Nota su economia e occupazione nel Sud

Nota su economia e occupazione nel Sud

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8 aprile 2021

I divari territoriali nelle performance economiche e nella qualità della vita non costituirebbero di per sé un problema centrale di politica economica se fossero meramente accidentali e transitori e, soprattutto, se non conseguissero a una cattiva allocazione delle risorse. Con quest’ultimo concetto, e con riferimento al Sud[1] del nostro Paese, si intende stigmatizzare il sottoutilizzo delle ingenti risorse produttive, culturali, turistiche e imprenditoriali residenti nel Mezzogiorno.

Fig. 1 - PIL: peso percentuale del Sud rispetto al totale Italia

Grafico su peso percentuale PIL del Sud rispetto al totale Italia

Elaborazioni USC su dati Istat.


Così posta, la questione assume nitidezza e rilievo. Va affrontata e risolta.

La figura 1 evidenza il progressivo calo di peso del prodotto lordo del Sud: in poco più di venti anni da oltre il 24% al 22%. Le ragioni sono molteplici, ma le principali sono due: la decrescente produttività totale dei fattori, conseguenza dei gap di contesto che affliggono le economie delle regioni meridionali, e la riduzione degli occupati, conseguenza della riduzione della popolazione residente.

Sul tema della produttività vale la pena di limitarsi alle diverse e recenti evidenze empiriche che identificano nella burocrazia, nella micro-illegalità diffusa, nell’accessibilità insufficiente e nella comparativamente minore qualità del capitale umano, le spiegazioni di un fenomeno strutturale che comprime il prodotto pro capite in modo permanente. Se nel Sud questi difetti fossero ridotti in modo tale da portarne le dotazioni ai livelli osservati nelle migliori regioni italiane, il prodotto lordo meridionale crescerebbe di oltre il 20% (+90 miliardi complessivi ai prezzi del 2018) alla fine dell’aggiustamento di lungo periodo, rispetto a uno scenario senza interventi[2].

Tab. 1 - PIL pro capite per abitante
migliaia di euro a prezzi costanti del 2015

    1995 2007 2019
Nord-ovest 32,6 37,1 35,9
Nord-est 31,1 35,7 34,4
Centro 29,5 34,7

31,3

Sud 17,8 20,5 18,8
Italia 26,4 30,6 28,9
Sud/Nord-ovest 0,55 0,55 0,52
Elaborazioni USC su dati Istat.


Dalla tabella 1 emerge un acuirsi dei divari, almeno a partire dalla crisi del 2008: il rapporto tra prodotto pro capite reale di un abitante del Sud rispetto a quello di un abitante del Nord-ovest scende da 0,55 (55%) a 0,52. Non si può invocare, a parziale correzione di queste evidenze, un differente livello dei prezzi tra regioni. A queste differenze si contrapporrebbero, con effetto dominante, le difficoltà di accesso e fruizione di molti servizi pubblici di base.

In generale, la tendenza delle politiche per il riequilibrio territoriale dovrebbe, a nostro avviso, passare da un piano di riduzione dei difetti strutturali del Mezzogiorno: controllo del territorio e contrasto alla micro-illegalità, digitalizzazione e innovazione nel rapporto burocratico tra cittadini e controparte istituzionale, investimento nell’istruzione di ogni ordine e grado, con ampio intervento su formazione e trasformazione continua delle abilità e delle competenze e, soprattutto, riduzione dei gap infrastrutturali di accessibilità – dai trasporti alla banda larga – che non permettono un’adeguata connessione socio-produttiva del Sud al resto del Paese e dell’Europa.

La riduzione di questi deficit aumenterebbe il livello e la dinamica del prodotto potenziale del Meridione, sviluppandone ricchezza e opportunità di investimento, anche proveniente dall’estero.

La questione dell’occupazione, collegata alla popolazione residente, è altrettanto importante della produttività. Non deve sfuggire, in ogni caso, che il tema della produttività, quello delle condizioni economiche e sociali di vita e, infine, quello della scelta di risiedere o piuttosto di emigrare, sono strettamente collegati.

La tabella 2 evidenzia la dimensione quantitativa del problema della perdita di popolazione, soprattutto giovane, che sottende quello dell’occupazione.

Tab. 2 - Popolazione residente totale e di età inferiore a 19 anni per macro-ripartizioni geografiche

    quote% della popolazione residente per macro-ripartizioni residenti con meno di 19 anni su popolazione totale della macroripartizione e dell'Italia in %
  1995 2007 2019 1995 2007 2019
Nord-ovest 26,2 26,4 26,7 16,5 16,7 16,6
Nord-est 18,3 19,1 19,4 16,5 17,0 16,8
Centro 19,2 19,4

19,8

17,5 16,8 16,4
Sud 36,4 35,2 33,9 24,5 20,4 17,5
Italia 100,0 100,0 100,0 19,6 18,1 19,6
popolazione Italia (milioni) totale e fino a 18 anni 56,84 58,76 89,82 11,14 10,62 10,08
Elaborazioni USC su dati Istat.

 

Si ha immediata conferma della riduzione del peso del Sud in termini di popolazione (dal 36,4% al 33,9%). Ben più grave è la questione della popolazione giovane. L’Italia nel complesso perde oltre un milione di giovani nel periodo considerato: da poco più di 11 milioni a poco più di 10 milioni (panel a destra della tabella 2). Tutta questa perdita è dovuta ai giovani meridionali. Mentre nelle altre ripartizioni il livello assoluto e anche la quota di giovani rispetto alla popolazione di qualsiasi età restano più o meno costanti, nel Mezzogiorno si registra un crollo. Rispetto al 1995, mancano nel Sud oltre 1,5 milioni di giovani. In queste condizioni ed estrapolando questi trend, anche l’eventuale e improbabile rapida risoluzione del problema della produttività potrebbe risultare insufficiente a migliorare il processo di costruzione di benessere economico e sociale del nostro Mezzogiorno.

La prima fonte della crescita ha radici nella dinamica della demografica. Le condizioni e le prospettive di vita e di lavoro del nostro Sud disincentivano le scelte delle donne in termini di partecipazione al mercato del lavoro, ne riducono le scelte di maternità, incoraggiano sistematicamente l’emigrazione dei giovani meridionali verso altre regioni. La popolazione italiana complessiva è in riduzione dal 2013 e si stima un ulteriore calo nel 2020. Queste dinamiche, come si intuisce, sono completamente ed esclusivamente determinate dalla demografica del Mezzogiorno. Le prospettive non sono certo di miglioramento.

Sul piano dei flussi interni, mentre fino agli anni novanta l’emigrazione da Sud a Nord allargava la base produttiva delle regioni italiane più ricche e produttive, oggi dal Nord stesso si emigra verso altri Paesi. L’investimento in istruzione, piccolo o grande che sia, sui giovani italiani contribuisce prospettivamente a incrementare il PIL di altre nazioni.

L’impatto negativo dei summenzionati fattori è evidente nella configurazione dei principali elementi del mercato del lavoro. Al di là del più elevato tasso di disoccupazione del Mezzogiorno e dei più bassi tassi di partecipazione, soprattutto femminile, al mercato del lavoro, emerge (tab. 3) tutta la fragilità dell’economia delle regioni del Sud semplicemente dalla lettura delle variazione degli occupati totali: a fronte di una crescita del 16,4% delle unità standard di lavoro per l’Italia, nei quasi cinque lustri considerati l’occupazione del Sud cresce di poco più di quattro punti.

Tab. 3 - Occupati totali e occupati dipendenti (unità standard di lavoro, ULA) per macro-ripartizioni geografiche (000 e var. %)

    1995 2019 var. % 1995-2019
  tot di cui dip. tot di cui dip. occ. totale occ. dipendenti
Nord-ovest 6.374 4.766 7.539 5.859 18,3 22,9
Nord-est 4.515 3.294 5.643 4.345 25,0 31,9
Centro 4.448 3.273

5.480

4.189 23,2 28,0
Sud 6.567 4.534 6.835 5.085 4,1 12,2
Italia 21.910 15.872 25.503 19.483 16,4 22,8
Elaborazioni USC su dati Istat.

 

È inesorabilmente stretta la correlazione con le dinamiche demografiche, il che ha delle implicazioni molto rilevanti in termini di politiche. Incentivi all’occupazione meridionale, decontribuzioni e regimi di favore avranno progressivamente minore efficacia a fronte di un bacino di occupati potenziali che si restringe per cause più profonde di demografia e di contesto sociale e produttivo.

Tali tendenze si innestano in un quadro problematico di riduzione del tasso di auto-imprenditorialità, che durante gli anni ottanta e fino alla metà dei novanta ha sostenuto, sebbene talvolta in modo disordinato, il tessuto produttivo italiano, in generale, e del Mezzogiorno, in particolare.

Tutto quanto fin qui detto è causa e conseguenza al contempo del declino del Sud, nonostante la presenza di forze vitali che chiedono solo condizioni adeguate di attivazione.

Le radici del declino hanno natura strutturale e origini lontane nel tempo. Prima della crisi economico-finanziaria della seconda parte degli anni duemila il Sud cresceva a scartamento ridotto rispetto al resto del Paese (tab. 4), palesando, secondo la metrica della variazione del PIL reale uno scarto di tre decimi di punto annui rispetto alla media Italia nel periodo 1996-2007. Questo scarto raddoppia, a sfavore del Sud, durante e dopo la crisi, passando a sei decimi di punto.

È abbastanza evidente che, in prospettiva futura, i maggiori timori per il dopo-pandemia si addensano sul pericolo di tornare a crescere agli insufficienti tassi del passato recente e, ormai, anche meno recente.

Tab. 4 - PIL reale: variazioni % medie annue di periodo

    1996-2007 2008-2019
Nord-ovest 1,4 0,0
Nord-est 1,8 0,0
Centro 1,7 -0,5
Sud 1,2 -0,9
Italia 1,5 -0,3
Elaborazioni USC su dati Istat.

 

Per scongiurare questo pericolo si invocano maggiori risorse, anche di derivazione europea. Che sia la strada giusta, o la più giusta, qui non rileva. Conviene riconoscere che il dibattito pubblico sul Mezzogiorno d’Italia, anche nel contesto di Next Generation EU, l’attenzione è tutta rivolta a un auspicato processo di riforma che replica le linee qui sommariamente identificate.

Tab. 5 - Incidenza della spesa degli stranieri (turismi attivi) sui consumi interni per macro-ripartizioni e nelle regioni del Sud

Nord-ovest 3,6
Nord-est 5,0
Centro 5,6
Sud 2,3
Abruzzo 1,0
Molise 0,3
Campania 3,2
Puglia 1,2
Basilicata 0,6
Calabria 0,7
Sicilia 2,8
Sardegna 4,3
Italia 4,0
Elaborazioni USC su dati Istat e Banca d’Italia.

 

Riforme che mirano, in generale, a una migliore utilizzazione del capitale produttivo e umano, oltre che a un incremento delle dotazioni quantitative e qualitative dei medesimi. Il collegamento al turismo, sede e pilastro del vantaggio comparato meridionale è inevitabile. Questo vantaggio è, tuttavia, più nella sensibilità e nella speranza di molti italiani e della maggior parte degli esperti, piuttosto che nei dati. La tabella 5 fornisce per l’anno 2019 la quota di spesa dei turisti stranieri sui consumi interni delle regioni italiane.

È anche inutile commentare, se in valore assoluto le presenze straniere di tutto il Sud risultano inferiori a quelle del solo Lazio. Si vede bene che alcune regioni meridionali non partecipano al processo di costruzione di ricchezza attraverso il turismo. Quindi, o il presupposto teorico ed empirico del vantaggio comparato del Sud è falso – bellezze naturali, percorsi culturali, clima favorevole – oppure le risorse presenti non sono adeguatamente messe a reddito.

È importante, in ogni caso, che le scelte di politica economica siano coerenti con l’analisi della situazione cui si presta fede.

 


[1] Nella presenta nota, Sud, Meridione e Mezzogiorno sono termini equipollenti: la macro-ripartizione include le sei regioni continentali, la Sicilia e la Sardegna.

[2] Ufficio Studi Confcommercio, 2018, Rapporto sulle economie territoriali, marzo, disponibile nella sezione pubblica ufficio studi del sito www.confcommercio.it.

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