PRESENTAZIONE DI UNICOM

PRESENTAZIONE DI UNICOM

MILANO, 6 MARZO 2000 (Testo integrale)

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6 marzo 2000
DISCORSO DI SERGIO BILLE’ PER CONFERENZA STAMPA PRESENTAZIONE UNICOM

 

 

Per iniziare, una affermazione lampante: Unicom rappresenta le imprese di comunicazione e le imprese di comunicazione fanno parte dell’area dei servizi.

 

Questo è evidente. Meno evidente è, per molti, cosa altro ci sia dentro l’area dei servizi. Infatti, a distanza di sessant’anni dal riconoscimento di un settore detto “dei servizi” tra i settori economici, ancora oggi la percezione di come sia fatto questo settore, e del suo reale peso nella formazione della ricchezza nazionale, è per molti tutt’altro che chiara. 

 

Qualche cifra per definirne intanto le dimensioni.

 

Il settore dei servizi è l’unico che ha negli anni sempre aumentato il suo contributo alla formazione del pil e all’occupazione, oltre al numero di imprese sul mercato.

 

I soli servizi alle famiglie e alle imprese assorbono oggi più del 20% dell’occupazione, in costante incremento. Le imprese, che nel ’91 erano il 5,9% del totale, nel ‘98 sono diventate il 16,2%, con ritmi di crescita che non hanno avuto eguali negli altri settori.

 

Il totale dei servizi vendibili, che comprende oltre a quelli alle famiglie e alle imprese anche commercio, alberghi, trasporti e comunicazioni,  ha formato nel ’98 i due terzi del valore aggiunto nazionale, così come i due terzi delle imprese italiane sono imprese di servizi.

 

Il terziario è un settore con almeno tre forti caratteristiche: ritmi di crescita altissimi; complessità; elevata qualificazione professionale media degli occupati.

 

Non è facile rappresentarlo.

 

Rappresentare i servizi vuol dire cercare  di fare lo sforzo di capire cosa è il terziario, quali sono le esigenze specifiche del settore più innovativo dell’economia, qual è il minimo comun denominatore di tutto il settore. Vuol dire insomma avere la volontà di ragionare in modo nuovo, abbandonando la vecchie e comode logiche dei beni materiali, delle scadenze di fine mese, del posto fisso.

 

Ragionare in modo nuovo è faticoso. Talmente faticoso che pochi intendono fare questo sforzo. Le istituzioni ad esempio, Governo e Parlamento in primis, raramente lo fanno. L’area dei servizi come tale per loro praticamente non esiste. Questo per due motivi:

 

- perché la “deregulation”  si è imposta con sempre maggiore forza come modello di sviluppo, e quindi sembrerebbe in controtendenza cercare di dare dei paletti a un settore che ne è quasi completamente privo;

 

- ma soprattutto per la reale sottovalutazione di un settore percepito come eterogeneo e composto da imprese percepite come troppo piccole e precarie.

 

Così, a differenza degli altri settori economici, quello dei servizi è l’unico che non aveva fino a pochi mesi fa alcun referente istituzionale.

 

Poi presso il Ministero dell’Industria è stato istituito l’Osservatorio dei Servizi.

 

L’Osservatorio però è cieco: non ha per ora la capacità di “vedere” il settore oggetto delle sue osservazioni, perché è la prima volta in assoluto che si pone questo problema.

 

Questo è un limite che noi possiamo aiutare a superare. Noi possiamo proporre la nostra esperienza di rappresentanza del terziario, ossia il nostro patrimonio di conoscenza di quest’area, arricchito da due nuovi strumenti.

 

In questo momento sono infatti in corso due importanti analisi sul settore: la prima è Cnel – Confcommercio, ed è di tipo quantitativo. Lo scopo è capire dove sono sul territorio le imprese del terziario, quanto sono grandi, che lavoro fanno.

 

La seconda è Confcommercio – Ente bilaterale del terziario, ed è di tipo qualitativo: vogliamo che sia messo nero su bianco quali sono le caratteristiche delle imprese dei servizi, le aspettative comuni, le esigenze più impellenti.

 

Già abbiamo qualche primo risultato di questa seconda analisi.

 

Abbiamo per ora capito in modo chiaro che la principale caratteristica del terziario, usando una sola parola, è la discontinuità.

 

L’incrocio tra discontinuità e dimensione d’impresa mediamente piccola  ha due conseguenze:

 

-          il settore soffre in generale di una particolare condizione di debolezza nei rapporti con la committenza. Il terziario ha un rapporto di  dipendenza molto forte nei confronti dei propri clienti, e deve essere aiutato a attenuare questa dipendenza;

 

-          sono particolarmente faticosi anche i rapporti con le istituzioni. Consideriamo ad esempio il fatto che l’intero impianto degli adempimenti fiscali e previdenziali italiani è legato a scadenze temporali ben precise, ed ecco che emerge una grande area di problematicità per chi invece non può avere entrate e uscite certe neppure in minima parte.

 

E’ chiara insomma l’esigenza di iniziare a far passare qualche elemento di flessibilità in un sistema da sempre fondato sulla continuità.

 

Noi seguiamo questo approccio, che trasferiamo sul contratto del settore, di cui siamo i firmatari, ad ogni rinnovo.

 

Ed è chiaro che bisognerebbe che i soggetti pubblici riorientassero i loro comportamenti, tenendo ben presente di avere a che fare con un settore tuttora “fuori dagli schemi”  ma il cui peso non può essere ancora ignorato.

 

Noi siamo consapevoli di questo peso, e sappiamo anche che più che mai la new economy andrà a incidere sui servizi, evolvendoli e accentuando ancora di più il ruolo del settore all’interno del sistema economico nazionale. Per questo non solo abbiamo promosso le analisi con il Cnel e con l’Ente bilaterale, ma, di più, sta per nascere la Confederazione dei servizi, con il preciso obiettivo di diventare il soggetto unitario di rappresentanza sindacale del settore.    

 

 

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