resistono ed imprese che, ancora, riescono ad investire e ad innovare.

E c’è – anche questo è vero - la persistente vitalità delle nostre esportazioni.

Ma, nel nostro Paese, è la domanda interna che, per via di investimenti e consumi, costruisce l’80% del prodotto. Ed è la debolezza della nostra domanda interna che spiega, in gran parte, il divario di crescita tra l’Italia e la “locomotiva” esportatrice tedesca.

Dunque, se non si rimette in moto la domanda interna, l’Italia produttiva non riparte e i “conti” non tornano: neppure sul versante della finanza pubblica.

E’ un punto che vogliamo sottolineare all’attenzione del nostro Governo e del nostro Parlamento.

Per proporre, senza “bacchetta magica”, una terapia d’urto per il contrasto della recessione ed il ritorno alla crescita.

E’ una terapia che muove dal riconoscimento di un dato di fatto: abbiamo raggiunto un livello di pressione fiscale che, per chi le tasse le paga, si attesta attorno al 55%.

E’ un livello che zavorra drasticamente investimenti e consumi.

Tanto più se poi – come emerge dalla lettura del Documento di Economia e Finanza – simili livelli record dovessero sostanzialmente mantenersi fino ad almeno il 2015.

Inutile girarci intorno: non possiamo permettercelo, pena lo schianto dell’Italia produttiva.

Così come non possiamo permetterci né l’avventurismo di riduzioni di pressione fiscale in deficit o comunque senza solide coperture strutturali, né la disobbedienza fiscale.

Dunque, non ci sono sconti, non ci sono scorciatoie.

E resta invece confermato che - senza contraddire gli obiettivi di azzeramento del deficit e di riduzione del debito – meno e migliore spesa pubblica, da una parte, e meno evasione ed elusione, dall’altra, sono quanto va realizzato per ridurre, a vantaggio dei contribuenti in regola, le aliquote legali di prelievo fiscale, liberando così l’economia e sostenendo la crescita.

L’itinerario deve essere chiaro e la decisione politica deve essere fortissima.

Ed è una decisione che deve essere assunta ora, proprio ora: per rafforzare la fiducia delle imprese e dei lavoratori, dei cittadini e delle famiglie in un futuro diverso e migliore; per dare concretamente il senso di scelte di rigore che non contraddicono, ma, al contrario, alimentano crescita ed equità.

Deve essere – passatemi l’espressione – un “impegno costituente”, parimenti impegnativo, cioè, del vincolo costituzionale al pareggio di bilancio.

Per questo, auspichiamo che, nel corso della discussione parlamentare del disegno di legge delega “per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”, venga recuperata l’ipotesi dell’istituzione del cosiddetto “fondo” per il taglio delle tasse, alimentato da almeno una quota parte dei risultati della lotta all’evasione ed all’elusione.

Quello dell’istituzione del fondo è, peraltro, un punto strettamente connesso alle scelte ed alle procedure di stima e monitoraggio ufficiali dell’evasione fiscale, di cui all’articolo 3 della stessa delega.

E, ancora, resta davvero necessaria tanta semplificazione di un “barocco” sistema fiscale, che richiede alle imprese di sopportare, per far fronte agli adempimenti, costi amministrativi diretti per circa 2,7 miliardi di euro l’anno.

Mentre certezza e trasparenza del rapporto con i contribuenti richiedono, anche e soprattutto, che si punti ad un processo di costituzionalizzazione dello Statuto del contribuente.

Vi è, poi, il nodo di un chiaro e vincolante riordino della fiscalità territoriale: era un tema urgente da tempo, anche per le molte incertezze del processo di costruzione del federalismo fiscale.

E’ un tema divenuto urgentissimo nel tempo dell’emergenza finanziaria, segnato dal ricorso a maggiori addizionali, da progetti di universalizzazione della tassa di soggiorno e di proliferazione della tassa di scopo.

Fino al debutto dell’IMU: anche e soprattutto per gli immobili strumentali all’esercizio dell’attività d’impresa, è una “mazzata”.

Entità, struttura e destinazione dell’Imu vanno, dunque, profondamente e tempestivamente riviste.

Alleggerire l’imposizione significa anche procedere con determinazione sul terreno della spending review.

Il rapporto predisposto dal Ministro Giarda ha considerato rivedibili, nel medio periodo, circa 295 miliardi di euro di spesa annua e, nel breve periodo, circa 80 miliardi.

Noi siamo soliti dirla così: serve, con urgenza, una vera e propria “chirurgia ricostruttiva” della spesa pubblica. Chirurgia capace di incidere in profondità e con precisione: recidendo inefficienze, improduttività e sprechi.

A partire dalla “tassa immorale ed occulta” della corruzione, che – sono stime della Corte dei Conti – brucia, nel nostro Paese, risorse nell’ordine dei 60 miliardi di euro l’anno.

Chirurgia ricostruttiva, capace di far fruttare buona spesa pubblica per investimenti e per servizi di qualità.

Giusta, dunque, la direzione di marcia del recentissimo decreto in materia di spending review.

Le economie di spesa che ne derivano consentono, in particolare, di rinviare al luglio del 2013 eventuali, ulteriori aumenti delle aliquote IVA.

Ma, da qui ad allora, va fatto di tutto per derubricare definitivamente l’ipotesi, agendo, come è ora previsto, sia sul fronte del riordino della spesa sociale, sia sul versante dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale.

Per questo, occorre procedere, a decorrere dal 2013, ad ulteriori riduzioni di spesa per circa 6,5 miliardi di euro.

Farlo è necessario: perché gli aumenti IVA rischiano, tra il 2011 ed il 2014, di tradursi in minori consumi reali per circa 38 miliardi di euro.

Altro che salvezza: insieme al “carico da 90” delle maggiori accise e dell’impennata della fiscalità energetica, sarebbe la “Caporetto” delle famiglie, delle imprese, del lavoro!

Bisogna, dunque, procedere ad una spending review senza timidezze.

Ma, soprattutto, la nostra richiesta è che la spending review si sviluppi come progetto strategico di sobria ridefinizione del perimetro della funzione pubblica.

In generale, dimagrisca lo Stato e dimagrisca la pubblica amministrazione, in cui devono, invece, avanzare innovazione, riconoscimento della responsabilità e premio del merito. Ne guadagneranno l’efficienza e la produttività di tutto il Paese.

Famiglie e imprese sono a “dieta” ormai da tempo: è una “dieta” rigidissima.

Chiedere che non vi siano trattamenti di favore e che, dunque, questo regime di rigore si applichi anche al “pubblico” è davvero un fatto di equità e giustizia!

Lo Stato onori i suoi debiti nei confronti delle imprese, paghi tempestivamente e garantisca, comunque, la possibilità di compensare i crediti vantati nei suoi confronti con i debiti fiscali e previdenziali.

Stime accreditate indicano nell’ordine di circa 70 miliardi di euro il montante complessivo dei crediti delle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni. E i rimborsi IVA continuano a tardare.

Benvenuto l’accordo con le banche per lo sconto dei crediti delle imprese. E benvenuti – ed era ora - i decreti per la garanzia e la certificazione di questi crediti e per la loro compensazione con i debiti fiscali e previdenziali iscritti a ruolo.

A regime, i tempi di pagamento previsti dalla Direttiva europea andranno comunque assicurati e lo stock di debiti accumulati dalle amministrazioni pubbliche andrà rapidamente smaltito.

Il compiuto e tempestivo recepimento della Direttiva europea è la via maestra anche per l’accelerazione dei tempi di pagamento tra privati.

Vi è una consueta obiezione: pagare rapidamente i debiti delle pubbliche amministrazioni significherebbe venire meno agli impegni di finanza pubblica assunti in sede europea.

Se ne discuta, allora, in Europa. E si faccia presto, prestissimo.

Perché l’asfissia delle imprese per mancanza di liquidità è, troppo spesso, causata non solo dalla restrizione creditizia, ma anche da uno Stato che non onora i suoi impegni e che rende salatissimo il conto delle tasse da pagare.

E’ necessario, soprattutto, rilanciare con forza il capitolo delle privatizzazioni e delle cessioni di quote importanti di un patrimonio immobiliare pubblico stimato nell’ordine di oltre 400 miliardi di euro.

Non è facile e le condizioni dei mercati non aiutano.

Ma, dopo aver chiesto al portafoglio di cittadini e imprese, è ora di mettere mano al portafoglio del patrimonio dello Stato: ai suoi “gioielli” e ai suoi “mattoni”!

Perché, sull’altro piatto della bilancia, sta la prospettiva di un impoverimento di lungo termine del Paese.

Tanto le ragioni del rigore, quanto le ragioni della crescita e dell’equità richiedono un impegno determinato per battere in breccia le patologie dell’evasione e dell’elusione fiscale.

E’ infatti evidente che chi evade e chi elude mina le fondamenta del patto di cittadinanza ed opera a danno della crescita e dello sviluppo del nostro Paese.

Le stime, ad oggi disponibili, delle imposte evase recano cifre da far rabbrividire: 120/150 miliardi di euro l’anno!

Sono cifre che, già per le loro dimensioni e alla luce del semplice buon senso, confermano che si tratta di una patologia che taglia trasversalmente tutta l’economia e la società italiane.

Per combatterla, si sono rafforzati l’accertamento, l’anagrafe dei rapporti finanziari, la tracciabilità dei pagamenti, la selettività degli studi di settore.

E’ stato varato lo spesometro e si attende, ora, il debutto operativo del redditometro.

Tutto utile, certo.

Ma l’agibilità effettiva del contraddittorio con l’amministrazione finanziaria va sempre garantita.

Mentre il maggiore ricorso agli strumenti di moneta elettronica attende ancora di essere concretamente incentivato e compensato dalla riduzione delle commissioni decisamente troppo elevate che gravano sugli esercenti.

Si sono rafforzati i controlli sul campo. Utili anche questi, se ben mirati e depurati da eccessi mediatici.

Eccessi nutriti da letture affrettate della percentuale delle infrazioni contestate, che, erroneamente, si fa campione rappresentativo dei comportamenti di un intero universo di imprese.

E’ un punto delicatissimo.

Perché siamo netti e giudichiamo che chi opera scorrettamente – non battendo lo scontrino, non rilasciando fattura, non applicando il contratto di lavoro, operando abusivamente o vendendo merce contraffatta – lo fa anzitutto a danno dei tantissimi che, ogni giorno, il proprio dovere lo fanno.

Ma, con altrettanta nettezza, respingiamo la suggestione strisciante dei commercianti, dei lavoratori autonomi, dei piccoli imprenditori tutti evasori e soltanto loro evasori.

E’, infatti, una suggestione falsa ed ingiusta.

L’evasione è il risultato, in via esclusiva o prevalente, degli scontrini non battuti?

Non rivendichiamo prerogative esclusive di virtù e non accettiamo l’esclusività dello stigma del vizio: respingiamo, dunque, tanto la logica del “bollino blu”, quanto la logica delle “liste nere”.

Il buon senso ha, per fortuna, stavolta prevalso e, almeno per il momento, si tratta di ipotesi archiviate.

Ma – vedete – non ci stiamo soprattutto perché sarebbe davvero ora di accantonare, nel nostro Paese, la logica dello “sparare nel mucchio”.

Non hanno fatto bene, infatti, né il luogo comune dei commercianti, dei lavoratori autonomi, dei piccoli imprenditori tutti evasori, né il luogo comune dei dipendenti pubblici tutti fannulloni; né quello della politica e dei politici tutti corrotti, né quello delle istituzioni sempre lontane o assenti.

Più che mai oggi, abbiamo bisogno, invece, di coesione e di unità per dare all’Italia un futuro diverso e migliore. Abbiamo, cioè, bisogno, sul terreno fiscale, di un patto tra tutti i contribuenti in regola, quale che sia il loro ambito di attività, e tra questi contribuenti, le istituzioni, l’amministrazione finanziaria.

Per combattere giustamente ed efficacemente la patologia dell’evasione, occorre anche che si sappia distinguere tra chi programmaticamente evade e chi, soprattutto in una fase di crisi bruciante come l’attuale, le tasse, pur dichiarandole, non ce la fa proprio a pagarle.

E, purtroppo, tanti, oggi, non ce la fanno proprio più.

Condanniamo con fermezza, allora, minacce e violenze nei confronti di chi è incaricato di riscuotere le imposte secondo le norme vigenti.

Ma è poi responsabilità del Governo e del Parlamento intervenire senza indugio per temperare il sovraccarico di aggio, sanzioni ed interessi, che, sommandosi alle imposte, innesca spesso una spirale distruttiva, talora drammaticamente distruttiva, e senza soluzioni.

Oggi, con l’analisi presentata dal nostro Ufficio Studi, abbiamo voluto dare un contributo alla costruzione di quel fisco “sempre più efficace e sempre meno intrusivo”, di cui ha detto il Presidente Monti.

Così abbiamo provato a cifrare quanta evasione si potrebbe recuperare attraverso:

  • il miglioramento dei servizi pubblici
  • la semplificazione del sistema fiscale
  • il miglioramento della giustizia
  • la riduzione delle aliquote legali.

E’ un contributo che forniamo nel convincimento che la costruzione di un fisco “più equo, trasparente e orientato alla crescita” – per tornare al titolo generale della delega – resti una questione urgentissima, cui occorre dare tempestiva soluzione.

Per contrastare la recessione e per tornare ad imboccare il cammino della crescita.

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