QUALE CITTA' FUTURA?

QUALE CITTA' FUTURA?

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28 febbraio 2001
Intervento Billè

27 febbraio 2001

Focalizziamo pure non solo il problema  dell’ecosistema urbano  ma del sistema che dovrebbe fare ad esso da supporto. Che genere di sistema?  So bene che sarebbe sbagliato generalizzare troppo  e quindi mettere nello stesso paniere tutti i Comuni italiani , ma quel che l’altro giorno ha detto il ministro dei Trasporti, Bersani in un’intervista al quotidiano La Stampa  mi sembra che da solo metta a fuoco il problema che abbiamo di fronte.

Bersani ha detto che dal 1972 al 1997 sono stati costruiti nelle città italiane solo 74 chilometri di metro, intendendosi per esso un sistema di trasporto  che non ha fattori altamente inquinamenti come gli autobus, le auto private, i motorini, ecc.

74 chilometri in tutto, insomma briciole. Con l’aggiunta che non mi sembra che poi dal 1997 ad oggi  sono stati fatti, per la realizzazione di questo specifico mezzo di trasporto, sostanziali passi avanti.

Difatti la situazione delle nostre grandi e medie aree metropolitane , per quanto riguarda le condizioni ambientali, mi sembra particolarmente grave, direi pessima.

Grave , anzi pessima se paragonata anche a quello che , negli ultimi dieci-quindici anni, è stato fatto in altri paesi europei come la Spagna .

E’ gravemente insufficente la rete metro milanese, è quasi inesistente quella della capitale, ma non si sono realizzati progetti  decenti  nemmeno nelle città medie che pure oggi , per l'ingolfamento del traffico, soffrono problemi analoghi.

Ecco perché affrontare oggi questo tema è a dir poco imbarazzante: si sono risolti  o comunque si sono cominciati ad affrontare problemi  di dettaglio quali, ad esempio, la pedonalizzazione di strade e piazze dei centri storici, il restauro di palazzi , ponti, aree museali, opere senza dubbio importanti  ma che certo non bastano a risolvere i veri problemi  di chi vive in un’area metropolitana o ai suoi margini.

Su questi problemi siamo enormemente indietro.

Le cause sono fin troppo note ma vale la pena di  elencarle di nuovo. Al primo posto metterei  l’incapacità o l’impossibilità economica di molte amministrazioni comunali di provvedere ad una vera riqualificazione degli spazi industriali ed amministrativi dismessi, nuovi piani regolatori che , suggestivi a livello di progettazione, sono poi  rimasti , in gran parte, pezzi di carta. L’esempio della città di Napoli e del suo enorme hinterland mi sembra l’esempio più calzante.

Non solo è mancata o è sostanzialmente carente la riqualificazione di queste aree  ma si è fatto poco per  dotare tali aree di infrastrutture che permettessero un grado di vivibilità e di sviluppo commerciale  in grado di soddisfare quelle esigenze primarie che si chiamano  ambiente, sicurezza, sviluppo economico.

Colpa della burocrazia o di cos’altro?  Difficile distribuire le responsabilità. Il fatto certo è che è  mancata , a tutti i livelli, una vera cultura ambientale  sempre presente nei programmi ma poi gestita e realizzata  in un’ottica assai riduttiva, talmente riduttiva che spesso , invece di risolvere i problemi, li ha accentuati.

Quando in una città come Roma il 65-70% della popolazione attiva è costretta, suo malgrado, ad utilizzare ogni giorno mezzi di trasporto privato per raggiungere il posto di lavoro o per altre incombenze, la questione ambientale diventa da allarme rosso. E’ da allarme rosso.

Quando intere periferie ,dove vivono  centinaia di migliaia di persone , continuano ad essere supportate da infrastrutture  e da logistiche che risalendo agli anni sessanta appaiono del tutto inadeguate, parlare di ecosistema diventa pura ipocrisia.

E forse proprio sulla definizione di  ecosistema vale la pena di chiarirsi un po’ le idee. Allargando il discorso  perché , se no, si rischia di restare troppo in superficie e di non toccare i veri problemi  che da tempo mettono in uno stato di “sofferenza” il nostro sistema.

Per me ecosistema significa non soltanto respirare aria buona, non inquinata, non oppressa da strati di smog, ma fare in modo che il cittadino disponga di spazi e di mezzi che gli consentano un grado di vivibilità maggiore di quello attuale.

Quante città, quanti Comuni  sono oggi in grado di fornire ai propri cittadini un grado sufficiente di questa vivibilità? Direi non più del 30% e forse si tratta di una percentuale in eccesso.

Perché realizzare un  ecosistema  vero cioè non ammantato da etichette illusorie  significa affrontare e risolvere problemi che il nostro “sistema” non ha affatto risolto. Parlo di quelle decine di migliaia di piccoli Comuni che magari hanno ancora un’aria respirabile ma che, per mancanza di collegamenti logistici, restano tagliati fuori dal mondo, aree che potrebbero avere uno sbocco economico ed anche turistico notevoli e che invece rischiano di diventare rami secchi del sistema. Parlo di  quei quartieri metropolitani  dove non è stato per nulla risolto il problema del rapporto tra cittadino e utilizzo delle strutture commerciali. Parlo di quelle città, grandi e piccole, dove si vive  sotto l’incubo della rapina. Quotidiana o quasi.

E parliamo pure di quella programmazione commerciale affidata ai Comuni che dovrebbe costituire un’occasione importante per orientare l’assetto del territorio la cui funzionalità complessiva dipende sia dalla corretta localizzazione delle attività economiche sia dalle sinergie che il sistema distributivo costruisce con le altre funzioni urbane.

C’è questa programmazione? In alcune aree, per fortuna, sì, in altre, la maggior parte, direi  proprio di no. E questo perché questa programmazione per centrare l’obbiettivo  deve mettere insieme tutti i tasselli di un puzzle  che i programmatori delle amministrazioni locali non riescono ancora a comporre.

Mancanza di adeguate risorse finanziarie? Certo, ma aggiungerei anche inadeguata cultura logistica, strategie appesantite spesso da un burocraticismo  che resta, da qualsiasi parte lo si guardi, la palla al piede  del nostro sistema.

E’ essenziale stabilire nuove modalità operative che consentano  la predisposizione di strumenti urbanistici e di governo del territorio che non possano più omettere-in fase di analisi come di programmazione e di attuazione-il confronto con gli assetti e le dinamiche insediative del sistema distributivo e di quest’ultimo con le altre funzioni, sia di natura economica che di  valenza sociale.

Ci sono queste nuove modalità operative? Direi di no.

La realizzazione di un vero ecosistema, nel significato a tutto tondo da me prima indicato, richiederebbe una rivoluzione copernicana  che la maggior parte delle nostre amministrazioni per cultura, tradizione, leggi e normative esistenti non riescono oggi a realizzare.

Per l’individuazione di aree idonee ad accogliere insediamenti commerciali la prassi urbanistica comunale dovrebbe essere sempre supportata da appropriate indagini conoscitive di carattere urbanistico-territoriale , di trasporto, demografico, di reddito, ecc.

E, invece, spesso, troppo spesso, si opera in modo approssimativo, se non alla cieca.

I risultati sono sotto i nostri occhi.

Fra gli interventi proposti per migliorare la mobilità belle aree urbane è prevista l’emanazione di una nuova legge per il finanziamento di interventi infrastrutturali.Le risorse verrebbero concesse ai Comuni sulla base della presentazione di un Piano Urbani di Mobilità, PUM, finalizzato alla realizzazione di un processo di pianificazione integrato tra l’assetto del territorio e il sistema dei trasporti.

Ma tutto è ancora in fase di progetto e si sa che fine fanno spesso, nel nostro paese, i progetti.

Richiamo la vostra attenzione su un problema delicato ed essenziale : la distribuzione delle merci nei centri urbani.

Cosa è stato fatto fino ad oggi per risolverlo razionalmente? Direi poco o nulla. O davvero si pensa che questo problema possa essere risolto semplicemente inibendo, soprattutto nelle aree centrali  delle città, il rifornimento delle strutture commerciali?

Per valorizzare i problemi logistici legati alla distribuzione delle merci  Confcommercio,Fiat e Centro Studi sui Sistemi di Trasporto hanno avviato due progetti pilota , uno al nord (Pavia) ed uno al Sud (Catania)  che servano ad indicare soluzioni sulle quali aprire un aperto confronto con le amministrazioni locali.

Ma è chiaro che devono essere queste ultime ad assumere iniziative che consentano di affrontare questi problemi in una logica che sia più efficace e produttiva. E prima si muoveranno in questa direzione e meglio sarà per tutti.

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