Relazione del Presidente Sangalli alla XXI Assemblea Generale di Confcommercio

Relazione del Presidente Sangalli alla XXI Assemblea Generale di Confcommercio

DateFormat

19 giugno 2008

ASSEMBLEA NAZIONALE

Autorità, Colleghe e Colleghi, Signore e Signori,

benvenuti e grazie per la Vostra presenza.

Grazie, ancora, al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per il messaggio di auguri inviatoci per lo svolgimento dei lavori di questa Assemblea.

Governabilità e crescita

Si è avviata una nuova legislatura. Gli italiani hanno votato e, con le loro scelte, hanno determinato una decisa semplificazione del sistema dei partiti politici rappresentati in Parlamento e, soprattutto, condizioni di stabile governabilità.

Queste condizioni â€" attese da tempo â€" vanno messe a frutto. Rapidamente e bene.

Rapidamente. Perché, da troppo tempo, l’economia italiana cresce troppo poco.

La debolezza di questa crescita rende difficile il miglioramento del quadro della finanza pubblica.

Soprattutto, la debolezza di questa crescita non consente risposte adeguate alle attese e ai bisogni dei cittadini: a chi lavora, ma ha un reddito troppo esiguo; a chi cerca lavoro, ma non lo trova o addirittura rinuncia a cercarlo; a chi è in pensione, ma davvero fatica ad arrivare alla fine del mese; a chi studia, ma non sa se, domani, il suo impegno e le sue competenze potranno essere spese a vantaggio suo e del  Paese.

Crescono, così, disagi sociali e divari territoriali, mentre l’agenda della nuova questione settentrionale si affianca a quella della più tradizionale questione meridionale.

Bisogna fare presto. Perché l’Italia registra,  dalla metà degli anni Novanta e quale che sia la congiuntura internazionale, una crescita mediamente inferiore dello 0,8% rispetto a quella europea. E  nel 2008, stando alle più recenti previsioni della Commissione europea, questo differenziale sarà addirittura dell’1,2%.

L’Italia, l’Europa e la governabilità globale

Bisogna fare presto; bisogna fare bene. Perché è ormai chiaro che le risposte alle questioni che siamo soliti ricomprendere sotto i titoli sintetici della crescita lenta, della competitività difficile, della produttività stagnante o declinante chiamano in causa riforme economiche e sociali profonde rispetto alle quali non sono consentiti né sconti, né scorciatoie.

Non sono consentiti, non sono possibili in Italia, alla luce di un’analisi giustamente severa delle cause dei ritardi del nostro Paese  e delle risposte necessarie, che è, oggi, largamente condivisa tra le forze sociali e le forze politiche.

Sconti e scorciatoie non sono possibili in Europa. In un’Europa che, a meno di due anni dal traguardo del 2010, deve realisticamente misurare quanto siano ancora lontane le ambizioni dichiarate a Lisbona, nel 2000, a partire dall’obiettivo fondamentale di fare dell’economia europea “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondoâ€�. Perché invece â€" come è ricordato anche in apertura del Rapporto Attali â€" “l’Europa oggi cresce a una velocità inferiore alla metà della media mondiale e più lentamente della media dell’Ocseâ€�.

Sconti e scorciatoie non sono possibili in un mondo sempre più connesso e interdipendente e che reclama la necessità di una governabilità globale. In grado, cioè, di affrontare, tra l’altro, i processi e le trasformazioni epocali, che stanno dietro l’impennata dei prezzi dei prodotti petroliferi e delle materie prime agricole.

Per tutte queste ragioni e in tutti questi casi, è tempo â€" in Italia, in Europa, nel mondo â€" non di meno, ma di più politica.

Una buona politica che abbia la forza e la responsabilità, in un confronto aperto e costruttivo con il mercato e con le forze dell’impresa e del lavoro che in esso operano, di definire regole sobrie - cioè poche, necessarie e sufficienti - e di costruire istituzioni che ne presidino il funzionamento e il rispetto.

In Italia, con una legislatura costituente. In Europa, riprendendo â€" a maggior ragione dopo il “noâ€� dell’Irlanda -  il cammino di costruzione politica, con l’obiettivo del riconoscimento del ruolo di iniziativa legislativa al suo Parlamento. Nel mondo, affinché il multilateralismo economico si faccia multilateralismo politico attraverso il banco di prova delle regole di governo della globalizzazione. 

Per una legislatura costituente: la responsabilità della politica, la responsabilità delle parti sociali

Ecco perché le condizioni di stabile governabilità del nostro Paese, frutto della consultazione elettorale, sono un valore e un patrimonio da far fruttare.

Perché  sono condizioni che consentiranno, se davvero lo si vuole, di fare presto e bene, affrontando nodi da tempo irrisolti e tanto più importanti da risolvere in tempi così difficili.

Sono condizioni di un rinnovato bipolarismo, che chiede â€" a chi governa e alla sua maggioranza, così come a chi si trova all’opposizione â€" la responsabilità di condividere una definizione quanto mai attuale della politica: “politica vuol dire realizzareâ€�, così De Gasperi scriveva nel ’49.

Politica vuol cioè dire  â€" pur in una giusta, in una doverosa distinzione di ruoli e funzioni tra Governo e Parlamento, tra maggioranza ed opposizione â€" concorrere a costruire risposte efficaci alle attese del Paese e dei suoi territori, ai problemi dei cittadini, dei lavoratori e delle imprese.

Che oltre l’80% degli elettori si sia recato alle urne è stato, allora, un bene.

Ne è emersa una forte richiesta di governabilità. A questa richiesta, è il tempo di dare risposta.

Perché â€" come si legge nel documento da noi sottoscritto insieme a molte altre associazioni d’impresa, dopo la crisi del governo Prodi e in occasione delle consultazioni del Presidente Marini â€" “abbiamo bisogno di governabilità per cambiare e per rendere più moderno il Paese. Serve una stagione di grandi riformeâ€�.

In questo senso, rinnoviamo l’auspicio che abbiamo già formulato lungo il corso della campagna elettorale. L’auspicio che questa sia davvero una legislatura costituente.

Positivamente contrassegnata, in altri termini, dalla capacità della politica tutta di ritrovare ragioni d’intesa.

Certo â€" come è essenziale -  anzitutto sul terreno delle riforme costituzionali ed istituzionali. Ma anche per realizzare una agenda complessa ed impegnativa di riforme economiche e sociali, rispetto alla quale, del resto, convergenze non effimere emergono dall’analisi dei programmi elettorali degli schieramenti politici.

Spirito costituente, metodo costituente: per portare a compimento la transizione dal bipolarismo muscolare perché fragile al bipolarismo dialogante perché forte; per sottrarre la formazione delle scelte alla “dittatura del breve termine� e per fare, invece, scelte che guardino davvero al futuro del Paese.

Sessant’anni fa, entrava in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana.  Una Costituzione â€" per dirla con Piero Calamandrei â€" virtuosamente “presbiteâ€� e, dunque, capace di guardare lontano.

Il che, ovviamente, non vuol dire che tutto sia stato immune da pecche e difetti e che, oggi, non varrebbe la pena di mettervi mano. Vuol dire, piuttosto, che le scelte fatte allora furono pensate e realizzate guardando al futuro che per il Paese si voleva costruire.

Con questo stesso orientamento ad un futuro scelto, costruito e non subìto, oggi bisognerebbe dunque concepire il cantiere delle riforme.

Perché allora â€" come è stato ricordato di recente - bastarono, pur in un’Italia ancora ingombra delle macerie della guerra e segnata da forti contrapposizioni politiche e ideologiche, un anno e mezzo per fare la Costituzione e otto anni per realizzare circa 800 chilometri dell’Autostrada del Sole!

Ecco, questo è â€" senza sconti, senza scorciatoie â€" il metodo costituente.

Il metodo di chi fa sino in fondo i conti con l’Italia delle tante, troppe “casteâ€�; di chi sa che oggi, sul versante delle “virtùâ€� pubbliche e private, “se v’imbattete â€" come ha scritto Sergio Romano â€" in una qualsiasi classifica, è inutile che cerchiate l’Italia in cima alla pagina; la troverete soltanto spostando lo sguardo verso il bassoâ€�.

Ma il metodo costituente è anche il metodo di chi non indulge nel declinismo e non si rassegna al ritratto dell’Italia come Paese “infelice� e “infelice�, in particolare, perché poca è la fiducia dei suoi cittadini nei confronti del sistema sociale, delle leggi e delle istituzioni, dell’avvenire.

Scegliere e praticare questo metodo, con continuità e coerenza, è anzitutto una responsabilità della politica. Anzitutto, ma non solo.

Perché, poi, è anche responsabilità nostra â€" delle parti sociali, voglio dire â€" incalzare in questa direzione e, ad esempio, praticare una concertazione non miope e virtuosamente presbite.

Infatti, quella “dittatura del breve termine�, che è stata il male non oscuro della politica italiana, è stata anche il punto debole dell’esperienza storica della concertazione.

Superate le emergenze e le urgenze, la concertazione ha sofferto di una ridondanza di obiettivi e di un’insufficiente selezione di priorità; ha oscillato fra relazioni privilegiate e partecipazione formale e universalistica, senza avere il coraggio di affrontare e risolvere il nodo di “chi rappresenta che cosa�.

Per questo, se dalla concertazione si vuole far davvero scaturire un contributo forte all’accelerazione del passo di crescita del Paese, ne occorre un’urgente manutenzione straordinaria.

No, dunque, ai poteri di veto, impliciti o espliciti che essi siano. Perché l’Italia non può essere ulteriormente gravata dei costi drammatici del non decidere.

Sì al contributo di ciascuno sulla base della sua capacità di analisi e di proposta.

Ma soprattutto - nella costruzione delle sintesi necessarie, nella formazione delle scelte  â€" gli interessi siano misurati in ragione del loro apporto all’economia reale del Paese: per quella che oggi è, e ancor più per quella che vogliamo sia domani e dopodomani.

E  â€" lo ricordo e lo sottolineo  -  l’economia dei servizi che Confcommercio largamente rappresenta, oggi questo è: ben più del 40% del PIL;  ben più del 40% dell’occupazione!

Valori importantissimi e, peraltro, destinati a crescere ulteriormente già nel futuro prossimo.

Riforme e governabilità: federalismo e federalismo fiscale

Nel 2001, la riforma del Titolo V della Costituzione ha delineato il profilo istituzionale di un Paese a federalismo imperfetto ed incompiuto.

Imperfetto, perché segnato dal primato negativo del conflitto di competenza. Incompiuto, in particolare,  perché rimane inattuato l’art. 119 in materia di federalismo fiscale, strutturalmente chiamato a chiudere il cerchio tra i principi cardine di una corretta opzione federalista: il principio di sussidiarietà, il principio di responsabilità, il principio di solidarietà.

Insomma, siamo rimasti in mezzo al guado. E - tra veti incrociati, rimpalli e conflitti di competenza, tra ricorsi al TAR, al Consiglio di Stato e alla Corte Costituzionale - il processo decisionale è divenuto una vera e propria tela di Penelope.

La sindrome di Nimby si è pervicacemente diffusa, i buoni principi sono stati assai poco praticati, l’individuazione delle responsabilità è divenuta così complessa da rasentare le caratteristiche di una missione impossibile.

Il dramma della non gestione del ciclo dei rifiuti - a Napoli, ma non solo - è, ovviamente, la più clamorosa riprova di tutto ciò.

E, intanto, non cresce il Paese, ma crescono i costi del non decidere e del non fare. Costi stimati â€" per il periodo 2008-2020  e con riferimento alle infrastrutture energetiche, al ciclo dei rifiuti, alle tangenziali e alle autostrade, all’Alta velocità ferroviaria â€" nella cifra astronomica di 251 miliardi di euro!

Dire questo, ricordare questo non significa però coltivare “nostalgie� neo-centraliste. Tutto al contrario.

Significa, invece, sottolineare l’urgenza di perfezionare ciò che è oggi imperfetto; di completare ciò che è oggi incompiuto.

Significa â€" per venire al concreto â€" che fondamentale banco di prova di una legislatura costituente saranno le riforme necessarie per fare davvero dell’Italia una Repubblica federale: con un’architettura di attribuzione delle competenze legislative più certa, inequivoca e “vocataâ€� al loro coordinamento; con il superamento del bicameralismo perfetto e l’istituzione della Camera delle Regioni.

Soprattutto, con la realizzazione del federalismo fiscale, “legge â€" come ha recentemente ricordato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano â€" da tempo diventata ineludibileâ€�.

Il passaggio è stretto e difficile in un Paese come il nostro. Un Paese i cui conti pubblici â€" lo ha detto Tommaso Padoa-Schioppa â€" restano “in ospedaleâ€�, e in cui vi sono profonde differenziazioni territoriali in termini di distribuzione della ricchezza e di capacità fiscale.

Fatta 100 la media della capacità fiscale complessiva dell’Italia, la differenza tra le regioni più ricche e quelle più povere è di oltre 70 punti. Gli effetti redistributivi della spesa pubblica  riducono questo differenziale a 40 punti.

Ma â€" ecco il punto più critico â€" sono meccanismi redistributivi sostanzialmente fondati su parametri storici di spesa. E poiché non è detto che la storia della spesa pubblica sia sempre la più virtuosa possibile, il risultato è che, troppo spesso, non si incentiva certo l’azione politica ed amministrativa  finalizzata a migliorarne la qualità ed anche a ridurla.

Lo ripeto: per quanto difficile e sulla scorta di tutti gli approfondimenti necessari, questo nodo va affrontato e risolto.

Perché restare bloccati, restare in mezzo al guado non aiuta la competitività complessiva del Paese e la tenuta della coesione sociale.

Chiedere invece a tutti â€" in ogni area del Paese e ad ogni livello dell’architettura istituzionale â€" responsabilità e rendicontabilità nell’utilizzo della leva fiscale e nelle scelte di allocazione delle risorse pubbliche è la condizione fondamentale per la costruzione di un federalismo correttamente  competitivo e correttamente solidale.

In cui, dunque, non ci sia spazio né per pigrizie ed inerzie, né per comode rendite di posizione.

In questo contesto, la liberalizzazione dei servizi pubblici locali può davvero essere considerata come la cartina al tornasole dell’impegno per il federalismo procompetitivo.

Insomma, questa è la sfida e l’opportunità del federalismo e del federalismo fiscale: un’occasione â€" difficile, non scontata, ma possibile â€" per fare finalmente ordine sul “chi fa che cosaâ€�, per fare “meno Stato e più sviluppoâ€�.

Perché il “pubblico� faccia meno, meglio e il necessario. Perché sia anche una società attiva e responsabile a costruire le risposte a vecchi e nuovi bisogni. 

 

Meno Stato, più sviluppo 

Meno Stato, più sviluppo: lo slogan è impegnativo e va, dunque, debitamente argomentato.

E’ stato calcolato che la somma delle entrate correnti statali e della spesa corrente primaria ha ormai oltrepassato la quota dell’86% del PIL.  Tanto, troppo incide dunque il ruolo del “pubblico� nell’economia.

Naturalmente non è soltanto un problema di quantità, ma anche e soprattutto di qualità, cioè di efficacia, di efficienza, di produttività della spesa pubblica.

Per verificarlo, basta, del resto, comparare la situazione del nostro Paese con quanto accade altrove, in Europa.

Si scopre così, che, ad esempio, rispetto a Francia e Germania, l’inefficienza della spesa pubblica italiana si traduce in uno spreco di risorse di oltre 70 miliardi di euro all’anno, pari cioè a circa 5 punti di PIL.

Come è poi  ricordato nel “Piano Industriale� per la pubblica amministrazione, predisposto dal Ministro Brunetta, “è stato stimato nell’equivalente di 2 punti di PIL un recupero di efficienza del 10% nella PA�.

Su questo versante, allora, una robusta iniezione di innovazione tecnologica e di ricerca e premio della produttività, come cardine della contrattazione nel settore pubblico, è davvero urgentissima.

Senza dimenticare, naturalmente, che il servizio del debito pubblico â€" il cui stock complessivo resta largamente superiore al totale della ricchezza prodotta  nel Paese -  ci costa ogni anno circa 5 punti di PIL: fra i 2 e i 3  punti in più rispetto alla media europea.

Per la riduzione di questo debito, va pertanto intrapresa anche un’azione impegnativa e decisa di dismissione di quote significative del patrimonio pubblico.

Dunque, si spende tanto e per di più, troppo spesso, anche male e con effetti che non aiutano a costruire un futuro migliore.

I paradossi della spesa pubblica

Perché nonostante una spesa pubblica complessivamente superiore alla metà del PIL,  la  quota destinata agli investimenti è inferiore al 5% del PIL.

Perché per istruzione e formazione non spendiamo più del 4,4% del PIL: meno della media europea; molto meno dell’Europa che corre e del picco dell’8,5% della Danimarca, non a caso “patria� della flexicurity.

Non sarebbe stato, allora,  il caso di agire, nel nostro Paese, proprio in questa direzione?

Mettendo, ad esempio,  realmente a frutto, con gli investimenti in istruzione e formazione, i “tesoretti� e, finalmente, facendo così  qualcosa di serio e di importante  per i “figli� piuttosto che per i “padri� ?

Peccato, dunque, che si sia scelto, invece, di spendere di più per troppe pensioni, troppo precoci e troppo magre, che assorbono oltre 15 punti di PIL e che lasciano ben poco spazio per le  voci della spesa sociale dedicata alle famiglie: poco più di 1 punto di PIL.

Per carità, non sono numeri nuovi e sorprendenti. Sono, purtroppo, numeri arcinoti.

Li ripropongo per dire semplicemente che controllare, ristrutturare e riqualificare, ridurre la spesa pubblica non è solo necessario, non è solo urgente. E’ anche possibile.

Ci sono, infatti, squilibri da riequilibrare; inefficienze e sprechi da sanare. Ci sono. Ce ne sono a iosa.

E, in tutti questi casi, intervenire non costa né lacrime, né sangue. Costa, piuttosto, la rinuncia a qualche privilegio di troppo. Per il resto, basta buon senso, sobrietà, responsabilità.

Certo, non lo si fa da un giorno all’altro. Ed occorre un lavoro tenace che si protragga nell’arco del tempo.

Anche per questo, la governabilità è fondamentale. Ed è fondamentale che, dal punto di vista politico, si assuma come definitivamente tramontata l’era della spesa pubblica come “variabile indipendente�.

Indipendente, perché comunque finanziabile attraverso il ricorso alla leva delle maggiori entrate.

Meno tasse, più sviluppo

Ma questo non è davvero più possibile. Questo non ce lo possiamo più permettere.

La pressione fiscale è cresciuta di 2,7 punti tra il 2005 e il 2007, attestandosi al 43,3% del PIL, valore prossimo al picco del 1997, l’anno dell’�eurotassa�.

Davvero troppo: sia che si guardi al suo impatto sul reddito dei cittadini, sia che si ragioni sulla competitività delle imprese.

Davvero troppo per affrontare un 2008 difficilissimo, con previsioni di crescita prossime allo zero e con i consumi delle famiglie in picchiata.

Bisogna assolutamente fare tutto il possibile per ridurre questi livelli di prelievo. Bisognerà, intanto, mobilitare impegno ed energie politiche ed operative  per dare il senso inequivocabile della giusta, della necessaria direzione di marcia: meno spesa e meno tasse; pagare tutti per pagare meno, ma anche pagare meno per pagare tutti.

Perché, in particolare, è l’integrazione tra questi due ultimi principi che può sospingere anche un’azione rigorosa di contrasto   dell’evasione e dell’elusione, consentendo progressivamente di recuperare almeno 5 punti di PIL di maggiori entrate.  

E’ però fondamentale che si  assicuri sempre e comunque â€"  a vantaggio tanto dei contribuenti in regola, quanto del contrasto e recupero di evasione ed elusione â€" il rispetto di essenziali principi di civiltà giuridica e fiscale, l’inderogabilità dei principi dello Statuto del contribuente.

Questo è, allora, l’impegno che chiediamo alla “legislatura costituente�: l’impegno alla costituzionalizzazione dello Statuto del contribuente a garanzia dell’inderogabilità dei suoi principi da parte della legge ordinaria.

Per il resto, la cosa migliore da fare è quella di archiviare una stagione in cui, troppo spesso, si è ceduto alla tentazione illusoria della lotta all’evasione e all’elusione condotta attraverso gogne mediatiche, sanzioni sproporzionate, crescita della burocrazia fiscale.

Archiviamola!  Punto e a capo.

E piuttosto â€" con tutta la gradualità e il realismo necessari, ma con continua determinazione â€" si lavori per ridurre la pressione fiscale.

Nell’arco di una legislatura e fermo restando l’obiettivo-vincolo del pareggio di bilancio nel 2011, ridurre fortemente le aliquote IRPEF che gravano sul lavoro â€" su tutto il lavoro, dipendente o autonomo che sia â€" è infatti  possibile.

Perché è possibile compensare i costi di questa operazione, stimolando maggiore crescita, perseguendo efficienza e riduzione della spesa pubblica, agendo per l’emersione di maggior base imponibile.

Della riduzione del carico fiscale, si gioverebbero, in questo modo, la domanda interna, i consumi delle famiglie, l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, la competitività e l’attrattività complessiva del sistema-Paese.

Senza dimenticare nodi come quello del progressivo superamento dell’IRAP, dell’urgente allineamento delle aliquote IVA per il turismo ai livelli praticati da importanti competitori europei, della fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno, a partire dalla sua sperimentazione nelle zone franche urbane.

Bene, intanto, la scelta di varare alcune prime  misure per ridurre il carico fiscale sullo straordinario e sui premi. Significano maggior reddito netto e sostegno ai consumi. Ma rappresentano anche un incentivo al merito e al perseguimento di maggiore produttività.

Chiediamo, dunque, che, conclusa la fase “sperimentale�, queste misure vengano estese e potenziate.

Più produttività, più sviluppo

Meno Stato e più sviluppo, infatti; meno tasse e più sviluppo. Ma, soprattutto, più produttività e più sviluppo.

Anche perché â€" almeno su questo â€" credo che, oggi, siamo davvero tutti d’accordo. E, di più, c’è anche larghissimo consenso sul merito delle scelte, delle politiche necessarie per incrementare, nel nostro Paese, la produttività.

L’agenda è  notissima. E, a nostro avviso, ricomprende, tra l’altro, la necessità di un serio e partecipato bilancio politico delle liberalizzazioni nel nostro Paese. Perché, rispetto a questo processo, c’è chi ha dato tanto; c’è chi ha dato meno; c’è chi, ancora, non ha dato nulla!

In particolare, voglio però sottolineare un punto: è vero che accrescere la produttività è un’esigenza generale di tutto il nostro sistema economico; ma tanto più lo è nell’area dei servizi.

Per il rilievo fondamentale  che â€"  lo ribadisco sperando davvero nel “repetita iuvantâ€�  â€" l’economia dei servizi ha oggi  nel nostro Paese; per la crescita incrementale che ne  potrà venire; per lo sviluppo dell’export e dell’internazionalizzazione del nostro sistema produttivo, alla luce della crescente integrazione tra produzione e servizi.

E anche perché accrescere la produttività è la via migliore per tenere sotto controllo l’inflazione.

Proprio per queste ragioni â€" e guardando, dunque, davvero agli interessi generali del Paese â€" a noi sembra necessario tornare a chiedere a gran voce, all’inizio della nuova  legislatura, che si metta mano ad una vera, ad una compiuta politica per i servizi.

Fatta, in particolare, di innovazione e di scelte a favore dello sviluppo del capitale umano.

Provo a dirla così: dopo “Industria 2015�, è arrivato il momento di un “Piano d’azione per lo sviluppo dell’economia dei servizi�, che articoli un quadro integrato di misure dedicate all’innovazione tecnologica, organizzativa e di marketing nell’intera area dei servizi.

Con un grande obiettivo: costruire la leadership italiana del “capitalismo culturaleâ€�, fondata  sull’applicazione dell’innovazione al valore â€" unico ed irripetibile â€" dell’identità e della “qualitàâ€� del nostro Paese.

C’è, inoltre, un nesso fortissimo tra innovazione e capitale umano.

Aver cura del capitale umano significa educare, in particolare i giovani, alla responsabilità e al merito. Significa formare, valorizzare e premiare responsabilità, merito e talento.

Ancora una volta, conviene guardarsi un po’ intorno e provare ad analizzare qualche storia europea di successo.

Irlanda, Svezia, Spagna: storie diverse e percorsi diversi, ma in cui  ritroviamo sempre profonde riforme della scuola superiore e dell’università.

Casi di successo, in cui torna, sempre e comunque, una scelta forte di investimento sulla qualità dei processi di formazione.

Non è il caso di farlo anche nel nostro Paese? Anche spendendo di più, se è necessario. Ma a condizione che sia possibile valutare rigorosamente la qualità dei risultati dei processi di formazione, premiando chi meglio agisce, chi si impegna, chi merita.

Non solo nella scuola e nell’università, ovviamente. Ma anche dopo: quando si entra e si cresce nel mondo del lavoro.

Premiare il merito: per un Paese non solo normale, ma anche e soprattutto più ambizioso.

Mercato del lavoro, sicurezza sociale, contrattazione

Più ambizioni. Anzitutto, sul fronte del lavoro.

Perché certo l’occupazione è cresciuta, ma il tasso di occupazione   â€"  un po’ più del 58% nel 2007 â€" rimane inferiore di oltre 10 punti rispetto agli obiettivi di Lisbona.

Quanto è stato fatto, ma soprattutto quanto resta ancora da realizzare dice, anzitutto, della validità delle buone regole di flessibilità governata e contrattata che il nostro Paese si è dato.

Comprese le ultimissime regole predisposte dal Governo e che ripristinano, tra l’altro, la piena agibilità del ricorso all’istituto del lavoro intermittente.

Al contempo, bisogna contrastare i rischi di segmentazione del mercato del lavoro e chiudere il cerchio della flexicurity. 

Costruendo, dunque, una sicurezza sociale fondata sul lavoro, su più lavoro. E su un lavoro più sicuro, perché comunque troppe restano le morti sul lavoro.

Su questo punto â€" il diritto ad un lavoro più sicuro â€" non possono esserci divisioni. Conseguentemente, non dovrebbero essercene nel condividere la necessità di una cultura della sicurezza più robusta e diffusa, più sostanziale e partecipata, meno burocratica e formalistica.

E â€" inevitabilmente, necessariamente â€" dovremo tornare a confrontarci sulla tenuta a lungo termine del sistema previdenziale pubblico e sulle scelte utili ad un reale decollo della previdenza integrativa.

Rispetto all’obiettivo della costruzione di una società più attiva, particolarmente importanti sono, poi, le misure volte a rendere pienamente cumulabile il reddito da lavoro con i trattamenti pensionistici.

Il miglioramento della produttività è la via maestra per la  crescita ed anche per la crescita  dei redditi da lavoro. Per questo miglioramento, un contributo  rilevante può certamente venire da una riforma della contrattazione, che si proponga di rendere più stretti ed efficienti i nessi e gli scambi tra le scelte per il potenziamento della produttività, i suoi effettivi incrementi, la loro  redistribuzione.

E’ importante, dunque, che CGIL, CISL e UIL abbiano definito una posizione unitaria in materia. Siamo pronti al confronto e all’approfondimento senza pregiudiziali.

Perché, di confronto e di approfondimento, c’è la necessità, se davvero si vuole perseguire  sia  “il miglioramento â€" cito dal documento del Sindacato â€" delle condizioni di reddito, di sicurezza e qualità del lavoroâ€�, sia “competitività e produttività delle impreseâ€�.

Sono, però, obiettivi che dovrebbero essere condivisi anche nella contrattazione che intanto c’è. Per chiudere, al più presto e bene, i contratti che attendono ancora di essere rinnovati, a partire da quello del terziario.

 

Costruire un’Italia ambiziosa

Fare dell’Italia un Paese ambizioso non significa coltivare illusioni. Non servono e tanto meno in tempi così difficili.

Significa invece â€" pur nella consapevolezza delle difficoltà del presente â€" cogliere le opportunità che non mancano, far leva sulle risorse del Paese e mobilitarle in un grande investimento per un futuro migliore.

Opportunità e risorse: nel commercio, che ha vissuto una ristrutturazione profonda e con tratti di vera e propria “selezione darwiniana�.

Questo commercio - un commercio plurale e proconcorrenziale â€" chiede coordinamento delle competenze e politiche attive per rafforzare produttività e spinta al costante miglioramento del rapporto qualità/prezzo praticato ai consumatori finali.

Questo commercio â€" un commercio di “qualitàâ€� â€" chiede rigorosa tutela e valorizzazione del made in Italy, e contrasto severo delle patologie dell’abusivismo e della contraffazione.

Guai a considerare queste patologie come dei “mali minori�. Esse, infatti, minano la sicurezza dei consumatori, alterano la concorrenza, alimentano lavoro nero ed evasione, sostengono criminalità e clandestinità.

Anche qui, occorre “tolleranza zero�. Occorre, cioè, vigilanza del territorio, adeguamento delle norme penali e applicabilità delle sanzioni amministrative, informazione e sensibilizzazione dei consumatori.

Opportunità e risorse: nel turismo che â€" ad unanime parere â€" ha grandi ed inespresse potenzialità. Esse possono e devono tradursi nella scelta di progettare e realizzare una duplice, grande ambizione: far sì che l’Italia torni ad essere la prima meta turistica mondiale; far sì che raddoppi  il contributo del settore alla formazione del PIL.

Opportunità e risorse: nelle nostre città, attraverso processi di riqualificazione che integrino urbanistica generale e  commerciale ed affrontino i nodi della logistica urbana. Città e centri storici  più attrattivi e più accoglienti sono grandi motori di crescita e di sviluppo; grandi laboratori di innovazione e di formazione e valorizzazione del talento. La rinascita urbana della Spagna ne è tra le migliori riprove.

Opportunità e risorse: nel Mezzogiorno, se, in particolare, si sapranno ben spendere i 100 miliardi di euro previsti -  tra il 2007 e il 2013 - per le politiche europee di coesione e si costruirà una risposta adeguata alla sfida del “dopo la 488�.

Opportunità e risorse: nei trasporti e nella logistica, che sono asset strategici fondamentali per l’accessibilità e la competitività del Paese. Occorrono investimenti e riforma del sistema portuale. Bisogna fronteggiare l’emergenza del caro-carburanti, che impatta particolarmente sul mondo dell’autotrasporto e sugli agenti e rappresentanti di commercio, ed attuare compiutamente la liberalizzazione regolata dell’autotrasporto e il Piano Nazionale della Logistica.

Insomma - si tratti di porti e di aeroporti, di valichi alpini e di corridoi intermodali, di fibra ottica e quant’altro â€" un  realistico e concreto programma di rafforzamento della dotazione infrastrutturale del Paese è il “nocciolo duroâ€� della scelta di essere concretamente ambiziosi.

Quando vogliamo, sappiamo farlo. La storia di successo di Expo 2015 ne è la riprova. 

Opportunità e risorse: quelle delle imprese italiane e dei loro lavoratori.

Quelle di imprese piccole, medie e grandi che debbono essere poste in condizione di ricercare maggiore efficienza e di crescere.

Riducendo, tra l’altro, i costi della provvista energetica, con un approccio non bloccante alla tutela dell’ambiente e non ideologico alla questione del nucleare. 

Questione urgente più che mai, perché, intanto, la bolletta energetica del Paese ha oltrepassato i 70 miliardi di euro, in crescita di oltre 20 miliardi di euro rispetto al 2005. 

E, ancora, resta urgente migliorare le  condizioni di accesso al credito e i prezzi dei servizi bancari, assicurativi, professionali e delle telecomunicazioni, nonché abbattere i tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni e semplificare, semplificare, semplificare nascita e vita delle imprese!

Lo si sta facendo e bisogna andare avanti.

Ci auguriamo, in particolare, che â€" anche sulla scorta delle recentissime segnalazioni del Governatore Draghi â€" il sistema bancario voglia abolire l’istituto della commissione di massimo scoperto ed offrire migliori e più competitive condizioni, sul versante dei conti correnti, non soltanto alla nuova clientela, ma anche a quella già in essere.

L’Italia è un Paese di piccole e medie imprese: oltre il 95% delle imprese ha meno di dieci dipendenti. Bisogna metterle in condizioni di crescere, certo.

Ma ricordiamo anche che questa impresa diffusa è, nel suo insieme, una grande opportunità e una grande risorsa.

Competitività ed innovazione, infatti, non dipendono solo dalla scala dimensionale  delle imprese. Dipendono anche  dalla qualità delle politiche d’impresa, dalla qualità di politiche dedicate alle piccole e medie imprese.

E’ un tema emergente anche nelle politiche comunitarie. E’ un tema che, a maggior ragione, deve emergere nel nostro Paese.

Proprio per questo, abbiamo chiesto che, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, siano rafforzate le funzioni in materia, a partire dal ruolo svolto dall’Osservatorio per la piccola e media impresa.

Ma, anzitutto, sicurezza e legalità 

Ma, anzitutto, occorre tutela rigorosa della sicurezza e della legalità. Perché senza questa tutela, non c’è convivenza civile che tenga, non c’è crescita stabile e duratura, non c’è sviluppo.

Per questo, chiediamo da tempo “tolleranza zero a 360 gradi�.

“Tolleranza zeroâ€�: cioè una concezione della cittadinanza fondata  sulla simmetria forte  tra diritti e doveri. Una cittadinanza garantita dalla sempre maggiore efficacia dell’azione  della magistratura e delle forze dell’ordine  â€" cui va il nostro ringraziamento per il loro costante impegno -  e dal miglioramento di tutti gli indicatori di deterrenza.

Tolleranza zero e a 360 gradi: cioè nei confronti della criminalità organizzata, così come nei confronti della cosiddetta “microcriminalità�.

Chiediamo, dunque, alla politica, allo Stato, alle istituzioni tutte di mantenere alta e costante la tensione nella lotta alla criminalità organizzata.

E’ fondamentale, però, che la cultura della legalità â€" cultura dei diritti e dei doveri contro quella dei favori e delle acquiescenze â€" si faccia  sempre più forte nell’economia e nella società.

Qui c’è materia per la nostra responsabilità e il nostro impegno.  Nostro, cioè delle imprese e delle loro associazioni.

E’ l’impegno a respingere, sempre e comunque, la richiesta estorsiva e a  denunciare.

Contribuendo così a disarticolare il circuito criminale che â€" attraverso le estorsioni, l’usura, gli appalti e i sub-appalti, il riciclaggio dei capitali â€" si infiltra nel tessuto delle attività economiche.

Certo, nessuno va lasciato solo e, proprio per questo, è essenziale rendere sempre più fitta la trama preziosa della rete delle esperienze di collaborazione tra associazioni e istituzioni.

Ciascuno ha il diritto di potere far conto su questa collaborazione. Ha il diritto di non sentirsi e di non essere solo. Ma ciascuno ha anche il dovere di dire “no� e di denunciare.

Il che, però, significa anche che alle denunce devono seguire indagini rapide e condanne  severe. E che, dopo le condanne, le pene devono essere scontate: tutte e sino in fondo!

Tolleranza zero e a 360 gradi, dicevo: anche nei confronti della cosiddetta microcriminalità e della clandestinità.

Citare insieme queste due emergenze non significa farne una semplicistica immedesimazione.

Perché, invece, l’immigrazione può essere una ricchezza; deve essere una ricchezza. Perché sia così, però, l’immigrazione deve essere più efficacemente governata.

Del resto, già oggi, il commercio e il turismo del nostro Paese â€" così come gli altri settori produttivi - si avvalgono della collaborazione fondamentale di lavoratori regolarmente immigrati, molti dei quali si fanno anche imprenditori.

Abbiamo tutto da guadagnare da questi processi di integrazione. Ma dobbiamo â€" agli italiani e, vorrei dire, anzitutto a questi “nuoviâ€� italiani  e alle loro famiglie â€" una risposta forte e seria al fenomeno della clandestinità.

Va, pertanto, nella giusta direzione il pacchetto-sicurezza varato dal Governo, che potrà essere utilmente affinato e migliorato lungo il percorso parlamentare dei provvedimenti.

Sicurezza e legalità, dunque: perché è davvero un problema prioritario.

E perché â€" lasciatemelo dire al di là del dibattito a tratti stucchevole sui “piùâ€� e sui “menoâ€� delle statistiche -  restano comunque troppi i furti e le rapine in negozi divenuti il “bancomatâ€� della criminalità. Soprattutto, restano comunque troppi i commercianti che, in queste rapine, muoiono.

In tutti questi casi, è inammissibile il “più�; non ci accontentiamo del “meno�; chiediamo lo “zero� della “tolleranza zero�!

Conclusioni per cominciare a fare 

Fin qui, dunque, l’agenda del “che fare�, in un contesto in cui si segnalano almeno due novità. 

La prima â€" ed è la cattiva notizia â€" è che i tempi si sono fatti ancora più difficili: in Italia, in Europa, nel mondo. Non deve venir meno la “speranzaâ€�, ma le “paureâ€� ci sono e sono motivate.

La seconda â€" ed è la buona notizia â€" è che stavolta, nel nostro Paese, governare è possibile.

Governare è possibile: perché ci sono un Governo e una maggioranza parlamentare che hanno numeri e coesione programmatica adeguati per farlo con prospettiva.

Ma anche perché c’è un’opposizione che ha scelto di organizzarsi secondo il modello del governo-ombra, ed anche un’opposizione che vuol essere “repubblicana�, pronta cioè a consentire o a dissentire sulla base di valutazioni di merito.

Ci sono, poi, le forze sociali, consapevoli del fatto che, come ha scritto Raffaele Bonanni, “l’ultima chiamata, se c’è, oggi vale per tutti�.

Insomma, si può decidere, lo si può fare presto ed anche sulla scorta di un confronto che â€" fermi restando distinti ruoli e distinte responsabilità â€" può arricchire la qualità delle scelte.

Nulla è scontato, ma le premesse ci sono. Per quel che ci compete, lavoreremo affinché queste premesse si mantengano e si sviluppino.

Perché â€" torno a De Gasperi â€" “politica vuol dire realizzareâ€�.

Se questa politica ci sarà, se questa legislatura sarà davvero costituente, certo non mancherà â€" cito dal discorso del Presidente Berlusconi tenuto alla Camera dei Deputati â€" “l’orgoglio di sentirsi italiani, la fiducia in questa Nazione e l’amore per le nostre cento cittàâ€�.

A tutti, allora, un augurio di buon lavoro per l’Italia.

 

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca