L'impresa di fare impresa

L'impresa di fare impresa

Rapporto Censis-Confcommercio presentato durante l'Assemblea Straordinaria 2006

DateFormat

14 novembre 2006

Il percorso a ostacoli del fare impresa

La modernizzazione di un sistema produttivo richiede la compresenza di due elementi essenziali: da un lato una solida classe imprenditoriale, dall'altro un contesto ambientale in grado di sostenere, attraverso procedure e controlli fluidi, rapidi e leggeri, il ciclo di vita di una azienda, dalla fase di avvio a quella di sviluppo e consolidamento sul mercato.

Qualche esempio sulla situazione italiana (per un'analisi dettagliata si rinvia alle schede nelle pagine seguenti). Nel nostro paese sono necessari 9 adempimenti amministrativi e fiscali per costituire una nuova impresa; un'azienda deve poi espletare 17 diversi passaggi presso gli uffici della Pubblica Amministrazione, spendendo non meno di 284 giorni, al fine di ottenere permessi e autorizzazioni necessari per la costruzione di un immobile da destinare ad uso magazzino; sono necessari 8 successivi passaggi burocratici (il doppio di ciò che è richiesto mediamente nell'insieme dei paesi Ocse) per la registrazione della proprietà di un bene immobile strumentale allo svolgimento dell'attività di impresa; occorrono 40 passaggi legali-amministrativi e 1.210 giorni prima di giungere ad una sentenza ingiuntiva atta a risolvere un eventuale contenzioso commerciale.

La domanda è retorica ma inevitabile: fino a quando nel nostro paese si continuerà a pensare che l'innalzamento del livello di competitività delle aziende è solo il frutto degli sforzi dei singoli imprenditori e non un mix complesso di elementi in cui assumono rilievo anche il contesto infrastrutturale e una macchina burocratica pubblica più snella, garante del rispetto delle norme, ma non vessatoria?

Se è vero che gli ultimi cinque anni di debole crescita economica hanno messo a nudo la crisi di competitività che caratterizza parte del sistema di impresa nazionale, è altrettanto vero che il contesto burocratico, la macchina amministrativa dello Stato, il sistema delle regole, non hanno affatto aiutato le aziende e i comparti produttivi a contrastare la crisi, ma hanno svolto il ruolo, nei casi migliori, di interlocutori deboli dell'impresa, se non di rigidi applicatori di norme, talvolta inutili.

Il 32% di un campione di aziende con più di 20 addetti analizzate dal Censis ritiene che le inefficienze della macchina pubblica siano state pregiudizievoli, negli ultimi anni, per lo sviluppo d'impresa, e la quota sale al 37% tra le aziende del Nord Est e al 38% tra quelle localizzate nel Mezzogiorno. Un imprenditore su tre, insomma, ritiene che la struttura amministrativa pubblica abbia rallentato il miglioramento dell'attività aziendale, o comunque non l'ha favorita, a causa di procedure di legge espletate con eccessiva lentezza (fig. 1).

Più nel dettaglio, la parte degli intervistati (32%) che ha indicato di avere avuto o di avere un rapporto piuttosto critico con il sistema pubblico sottolinea tra i fattori scatenanti di tale relazione conflittuale (fig. 2):

  • la lunghezza delle procedure burocratiche e dei passaggi che una pratica effettua da un ufficio all'altro della medesima amministrazione (44,3% degli intervistati);
  • la mancanza di un incisivo intervento pubblico sulle questioni di maggiore rilevanza per il territorio in cui l'impresa è collocata (36,8% del campione);
  • il senso di generale inefficienza organizzativa e gestionale che traspare dai front desk delle amministrazioni pubbliche locali e centrali (è questa l'opinione del 28,3% degli intervistati).

Minore peso hanno per gli imprenditori aspetti quali la scarsa trasparenza dell'azione e delle procedure adottate dagli uffici pubblici (segnalata solo dall'8,2% degli intervistati), la scarsa capacità di vedute della Pubblica Amministrazione (8,4%), normative inadeguate a dirigere i processi di viluppo economico del territorio (9,3%).

Il clima di scontentezza non cambia, anzi forse si accentua, se si passa al sistema del commercio. Secondo un'indagine realizzata dall'Istat nel 2005 su un campione di aziende di nuova costituzione (nate nel 2002), il fattore più diffusamente indicato dai titolari dell'impresa come un ostacolo allo sviluppo dell'attività commerciale riguarda l'adempimento degli oneri fiscali (fig. 3).

Fig. 1 – Imprenditori che ritengono che la P.A. abbia pregiudicato l'attività dell'impresa (val. %)

 

Fig. 2 – Fattori critici della P.A. secondo l'opinione degli imprenditori(val. %)
Il totale non è uguale a 100 poiché erano possibili più risposte.

Fonte: indagine Censis-Confcommercio, 2006

Fig. 3 – Fattori che ostacolano lo sviluppo dell'attività commerciale, 2005 (val. %)

Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006

A ben guardare, dunque, i dati disponibili e le opinioni degli imprenditori lasciano emergere due aspetti essenziali:

  • da un lato l'eccesso di passaggi amministrativi e la lunghezza dell'espletamento delle procedure;
  • dall'altro un giudizio sulla scarsa incisività dell'azione messa in atto dalle diverse strutture amministrative dello Stato, sia a livello centrale che locale; strutture alle quali viene attribuita una limitata visione strategica e l'appiattimento su una molteplicità di passaggi procedurali costosi.

Le procedure farraginose che, agli occhi di molti imprenditori, imbrigliano l'operato della Pubblica Amministrazione rendendo difficile il fare impresa, sembrano nascondere giudizi su criticità ancora più vaste. Non vi è solo infatti un problema di burocrazia pesante: tra gli imprenditori intervistati è piuttosto diffusa l'idea del distacco esistente tra l'amministrazione centrale dello Stato e le singole realtà socio-economiche che caratterizzano il paese, ed è forte la sensazione che gli stessi enti locali raramente rappresentano un vero punto di riferimento per la classe imprenditoriale.

Pensare dunque che lo sviluppo di impresa possa essere promosso attraverso miriadi di nuovi provvedimenti e di leggi di riordino degli incentivi, sebbene ispirati dalle migliori intenzioni, rischia di appesantire situazioni già difficili. Una giusta azione di governo passa dunque, non tanto per nuove forme di tassazione e di controlli, ma per un'azione incisiva sul contesto normativo e fiscale in cui il sistema di aziende opera, eliminando e alleggerendo procedure burocratiche, per permettere all'azienda di concentrarsi di più sul proprio core business.

1. L'"impresa" di avviare un'impresa: in Italia costa 17 volte più del Regno Unito e 11 volte più della Francia

Per costituire una nuova impresa in forma societaria in Italia è necessario espletare 9 diversi adempimenti amministrativi e fiscali iniziali[1], con un impiego di tempo di almeno 13 giornate e un costo complessivo di circa 3.600 euro (una somma pari a 2,4 volte il costo medio riferito all'insieme dei paesi Ocse) (tab. 1).

Ciò significa che un imprenditore italiano parte già svantaggiato rispetto ai suoi principali concorrenti stranieri, dovendo sostenere costi di start-up pari ad esempio a 17 volte quelli di un competitor inglese (207 euro richiesti nel Regno Unito per la registrazione di una nuova impresa) o pari a 11 volte la spesa necessaria in Francia (mediamente bastano 301 euro).

Da questo punto di vista, l'Italia figura in coda alla graduatoria dei paesi industrializzati come lo stato in cui è più oneroso il lancio di una impresa, offrendo un habitat amministrativo e fiscale migliore solo di quello che si osserva per la Grecia (fig. 4).

A causa degli ostacoli burocratici che il titolare deve affrontare per far partire una nuova impresa commerciale, il nostro paese è scivolato al 52° posto nella graduatoria mondiale, con un sensibile peggioramento rispetto alla già arretrata posizione (la 46ª) occupata un anno fa.

Tab. 1 – Procedure e costi per l'avvio di una impresa(*), 2006

  Posizione in graduatoria mondiale Procedure Durata Costo Capitale minimo richiesto
  2005 2006 (n.) (giorni) (% reddito pro-capite) (€) (€)
Italia 46 52 9 13 15,2 3.587 10.000
Stati Uniti 3 3 5 5 0,7 241 0
Regno Unito 8 9 6 18 0,7 207 0
Francia 12 12 7 8 1,1 301 0
Spagna 94 102 10 47 16,2 3.231 3.000
Media Ocse - - 6,2 16,6 5,3 1.493 12.930
(*) Per una impresa commerciale o industriale fino a 50 addetti e un capitale sociale di partenza pari a 10 volte il reddito lordo pro-capite nazionale.
Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006z/


Fig. 4 – Graduatoria dei paesi Ocse secondo i costi di avvio di una impresa, 2006 (€)

Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006

2. Penultimi in Europa per licenze e concessioni

Sviluppare una impresa commerciale non è meno difficoltoso della fase di avvio, a causa delle lungaggini burocratiche e dei costi imputabili a norme, regolamenti e prescrizioni da osservare.

Ad esempio, per ottenere i permessi richiesti, le autorizzazioni, licenze e concessioni necessarie per la costruzione di un immobile da destinare a uso magazzino, incluse le dovute notificazioni e ispezioni (17 pratiche nell'insieme), in Italia occorrono mediamente 284 giorni (solo 69 giorni negli Stati Uniti), con un costo medio di oltre 34.000 euro (pari al 142% del reddito medio pro-capite nazionale). Si tratta di una somma tripla rispetto a quella che occorre in Spagna, dove sono sufficienti solo 13.500 euro (tab. 2).

Da questo punto di vista, l'Italia si posiziona al 104° posto nel mondo, la Germania è al 21°, la Francia al 26°. Siamo penultimi in Europa, prima solo del Portogallo (fig. 5).

Tab. 2 – Procedure e costi per la concessione di licenze per la costruzione di un magazzino, 2006

  Posizione in graduatoria mondiale Procedure (n.) Durata (giorni) Costo
        (% reddito pro-capite) (€)
Italia 104 17 284 142,3 34.084
Germania 21 11 133 89,1 24.084
Stati Uniti 22 18 69 16,0 5.506
Francia 26 10 155 75,0 20.630
Regno Unito 46 19 115 68,9 20.366
Spagna 53 11 277 65,7 13.530
Media Ocse - 14,0 149,5 72,0 20.280
Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006


Fig. 5 – Graduatoria dei paesi Ocse secondo i tempi necessari per la concessione di licenze per la costruzione di un magazzino, 2006 (giorni)

Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006

3. Servono 8 passaggi burocratici per registrare una proprietà (il doppio rispetto agli altri paesi industrializzati)

Anche il numero di procedure legali richieste per la registrazione di una proprietà (ad esempio, un terreno o un fabbricato necessari all'imprenditore per la sua attività economica) risulta doppio in Italia rispetto al valore medio riferito ai paesi Ocse, con 8 successivi passaggi burocratici (tab. 3).

L'Italia si colloca così in fondo alla classifica dei paesi avanzati (nei paesi scandinavi, ad esempio, per i trasferimenti di proprietà è sufficiente svolgere una sola pratica) (fig. 6).

Tab. 3 – Procedure e costi per la registrazione di una proprietà, 2006

  Posizione in graduatoria mondiale Procedure (n.) Durata (giorni)
Italia 53 8 27
Stati Uniti 10 4 12
Regno Unito 19 2 21
Spagna 33 3 17
Germania 42 4 40
Francia 160 9 183
Media Ocse - 4,7 31,8
Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006


Fig. 6 – Graduatoria dei paesi Ocse secondo il numero di procedure necessarie per la registrazione di una proprietà, 2006 (numero)

Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006

4. Fino al 76% dei profitti dell'impresa per tasse, balzelli e contributi

Per pagare imposte e contributi (15 diversi versamenti nel corso dell'anno, tra imposte nazionali e tasse locali[2]) il titolare di una impresa italiana perde complessivamente 360 ore, necessarie per preparare, compilare i moduli ed effettuare i pagamenti relativi al reddito d'impresa, l'Iva, i contributi sociali e previdenziali, ecc.

Se il numero di pagamenti da effettuare è in linea con il valore medio dei paesi industrializzati, ciò che spicca è invece la distanza che separa l'Italia dalla media Ocse (203 ore) per quanto riguarda i tempi necessari per ultimare i pagamenti: indice di una maggiore farraginosità delle procedure burocratiche italiane. Per pagare le tasse le imprese impiegano il triplo di ore che in Germania, Inghilterra e Francia (tab. 4).

Ancora più significativo è il distacco ravvisabile tra il nostro paese e i nostri maggiori competitor per quanto riguarda l'incidenza totale di tasse, imposte e contributi rispetto ai profitti commerciali dell'impresa. Secondo i calcoli della Banca Mondiale, l'ammontare complessivo del prelievo può arrivare a pesare per il 76% degli utili realizzati dall'impresa, rispetto al 47,8% medio dei paesi Ocse e al 25,8% dell'Irlanda, ad esempio (fig. 7).

Allargando il campo di osservazione a tutti gli adempimenti di natura fiscale, contributiva e amministrativa (non solo i versamenti dovuti, ma anche gli altri obblighi amministrativi, come certificazioni, dichiarazioni, presentazioni di domande o comunicazioni), il calendario che l'imprenditore deve tenere d'occhio per gestire l'attività commerciale è denso di appuntamenti: 233 scadenze nel corso del 2006 (con 18 termini in programma, non è risparmiato neanche il mese di agosto) (tab. 5).

Tab. 4 – Procedure e costi per il pagamento delle imposte, 2006

  Posizione in graduatoria mondiale Pagamenti (n.) Durata (ore) Incidenza complessiva (% dei profitti)
Italia 117 15 360 76,0
Regno Unito 12 7 105 35,4
Stati Uniti 62 10 325 46,0
Germania 73 32 105 57,1
Francia 91 33 128 68,2
Spagna 112 7 602 59,1
Media Ocse - 15,3 202,9 47,8
Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006


Fig. 7 – Graduatoria dei paesi Ocse secondo l'incidenza complessiva di imposte e contributi rispetto ai profitti dell'impresa, 2006 (val. %)

Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006

Tab. 5 – Scadenze per adempimenti fiscali e amministrativi, 2006

  N. scadenze
Gennaio 30
Febbraio 21
Marzo 18
Aprile 22
Maggio 22
Giugno 18
Luglio 22
Agosto 18
Settembre 13
Ottobre 27
Novembre 20
Dicembre 2
Totale 233
Fonte: Censis-Confcommercio, 2006


5. Il fardello dell'inefficienza del sistema giudiziario: 1.210 giorni per far rispettare un contratto commerciale

L'inefficienza del sistema giudiziario italiano pesa sulle imprese come un macigno. Per far rispettare i termini di un contratto commerciale in giudizio nel nostro paese sono necessari 40 passaggi legali-amministrativi[3]e ben 1.210 giorni prima di giungere a una sentenza ingiuntiva e risolvere la disputa: nel Regno Unito occorrono mediamente 229 giorni, 300 negli Stati Uniti, 331 in Francia (tab. 6).

Sotto questo aspetto, il divario rispetto agli altri paesi industrializzati è amplissimo (fig. 8).

Anche nella classifica mondiale l'Italia precipita verso gli ultimi posti (141ª posizione).

Le ricadute economiche sul sistema produttivo dell'inefficienza della giustizia civile sono rilevanti. In caso di contenzioso, il costo delle azioni legali di tutela di un contratto corrispondono mediamente al 17,6% dell'ammontare da recuperare, contro una incidenza delle spese legali pari nell'insieme dei paesi Ocse all'11,2%.

Più in generale, la situazione italiana è particolarmente grave per quanto riguarda i tempi di attesa per la risoluzione giudiziaria di una controversia civile legata alle attività economiche. Le cause in materia di lavoro e di previdenza e assistenza hanno una durata media complessiva di 898 giorni per il primo grado e di 911 giorni per il grado di appello (nell'insieme, si tratta di aspettare 4 anni, 11 mesi e 9 giorni per i primi due gradi di giudizio) (tab. 7).

Non si può non sottolineare che i tempi medi tra l'iscrizione a ruolo e la definizione della sentenza erano significativamente più corti nel 1995, rispettivamente 600 giorni per il primo grado e 725 giorni per il grado di appello.

Peraltro si può osservare una disomogeneità territoriale delle prestazioni del sistema giudiziario, con le imprese del Mezzogiorno caratterizzate da un maggiore tasso di litigiosità (il numero dei procedimenti giunti a sentenza è pari a 5,5 volte quello del Nord Italia) e una durata dei processi di gran lunga maggiore, fino al 23% di giorni in più rispetto alla media nazionale (tab. 8).

Tab. 6 – Procedure e costi per azioni legali di tutela dei contratti commerciali, 2006

  Posizione in graduatoria

mondiale

Procedure (n.) Durata (giorni) Costo (% del debito)
Italia 141 40 1.210 17,6
Stati Uniti 6 17 300 7,7
Francia 19 21 331 11,8
Regno Unito 22 19 229 16,8
Germania 29 30 394 10,5
Spagna 42 23 515 15,7
Media Ocse - 22,2 351,2 11,2
Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006


Fig. 8 – Graduatoria dei paesi Ocse secondo la durata delle azioni legali di tutela dei contratti commerciali, 2006 (giorni)

Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006

Tab. 7 – Durata media dei procedimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza per fasi del processo, 2004 (giorni)

  Dall'iscrizione a ruolo alla data della prima udienza Dalla data della prima udienza alla definizione Durata media complessiva Dalla definizione alla pubblicazione
Primo grado 340 558 898 28
Grado di appello 559 352 911 44
Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio


Tab. 8 – Procedimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza, 2004 (v.a. e giorni)

  Lavoro (subordinato e autonomo) Previdenza e assistenza
  Procedimenti esauriti con sentenza Durata media (giorni) Procedimenti esauriti con sentenza Durata media (giorni)
Nord 19.298 441 15.480 576
Centro 17.802 791 31.979 659
Mezzogiorno 38.689 980 153.750 1.029
Italia 75.789 798 201.209 936
Grado di appello 17.742 914 30.515 909
Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio


6. I procedimenti fallimentari: molto costosi, poco efficaci

Le procedure fallimentari in Italia sono tra le più lunghe e farraginose tra i paesi Ocse.

Per giungere alla chiusura di una bancarotta, il costo del procedimento rappresenta il 22% del patrimonio della società insolvente (7,1% la media dei paesi Ocse).

Bassissimo è poi il tasso del credito che si riesce a recuperare: mediamente solo il 39,7% del credito contro l'85,2% del Regno Unito, ad esempio, o il 92,7% per il Giappone (tab. 9 e fig. 9).

La durata media della procedura di chiusura del fallimento in Italia è di 2.897 giorni, come dire poco meno di 8 anni prima di poter riscuotere un credito attraverso le vie legali.

Tab. 9 – Procedure e costi per la chiusura dei fallimenti, 2006

  Posizione in graduatoria mondiale Costo (% del patrimonio della società insolvente) Credito recuperato (% del credito)
Italia 49 22,0 39,7
Regno Unito 10 6,0 85,2
Spagna 15 14,5 77,6
Stati Uniti 16 7,0 77,0
Germania 28 8,0 53,1
Francia 32 9,0 48,0
Media Ocse - 7,1 74,0
Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006


Fig. 9 – Graduatoria dei paesi Ocse secondo la quota del credito recuperato alla chiusura del fallimento, 2006 (val. % del credito)

Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006

7. La bolletta più salata in Europa per l'approvvigionamento di energia per le imprese

Le imprese italiane pagano anche la bolletta più cara in Europa per l'approvvigionamento di fattori primari di produzione come l'energia.

Il prezzo del gasolio per autotrazione, ad esempio, è il più caro tra i paesi dell'Unione europea dopo il Regno Unito (fig. 10).

Dei 1.117 euro per mille litri di gasolio, però, ben il 54% è dovuto per accise e Iva.

Se si confrontano poi i prezzi dell'energia elettrica per usi industriali (prendendo a riferimento la classe di consumo di interesse per una piccola impresa commerciale, par a 160 MWh/anno) si evidenzia che l'Italia si attesta sui prezzi meno competitivi (tab. 10).

Ma soprattutto si scopre che le imprese italiane devono pagare un sovraprezzo dovuto alla fiscalità pari al 276% di quanto mediamente pagano per le imposte le altre imprese europee (fig. 11).

Fig. 10 – Graduatoria dei paesi dell'Unione europea secondo il prezzo del gasolio per autotrazione al lordo delle imposte, 23/10/2006 (€ per 1.000 litri)

Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006

Tab. 10 – Il "sovraprezzo" dei consumi elettrici per usi industriali (classe di consumo 160 MWh/anno), 2006 (c€/kWh)

  Al netto delle imposte Al netto dell'Iva Imposte incluse
Italia 12,24 15,36 16,90
Germania 13,21 14,44 16,75
Regno Unito 11,05 11,39 13,38
Spagna 9,04 9,50 11,02
Francia 7,70 8,40 10,05
Media Ue15 10,70 11,83 13,63
Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006


Fig. 11 – Graduatoria dei paesi dell'Ue secondo la differenza tra prezzo dei consumi elettrici per usi industriali (classe di consumo 160 MWh/anno) al lordo delle imposte (Iva esclusa) e prezzo al netto delle imposte, 2006 (numeri indice: Ue15=100)

Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006

8. Zavorre burocratiche anche sul commercio internazionale

A causa degli oneri burocratici e dei relativi costi, anche le procedure di commercio internazionale rendono le nostre imprese meno competitive sui mercati internazionali rispetto ai concorrenti stranieri.

Se le procedure di import-export in Italia richiedono complessivamente 24 documenti ufficiali, rilasciati mediamente in 36 giorni, sono 8 i documenti necessari in Germania, 9 in Francia, Spagna e Inghilterra (tab. 11).

La zavorra sulla capacità di competere delle imprese italiane vocate all'esportazione è misurabile anche in relazione ai costi del commercio internazionale: 1.253 dollari per espletare tutte le procedure necessarie per esportare un container di prodotti, contro un valore medio riferito ai paesi Ocse di 811 dollari.

Tutte queste variabili concorrono a far precipitare l'Italia al 110° posto nel mondo dal punto di vista della facilità di commerciare nei mercati internazionali (fig. 12).

Tab. 11 – Procedure e costi per l'import-export, 2006

  Posizione in graduatoria mondiale Esportazione Importazione
  Documenti Giorni Costi ($ per container) Documenti Giorni Costi ($ per container)
Italia 110 8 15 1.253 16 21 1.291
Germania 7 4 6 731 4 6 750
Stati Uniti 11 6 9 625 5 9 625
Regno Unito 14 5 12 676 4 12 756
Spagna 25 4 9 1.050 5 10 1.050
Francia 26 4 15 886 5 15 886
Media Ocse - 4,8 10,5 811,0 5,9 12,2 882,6
Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006


Fig. 12 – Graduatoria dei paesi Ocse secondo la facilità delle procedure di commercio internazionale, 2006 (posizione nella graduatoria mondiale)

Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006

9. Il "cuneo" della burocrazia: le imprese del commercio pagano 8,2 miliardi di euro l'anno

Oltre al prelievo fiscale e agli oneri contributivi, le imprese italiane devono mettere in bilancio anche il "cuneo" della burocrazia.

La spesa complessiva a carico del sistema produttivo per l'espletamento degli adempimenti amministrativi si può stimare in oltre 13,7 miliardi di euro nel 2005, pari a circa l'1,0% del Pil, con un costo medio per impresa di circa 11.600 euro (come dire, ogni impresa paga un impiegato part-time per tutto l'anno addetto unicamente a sbrigare i rapporti con le pubbliche amministrazioni) (tab. 12).

Le imprese del commercio, del terziario avanzato e degli altri servizi partecipano a tale ammontare complessivo con una quota maggioritaria, pari al 59,7% e corrispondente a quasi 8,2 miliardi di euro.

Nel calcolo delle diseconomie che ricadono sul sistema delle imprese a causa di un'amministrazione pubblica pesante e vincolante sono compresi sia i costi esterni (per commercialisti e altri consulenti e professionisti), sia i costi sostenuti dalle imprese attraverso l'uso di risorse interne (complessivamente più di 57 milioni di giornate/uomo) al fine di ottemperare agli obblighi amministrativi relativi a fisco, personale, sanità, sicurezza e ambiente, che implicano continui contatti con l'amministrazione tributaria (uffici Iva e del Registro, uffici delle Imposte dirette), l'Inps e l'Inail, le Asl, gli uffici dell'amministrazione regionale, provinciale e comunale.

Peraltro, da una indagine campionaria emerge che le imprese segnalano nel 33,8% dei casi un incremento, rispetto a due anni prima, dei costi sostenuti per i principali adempimenti burocratici nei confronti della Pubblica Amministrazione. Appena il 4,3% dichiara invece un trend in diminuzione di tali costi (tab. 13).

Tab. 12 – Stima dei costi sostenuti dalle imprese per l'espletamento degli adempimenti amministrativi, 2005

  Costi esterni Costi interni Costi totali Costi totali per impresa
  (milioni €) Giornate/uomo (migliaia) Costi interni (milioni €) (milioni €) (€)
Commercio 1.322,6 11.675 1.438,7 2.761,3 10.063
Terziario avanzato 780,1 8.002 1.487,7 2.267,8 15.310
Altri servizi 1.513,6 11.704 1.648,9 3.162,5 11.065
Totale commercio/servizi 3.616,3 31.381 4.575,3 8.191,6 -
Totale sistema produttivo 6.246,2 57.510 7.467,5 13.713,7 11.615
Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006


Tab. 13 – Andamento dei costi sostenuti dalle imprese per l'espletamento degli adempimenti amministrativi rispetto ai due anni precedenti, 2005 (val. %)

Uffici Superiori Invariati Inferiori
Camera di commercio 35,9 60,2 4,0
Iva e Registro 37,6 58,2 4,2
Inps 39,0 59,3 1,7
Inail 36,8 61,0 2,2
Asl 46,8 50,7 2,6
Regione 40,0 56,4 3,7
Provincia 34,8 60,8 4,4
Comune 38,9 57,7 3,4
Totale 33,8 61,9 4,3
Fonte: Unioncamere, 2006


10. Un bilancio: in Italia è diventato più difficile fare impresa

A causa dei problemi di funzionamento della macchina pubblica, rimasti irrisolti nonostante i provvedimenti annunciati per ridurre il numero degli adempimenti burocratici, snellire gli iter procedurali, e migliorare i rapporti tra Pubblica Amministrazione e sistema produttivo, in Italia è diventato più difficile fare impresa.

Tra il 2005 e il 2006 il nostro paese è sceso dalla 69ª alla 82ª posizione (arretrando di ben 13 posti) nella classifica mondiale Doing Business relativa alla facilità di sviluppare una impresa compilata annualmente dalla Banca Mondiale (tab. 14).

Una zavorra fatta di obblighi, procedure, costi e perdite di tempo, che inviluppano le attività economiche in una rete fitta e intricata, piuttosto che favorire e rendere più semplice l'esercizio dell'attività imprenditoriale attraverso una regolazione di qualità.

In particolare, la situazione è peggiorata relativamente a quattro dimensioni di fondamentale importanza per una attività commerciale: i vincoli nella fase di start-up (l'Italia ha perso 6 posizioni), le insidie nel rapporto con il fisco (scesa di 5 posti), l'efficienza e l'efficacia delle procedure fallimentari (6 posizioni in meno), la burocrazia nelle procedure di import-export (un salto all'in giù di 7 posizioni).

Parlare poi di miglioramenti, per quanto riguarda le altre due classifiche in cui si registra effettivamente un avanzamento del nostro paese in graduatoria (concessioni di licenze e azioni legali di tutela dei contratti) appare pleonastico, dal momento che è proprio in queste due dimensioni che le imprese italiane patiscono le più gravi condizioni di svantaggio rispetto ai propri competitor, e non solo quelli del mondo più sviluppato.

14 – Un bilancio per l'Italia tra il 2005 e il 2006

  Graduatoria mondiale 2005 Graduatoria mondiale 2006 Variazioni di posizioni
Facilità di fare business (indice complessivo) 69 82 -13
Avvio di una impresa 46 52 -6
Concessione di licenze 109 104 5
Registrazione di una proprietà 50 53 -3
Pagamento delle tasse 112 117 -5
Azioni legali di tutela dei contratti 147 141 6
Chiusura di fallimenti 43 49 -6
Procedure di import-export 103 110 -7
Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006


NOTA SU FIGURE E TABELLE

Per le elaborazioni Censis-Confcommercio sono state utilizzate le seguenti fonti:

  • Eurostat
  • Istat
  • Ministero Sviluppo Economico
  • Unioncamere
  • World Bank.

[1]Atto costitutivo e statuto presso un notaio, deposito del capitale sociale, richiesta di libri e registri contabili, versamento della tassa forfettaria annuale per la vidimazione delle scritture contabili, iscrizione al Registro delle imprese presso la locale Camera di commercio, apertura partita Iva e attribuzione codice fiscale, iscrizione all'Inps, iscrizione all'Inail, notificazione alla Direzione provinciale del lavoro.
[2]Iva, Ires, Irap, contributi previdenziali, diritto annuale Camera di commercio, tassa fissa sui registri fiscali, Ici, tassa rifiuti e contributo provinciale ambientale, tassa rendite finanziarie, tassa sulle insegne pubblicitarie, ecc.
[3]Dalla richiesta di pagamento extragiudiziale alla presentazione dell'istanza presso il tribunale, alla notifica del giudizio del querelante al difensore, all'ordine di esecuzione, ecc. per arrivare finalmente alla sentenza di liquidazione del credito e delle spese legali, e al loro effettivo pagamento.

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca