Meno fisco per le famiglie, più credito per le imprese

Meno fisco per le famiglie, più credito per le imprese

Conferenza stampa 10a edizione del Forum Confcommercio - Ambrosetti Villa d'Este - Cernobbio (Como), 13 - 15 marzo 2009

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16 marzo 2009

Benvenuti e grazie per avere accolto in così tanti il nostro invito a seguire i lavori di questa decima edizione del Forum Confcommercio-Ambrosetti di Cernobbio.

Provo, anzitutto, a sintetizzare il senso politico delle analisi che vi sono state illustrate da Mariano Bella, Direttore del nostro Ufficio Studi.

E lo faccio partendo dal titolo della presentazione: note per evitare la depressione, con l’aggettivo “economica” posto tra parentesi.

Quasi a segnalare la profonda connessione che c’è fra il dato economico della recessione ed il crescente indebolimento del clima di fiducia.

Indebolimento al quale bisogna reagire con tempestività e con coraggio per evitare che si tramuti in depressione: psicologica ed economica.

La fiducia, dunque. Gli indicatori, da questo punto di vista, sono chiari: è precipitata la fiducia delle imprese; regge la fiducia delle famiglie, sorretta dalla contrazione dei prezzi, delle spese obbligate per effetto della riduzione dei prezzi energetici, dei tassi d’interesse.

Più correttamente, e realisticamente, devo dire, però, che questa fiducia regge ancora. E regge, perché non si è ancora registrato tutto l’impatto della prevista crescita della disoccupazione.

Insomma, il pessimismo certo non aiuta. Ma è giusto essere realisti.

Ed un’analisi realistica della situazione dice che, rispetto alla crisi finanziaria globale, è certamente vero che il nostro Paese ha potuto far conto su un sistema bancario tradizionalmente più prudente.

Ma gli altri elementi di forza del sistema-Italia – il capitale fiduciario delle famiglie, con il loro consolidato orientamento al risparmio, e la flessibilità delle piccole e medie imprese – rischiano rapidamente di deperire: il primo, per effetto della crescita della disoccupazione; la seconda, per effetto della stretta creditizia.

Quale è, dunque, il rischio ed il rischio grave?

Che – per effetto di ritardi strutturali di lungo periodo e per l’impatto della recessione sull’economia reale – l’Italia si ritrovi nel 2010, in termini di PIL e di consumi pro-capite, allo stesso livello del 2000.

Un dato statistico medio che risulta ancora più preoccupante alla luce della riapertura di un profondo divario di crescita tra il Centro-Nord ed il Mezzogiorno, e che rischia di farci arrivare all’appuntamento delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, nel 2011, in condizioni di sostanziale frattura economica e sociale tra queste due aree del Paese.

Fin qui e per sommi capi, l’analisi. Ma è tempo, soprattutto, di proposte: tempestive, urgenti, coraggiose.

Perché – per utilizzare un concretissimo contatore della crisi che, in termini di economia reale, la dice forse ancora meglio delle statistiche sulla dinamica del PIL – già nel 2008, lo stock di imprese commerciali si è ridotto di quasi 40.000 unità.

E l’essenza della nostra proposta è, allora, questa: un “patto” tra Governo, istituzioni, forze sociali per dare più fiducia al Paese, alle famiglie, alle imprese.

Dirò anzitutto cosa non vuole essere la nostra proposta di patto. Non vuole essere l’occasione per scassare i conti pubblici, perché nessuno dubita del fatto che il debito non si cura con altro debito.

Al contrario, l’obiettivo della proposta – tutti i contenuti del patto – mirano, invece, a far sì che il PIL del nostro Paese cresca, nel prossimo biennio, sensibilmente di più di quanto, ad oggi, è realistico attendersi. Sostenendo, in questo modo, sia la tenuta dei conti pubblici, sia la tenuta dell’occupazione.

Come proponiamo, allora, di perseguire questi grandi obiettivi?

Con un supplemento di responsabilità condivisa da parte di tutti, innanzitutto.

In Europa, con una maggiore consapevolezza politica della portata della crisi. E, dunque, non esitando tanto a procedere ad ulteriori riduzioni del costo del denaro, quanto ad un’esplicita rilettura ed attualizzazione del Patto di stabilità e di crescita.

Così, ad esempio, se davvero siamo tutti convinti del fatto che la spesa per le infrastrutture sia tanto un eccellente investimento per il futuro, quanto – agendo sulle infrastrutture immediatamente cantierabili – un’ efficace scelta antirecessiva, perché non escludere questo tipo di spesa dal computo del deficit rilevante ai fini del Patto?

Ancora: per l’Italia, non sarebbe il momento di riaprire in Europa la discussione per ottenere aliquote IVA più competitive per il settore del turismo e per “sdoganare” una robusta fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno?

A noi sembra di sì; sembra proprio di sì.

Insomma, è tempo che l’Europa, proprio nell’anno della “grande crisi”, misuri realisticamente la distanza che ancora la separa dall’obiettivo ambizioso fissato, a Lisbona, nel 2000 e che avrebbe dovuto essere colto entro il 2010: fare dell’economia europea “l’economia più competitiva e dinamica al mondo basata sulle conoscenze, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e più qualificati posti di lavoro e con una maggiore coesione sociale”.

Provo a dirlo così: l’Europa ha una politica monetaria, ma non ha, ancora, una politica economica. Lo ricordiamo – non casualmente – nel 2009, che è anche l’anno del rinnovo del Parlamento europeo.

Un supplemento di responsabilità condivisa anche nel nostro Paese. Tra le istituzioni ed i diversi livelli di governo; tra maggioranza ed opposizione; tra le forze sociali.

Perché, proprio nel tempo della crisi, occorre tenacemente portare avanti tutto il cantiere delle riforme strutturali necessarie per risolvere i nodi dell’agenda italiana della competitività difficile e della produttività stagnante o declinante. Affermando, sempre e comunque, merito e responsabilità.

Si tratti della riforma della contrattazione, del miglioramento della funzione pubblica o della scuola e dell’università, così come della tutela della legalità e della sicurezza.

Ma, soprattutto, nel nostro Paese, la madre di tutte le riforme resta quella della struttura della spesa pubblica.

Innalzarne la produttività è, in tempi di crisi, più che mai essenziale, anche in vista di un federalismo fiscale responsabile e procompetitivo.

Una migliore e minore spesa pubblica restano, del resto, le condizioni essenziali per una realistica riduzione di pressione fiscale, che avanzi in parallelo al contrasto ed al recupero di evasione ed elusione.

Pagare tutti per pagare meno, ma anche pagare meno per far pagare tutti: proprio qui, in occasione dell’edizione del nostro Forum dello scorso anno, questa sintesi era stata fatta propria, alla vigilia delle elezioni politiche, dagli esponenti di tutti i principali schieramenti politici.

Noi chiediamo che questo riconoscimento resti fermo anche nel tempo della crisi, perché è condizione per il superamento della crisi.

Si tratti tanto di procedere ad una giusta revisione dei parametri degli studi di settore - chiamati a tener conto di un difficile 2008 e di un ancor più difficile 2009 – quanto della ricerca di ogni spazio di manovra utile per ridurre la pressione fiscale complessiva: a carico dei cittadini, così come delle imprese.

E se questo non è possibile oggi, si lavori per renderlo possibile domani. Ma la prospettiva sia chiara.

Perché è la chiarezza delle prospettive il propellente fondamentale della fiducia: delle imprese e delle famiglie. E la fiducia si nutre di chiarezza; non di tabù. Neppure del tabù delle pensioni di anzianità.

Chi, come noi, non ha siglato, nella precedente legislatura, il protocollo d’intesa sul welfare, ha, anche oggi, il diritto ed il dovere di ricordarlo.

Di ricordare, cioè, che continuiamo a spendere troppo per troppe pensioni precoci e magre. E che, in questo modo, è davvero difficile rintracciare le risorse per riforme organiche degli ammortizzatori sociali.

Sistematizzando, così, quanto pur positivamente si sta realizzando in questa fase, in particolare sulla scorta dell’intesa intervenuta tra Stato e Regioni per assicurare agli ammortizzatori una dotazione di circa 8 miliardi di euro.

C’è poi la questione del credito. Sono soprattutto le PMI a sperimentare, ormai quotidianamente, condizioni di accesso al credito più difficili e più onerose. Si tratta di una vera e propria emergenza.

Per questo, abbiamo guardato positivamente alla costituzione – presso il Ministero dell’Economia – di un tavolo di lavoro dedicato, continuo e strutturato, su “imprese, lavoro e banche”.

Per contrastare la stretta creditizia, sarà importante l’attuazione delle misure individuate per il rafforzamento patrimoniale delle banche, e la vigilanza – anche per il tramite degli Osservatori sul credito – sugli impegni delle banche a favore delle famiglie e delle PMI.

Ma occorre anche rafforzare – rafforzare fortemente – il ruolo degli strumenti di garanzia: sia dei consorzi fidi, sia del fondo centrale di garanzia. Con più risorse e con l’attivazione della garanzia di ultima istanza dello Stato.

Garanzie più robuste sono infatti essenziali sia per promuovere processi di ristrutturazione del debito, evitando la “tagliola” dei rientri a breve, sia per sostenere gli investimenti.

Insieme, vanno sbloccati i ritardi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni nei confronti dei loro fornitori. Crediti che, nel complesso, valgono qualcosa come 2,5 punti di PIL.

Pensiamo che, per l’insieme di queste finalità, un ruolo importante possa e debba essere particolarmente svolto dal nuovo Fondo per l’economia reale e per le PMI, istituito presso la Presidenza del Consiglio e dotato di 9 miliardi di euro.

Fin d’ora, proponiamo al Presidente del Consiglio di destinare una quota significativa di queste risorse ai processi di ristrutturazione e modernizzazione di quell’economia dei servizi di mercato, che ha fin qui recato un contributo alla formazione del PIL e dell’occupazione ben superiore al 40%.

Sostenere l’innovazione dei servizi ne consentirebbe, infatti, importanti miglioramenti di produttività e, in questo modo, un ancora più importante loro concorso al superamento della crisi e al ritorno alla crescita.

Un’Italia che voglia tornare a crescere – di più e meglio – deve anche affrontare la questione del rafforzamento della sua dotazione di stock infrastrutturale. Le risorse fin qui individuate vanno spese, pertanto, presto e bene.

Privilegiando, intanto, le infrastrutture locali già cantierate o immediatamente cantierabili, con una spesa tempestivamente attivabile, che può svolgere un importante ruolo antirecessivo.

Per le stesse ragioni, condividiamo l’impulso alle opere edilizie. Vedremo quale sarà la proposta finale, ma certo occorre individuare il necessario punto d’equilibrio tra le semplificazioni procedurali, le esigenze di tutela dell’ambiente e di coerenza degli strumenti urbanistici, e, in particolare, degli strumenti di programmazione commerciale.

Insomma, rispetto allo scenario difficile ed inquieto della globalizzazione, sono le Pmi la più grande risorsa del Paese sulla quale far leva, proprio nell’anno della “grande crisi”, per contrastare la recessione e per tornare a crescere.

E’ questo il senso anche del nostro road-show di presentazione del Manifesto delle Pmi italiane. Un’occasione per aprire nel Paese, attraverso una serie di tappe territoriali di approfondimento, una discussione ampia e partecipata sulla “risorsa Pmi”.

Sulla scorta dello Small Business Act europeo, atto di indirizzo comunitario per le politiche dedicate a queste imprese, abbiamo infatti pensato che questa discussione fosse particolarmente necessaria ed urgente in Italia, patria per eccellenza delle Pmi.

Le Pmi, del resto, costituiscono il 95% della struttura produttiva del Paese; contribuiscono alla formazione del valore aggiunto per oltre il 70% ed all’occupazione per oltre l’80%.

Queste imprese non chiedono politiche da “riserva indiana”. Chiedono, invece, di essere messe in condizioni di competere e di crescere.

Queste imprese ed i loro lavoratori sono l’Italia produttiva che, di fronte alla crisi, non pensa certo di tirare i remi in barca.

Anzi, è l’Italia produttiva che vorrebbe davvero far della crisi un’occasione.

L’occasione per costruire un Paese più ambizioso e più giusto.

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