Relazione Presidente Sangalli all'Assemblea Generale 2021

Relazione Presidente Sangalli all'Assemblea Generale 2021

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29 settembre 2021

Signori Ministri, Autorità, cari amici della Confcommercio, buona giornata e benvenuti.

Dovrei dire, in modo classico: benvenuti all’Assemblea di Confcommercio-Imprese per l’Italia.

 

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La verità, tuttavia, è che questa, oggi, non è più solo l’Assemblea di un’organizzazione di imprenditori.

È piuttosto il momento collettivo dedicato ad una parte del Paese che a questo Paese ha dato tutto quello che poteva dare.

È l’Assemblea delle imprese che sono state travolte dalla crisi con più intensità e durezza.

Commercio, servizi, turismo, trasporti, professioni e cultura, l’impresa diffusa del terziario che di fronte a difficoltà eccezionali ha reagito in modo straordinario.

Non a caso questa Assemblea sarà diversa.

È un’Assemblea “aperta”, aperta a due giorni di incontri e ai grandi temi globali che si intrecciano con il filo della vita di ognuno di noi.

 

Il tempo della pandemia

Il tempo della pandemia non è stato una semplice sospensione.

Ci ha cambiato nel profondo, come solo i grandi fenomeni collettivi fanno, dentro la comunità e nelle esistenze individuali.

Da subito ci siamo resi conto che, se la normalità fosse tornata, sarebbe stata una “nuova” normalità.

C’è stato dunque un prima e ci sarà un dopo: resilienza e rilancio.

“Confcommercio c’è” è stata la parola d’ordine della nostra presenza dappertutto e rasoterra, accanto alle nostre imprese.

Siamo stati saldi, senza rincorrere l’improvvisazione.

Siamo stati tra i primi a sostenere vaccinazioni e green pass.

Del green pass siamo stati primo banco di prova e ora ne sollecitiamo anche i chiarimenti operativi.

Siamo stati in piazza, con oltre 400 iniziative in tutta Italia, e lo abbiamo fatto sempre nel perimetro della legalità.

Siamo stati e siamo interlocutori di Governo ed Istituzioni, disponibili sempre al confronto, talvolta anche serrato, dai protocolli sanitari alle moratorie fiscali, dai contributi a fondo perduto per i tanti – troppi – lockdown alle regole per la ripartenza.

Abbiamo dimostrato una “disponibilità responsabile”, senza mai esitare nel segnalare provvedimenti talvolta contraddittori e spesso insufficienti.

Affrontare l’emergenza prima, ricostruire il futuro ora.

 

L’Europa

Ed è proprio la parola ricostruzione, se vogliamo, la chiave di lettura di questa nostra Assemblea.

Quando si parla di “ricostruzione” spesso si pensa a costruire “di nuovo” qualcosa che si è rovinato nel tempo.

A me piace pensarlo piuttosto nel senso di “costruire il nuovo”.

E il nuovo si costruisce nell’orizzonte europeo.

Con il Next Generation Eu e con la sospensione del Patto di Stabilità fino a tutto il 2022, l’Unione Europea ha recuperato la sua storica funzione di solidarietà ed ha dimostrato la determinazione verso una ripresa comune.

E, se volete, proprio la sospensione del Patto di stabilità, in chiave anticrisi, apre la strada ad un ripensamento complessivo sul tema della “stabilità per il futuro”.

In altre parole, l’Europa ha bisogno di nuove regole che rendano più efficace e trasparente non solo il merito, ma anche il metodo: a partire dai meccanismi per rafforzare democrazia e vicinanza ai cittadini, attraverso la piena partecipazione delle parti sociali.

Anche perché nei prossimi anni saremo chiamati a gestire gli strumenti e le opportunità che derivano dalle politiche di coesione tradizionali insieme a quelli del piano europeo.

Ricordo che, per il nostro Paese, ai 195 miliardi del PNRR, si affiancheranno ulteriori rilevanti risorse provenienti tanto da fondi speciali nazionali quanto da quelli strutturali europei.

Si tratta di ingenti risorse che dovranno essere spese bene e in tempi molto brevi.

Senza una spesa di qualità rischiamo, infatti, di costruire un futuro economico debole e vulnerabile, lasciando alla “next generation”, per l’appunto, soltanto debiti.

Gli strumenti messi in campo dall’Unione europea contro il Covid, come ha ricordato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “non sono una tantum ma hanno cambiato la concezione del sostegno comunitario e sono ormai irreversibili”.

Per questo occorre da subito pensare a come convertire il piano di rilancio in uno strumento europeo strutturale.

 

Relazioni sindacali e lavoro

Siamo ben consapevoli del ruolo che proprio il nostro mondo dovrà giocare. Una responsabilità che per la Confcommercio è quella di un grande corpo intermedio che rappresenta un settore strategico, il terziario di mercato, che vale il 40% del Pil e dell’occupazione del Paese.

E in questa assunzione di responsabilità vogliamo partire dalla contrattazione collettiva.

È un tema che si inserisce in un orizzonte più generale di investimenti in capitale umano, competenze, infrastrutture sociali.

Anche in questo campo occorre un ruolo più attivo dell’Unione Europea nel combattere il dumping sociale e nella promozione di standard comuni di protezione del lavoro.

Serve un deciso “passo in avanti”, ma lo dico subito: la soluzione non è il salario minimo per legge.

Invece, la soluzione è il contratto collettivo nazionale – intendiamoci: quello stipulato da parti realmente rappresentative – che garantisce retribuzioni adeguate e un moderno sistema di welfare sanitario e previdenziale.

I contratti restano un formidabile strumento di tutela e di promozione, non solo del lavoro, ma in generale delle persone e delle loro competenze.

Uno strumento tanto più importante nell’orizzonte di una buona flessibilità governata e contrattata.

Produttività, crescita e crescita dei redditi da lavoro.

È questo il circuito virtuoso intorno al quale fare convergere gli impegni di parte pubblica – per via di riforme e buoni investimenti – e gli impegni propri delle parti sociali.

È questo il circuito virtuoso che va valorizzato nella nuova stagione dei rinnovi contrattuali, che coinvolgono milioni di persone, con i relativi servizi di welfare.

È questo il Patto che occorre, per mettere al centro dell’agenda politiche, misure e risorse – pubbliche e private – da mobilitare per affrontare le sfide dell’innovazione e della sostenibilità, a partire da quella economia dei servizi che Confcommercio rappresenta.

 

Prospettive economiche

La ripresa dell’economia italiana è più intensa delle attese. Noi prevediamo una crescita al 5,9% nel 2021, che si attesterà al 4,3% per il prossimo anno.

La capacità di reazione della nostra economia è stata notevole. In tutte le sue componenti.

Certo, non dimentichiamo che la spesa per alberghi, bar e ristoranti, alla fine del 2021, sarà ancora inferiore di circa 34 miliardi di euro rispetto al 2019.

Occorre tenere ben presente che, nei primi sei mesi di quest’anno, le presenze complessive sono ancora inferiori di 115 milioni sempre rispetto al 2019 e, di queste, 77 milioni sono assenze di turisti stranieri.

Certo, ci aspettiamo incoraggianti consuntivi per luglio e agosto, ma da qui al pieno recupero dei livelli pre-crisi la distanza è ancora ragguardevole.

Forse è finita la crisi, ma non sono purtroppo finiti i sacrifici dei nostri imprenditori.

E non dimentichiamo che le perdite inflitte alla grande filiera del turismo italiano possono tradursi in lesioni permanenti nelle attività della cultura, dei teatri, del cinema. Ma anche nel comparto del gioco pubblico, dell’intrattenimento e dello sport.

Cari amici, le discoteche sono ancora inspiegabilmente chiuse.

Non lo dimentichiamo.

Nondimeno siamo ben consapevoli della staffetta in atto, in cui l’industria ha fatto la prima frazione e i servizi stanno completando la gara per tornare ai livelli pre-crisi.

Nei primi sei mesi di questo 2021 il terziario di mercato contribuisce alla crescita del valore aggiunto di circa il 38%, nonostante molti settori che lo compongono siano stati chiusi almeno fino a febbraio, e altri lo siano tutt’ora.

E, se lo stesso calcolo viene fatto per il solo – glorioso – secondo trimestre, il nostro contributo supera il 53%.

Eppure, facendo nostra la sobrietà del Presidente del Consiglio – che suggerisce cautela sulle grandi performance dell’economia italiana, ricordando che in larga misura si tratta di un rimbalzo statistico – devo sottolineare che stiamo, sì, correndo, ma per tornare al punto di partenza, cioè al 2019.

Due anni fa eravamo già molto indietro: il nostro prodotto pro capite era di mille settecento undici euro inferiore a quello del 2007.

Dunque, recuperare è d’obbligo, ma ci aspetta ancora la partita più importante: quella della crescita, robusta, duratura e inclusiva, in grado di assicurare benessere per molti, possibilmente per tutti.

In questa partita, il terziario di mercato giocherà un ruolo decisivo.

 

Le incertezze

Tuttavia, sul Paese, e in particolare sul nostro settore, gravano tre grandi incertezze che rischiano di minarne il contributo fondamentale.

La prima incertezza riguarda il nuovo assetto dei nostri settori economici: tra il 1995 e il 2019 tutta la crescita occupazionale è da attribuire al terziario di mercato, in particolare al commercio e alla filiera turistica.

Se saranno questi i comparti ad uscire più affaticati dalla crisi, sarà davvero complicato migliorare il tasso di crescita del prodotto e generare nuovi posti di lavoro di buona qualità.

La seconda incertezza riguarda la crescita equilibrata nella componente degli investimenti, del saldo estero e dei consumi.

L’export è trainante, ce lo siamo ripetuti.

Le misure adottate in questi mesi nell’ambito del Patto per l’Export – pilastro del Piano Straordinario per il Made in Italy – sono state di grande aiuto.

Tuttavia, va ribadita l’esigenza di coinvolgere ad ogni livello, nelle proposte e nella progettualità, tutti i settori che contribuiscono all’internazionalizzazione del Paese, ivi incluso il sistema dei servizi di mercato.

Inoltre, se l’export è trainante, non c’è vera crescita di un Paese senza consumi interni.

Proprio i consumi sono in accelerazione, eppure nemmeno a fine 2022 le perdite saranno completamente recuperate.

È quindi necessario fare di tutto per restituire fiducia che è da sempre il motore della spesa privata.

Vi è poi la terza incertezza, quella della transizione demografica.

La crescita demografica è un tema di nuove energie che entrano nella società e anche nel mercato del lavoro.

Ma, guardate, non basta auspicare più natalità, bisogna riflettere in modo complessivo sul ruolo dei giovani.

Non è pensabile avere un numero così ampio di giovani che oggi non studiano, non lavorano e non sono in un percorso di formazione. Sono oltre 2 milioni.

Nel nostro Paese ci sarebbe così tanto bisogno di energie nuove.

Da qualche parte il meccanismo del futuro si inceppa.

E su alcuni territori, se posso dirlo, si inceppa più che in altri.

La denatalità, l’immigrazione di bassa qualità, i crescenti flussi migratori in uscita sono fenomeni concentrati nel Mezzogiorno del Paese.

Tanto che negli ultimi 25 anni la popolazione residente nel Mezzogiorno si è ridotta di oltre 600mila unità, mentre nel resto del Paese è cresciuta.

Così, al Sud, la questione giovanile si incrocia con la mai risolta questione meridionale.

Dalla produttività del lavoro giovanile, dall’occupabilità delle donne e dalla soluzione dei problemi del Sud, dovrebbe venire gran parte di quella svolta alla crescita che può essere sintetizzata in numeri.

 

PNRR e terziario di mercato

Ovvero, citando ancora il PNRR: innalzare il tasso di crescita, del prodotto potenziale della nostra economia dallo 0,6% annuo all’1,4%. E forse qualche decimo di più.

D’altro canto, il PNRR ben individua le leve necessarie al Paese per crescere.

Non solo risorse, ma soprattutto riforme. Cioè, un nuovo modo di stare insieme.

Sul versante del turismo, è stato certamente importante inserirlo anche nelle grandi priorità del Paese.

Ma le risorse sono ancora davvero esigue.

Occorre fare di più e meglio.

E faccio degli esempi: un digitale dedicato alle filiere turistiche, l’ammodernamento delle strutture anche in chiave energetica ed ambientale, la “borsa del lavoro turistico”, il rilancio delle aree interne, la risorsa mare, il turismo termale.

E c’è anche un tema di regole e della loro certezza.

Sulla concorrenza, voglio dirlo con chiarezza: i settori economici che rappresentiamo si sono già misurati con forti liberalizzazioni e non hanno davvero niente da rimproverarsi.

Per questo, ad esempio, quando chiediamo di risolvere il problema della Bolkestein – per balneari e ambulanti – non chiediamo di derogare al sacrosanto principio di concorrenza.

Chiediamo di applicare un principio di ragionevolezza, per dare certezza agli imprenditori nella continuità della propria attività.

Certezza solo per continuare a lavorare.

Il Piano di rilancio, insieme ai fondi nazionali, ha poi previsto oltre 60 miliardi di euro per l’accessibilità sostenibile del Paese.

Lo dico subito: il nostro Paese non può rinunciare ai servizi di trasporto capillare, che l’autotrasporto garantisce.

Secondo noi occorre una strategia duratura in favore dell’intermodalità, dalle autostrade del mare al combinato ferroviario, insieme a un processo di rinnovo del parco circolante e delle flotte, a cominciare dalle navi e dai traghetti.

Buone infrastrutture fanno la differenza.

Basti pensare all’alta velocità, che dev’essere “di rete” nel suo complesso, e cioè “democratica”, che riguarda anche i pendolari. Perché, altrimenti, si sfilaccia ancora di più il Paese.

D’altro canto, le buone pratiche di questa stagione difficilissima vanno mantenute: dalla sospensione dei divieti di circolazione dei mezzi pesanti, alle proroghe di validità dei documenti di circolazione, agli interventi a sostegno della competitività marittimo-portuale.

Occorre però dare piena attuazione alle misure varate da più di un anno.

I trasporti e la logistica hanno contribuito da protagonisti alla resilienza, prima, e alla ripresa, poi. Ha contribuito, nonostante nuovi ostacoli e divieti, talvolta irragionevoli, come nel caso del Brennero.

Il tema delle infrastrutture e dei trasporti richiama certo la grande sfida della transizione verde e della sostenibilità.

Cari amici, voglio ribadirlo con forza: la sostenibilità, oltre che ambientale, o è anche sociale ed economica, o non è.

Il recente pacchetto europeo costituisce il nuovo quadro di riferimento ambientale delle misure e delle politiche in materia di clima, energia, uso del suolo, trasporti e fiscalità.

Occorre dunque tenere tutto insieme.

Perché il cambiamento è profondo, coinvolge modelli di mercato e consumo, insieme a ricerca ed innovazione.

L’agenda ambientale per il nostro Paese è fitta.

Dall’energia rinnovabile a costi più contenuti all’adeguamento strutturale della filiera del riciclo, alla grande emergenza dei rischi idrogeologici di un Paese sempre più fragile.

C’è poi il tema dell’efficienza energetica. Occorre ad esempio prorogare il superbonus 110% ed allargarlo a imprese e professionisti.

Ed ancora: vanno ridotti i costi dell’energia anche con la riforma del finanziamento degli oneri generali di sistema. Rappresentano quasi 15 miliardi di euro che costituiscono un quarto del totale della bolletta elettrica.

E questo significa un costo in più per le imprese.

Il PNRR porterà – se le sapremo mettere a terra – tantissime risorse dentro l’economia reale, anche cogliendo appieno la transizione digitale.

Occorre far leva, in questo ambito, sugli ecosistemi digitali per l’innovazione, in particolare a misura di piccole e medie imprese.

La sfida della rivoluzione digitale è una questione di democrazia sostanziale, tra persone, tra generazioni, tra imprese.

Abilitare al digitale alcune nostre aziende, magari quelle più tradizionali, significa non solo accettare la sfida del cambiamento per restare sul mercato. Ma rendere migliore il mercato “da dentro”.

E per far tutto questo le imprese devono essere messe nella condizione di fare investimenti.

Investimenti, liquidità, solidità patrimoniale: è un terreno sul quale resta tanto da fare nonostante gli interventi a sostegno.

Servono i finanziamenti garantiti dal Fondo Centrale, la proroga della moratoria dei prestiti bancari e il rafforzamento del sistema dei consorzi fidi.

Perché il buon credito tiene in salute l’economia e allontana il pericolo di pratiche illegali.

C’è bisogno di sostenere la solvibilità delle imprese, anche con un programma diffuso di supporto alle operazioni di rafforzamento patrimoniale e con il coinvolgimento di banche, intermediari finanziari e investitori istituzionali.

 

Il fisco

Quanto al fisco, siamo pienamente d’accordo con il Presidente Mario Draghi: no a nuove tasse, perché in questa stagione lo Stato deve dare e non prendere.

Abbiamo bisogno di meno imposte e di imposte più semplici.

Il principio generale è che le imposte che funzionano sono poco voraci, hanno basse aliquote ed ampie basi imponibili, per non deprimere le scelte di consumo, risparmio e investimento.

Aliquote contenute e ampie basi imponibili determinano anche meno occasioni di evasione ed elusione: oltre 100 miliardi di gettito perso ogni anno rappresentano infatti un costo sociale che il Paese non può permettersi.

Il sistema fiscale italiano ha finito per generare un’alta pressione tributaria associata ad un sistema normativo farraginoso e complesso.

Il progetto di riforma dovrebbe, allora, puntare al Codice Tributario Unico e alla ricerca di un nuovo punto di equilibrio tra pressione fiscale ed equità redistributiva del prelievo.

È fondamentale abbassare la pressione fiscale sui redditi da lavoro dipendente e indipendente.

Inoltre, andrebbero potenziati i meccanismi di detassazione di utili e patrimoni destinati ad attività economica, nonché reso più flessibile l’utilizzo delle perdite di esercizio.

Quanto poi al reddito d’impresa, per una volta chiediamo la reintroduzione di una tassa: al di sopra delle soglie previste per l’applicazione della cosiddetta “flat tax”, andrebbe reintrodotta l’IRI, abrogata dalla legge di bilancio 2019.

Riteniamo, poi, che i tempi siano maturi per il superamento dell’IRAP in una forma compatibile tra finanza territoriale e abbassamento della pressione fiscale sulle imprese.

E, guardate, non è il tempo di pensare a qualche forma di patrimoniale, che sarebbe fuori contesto. A partire dalla revisione del catasto.

Resta, infine, la questione della tassazione delle multinazionali del web.

 

Le città

Abbiamo ripetuto allo sfinimento il principio “stesso mercato stesse regole”.

Certo, il recentissimo accordo, raggiunto in sede G20 sui redditi delle imprese multinazionali, rappresenta, sicuramente una “svolta storica”.

Ma la strada è solo all’inizio.

Il problema, guardate, non è più “grande” o più “piccolo”. Il punto è valorizzare chi crea ricchezza sui territori e punire chi la distrugge, non chi è più facilmente a portata di verbale.

Abbiamo già detto che usciremo diversi, da questa pandemia.

Sta già accadendo.

Basti pensare alla nuova dimensione esistenziale tra presenza fisica e quella digitale.

Basti pensare alla rivoluzione a cui è chiamato il commercio.

Basti pensare ai cambiamenti del tessuto urbano, dai paesi alle metropoli.

Proprio la nostra rappresentanza, la rappresentanza della Confcommercio, si gioca a partire dalle città e nei territori.

In questi mesi di ripartenza, le nostre imprese hanno ampliato gli spazi di socialità, rivitalizzando piazze e vie, ripensando le stesse periferie.

Sono state, certo, scelte “straordinarie” delle amministrazioni locali per far fronte all’emergenza. Rappresentano una “buona pratica”, utile per il futuro.

Perché, cari amici, non ha molto senso pagare pesanti oneri di occupazione di spazio pubblico, se alla fine questa occupazione, oltre ad avere certo un valore imprenditoriale, si traduce in un valore urbano, di decoro, vivibilità e sicurezza.

E in questo senso sono decisive le politiche e le iniziative diffuse in tema di “rigenerazione urbana”, anche sulla scorta della scelta di destinare – su questo tema – almeno l’8% delle risorse nazionali del Fondo europeo di sviluppo regionale.

E guardate, sui temi della vitalità delle città, dei centri storici, si inserisce in qualche modo anche il complicato tema dello smart working.

E lo smart working “all’italiana” – come dice il ministro Brunetta – rischia di penalizzare una lunga filiera dei nostri settori. Dalla ristorazione alle attività commerciali, dai trasporti all’immobiliare.

 

Welfare e previdenza

Siamo impegnati per valorizzare il ruolo dei professionisti, a partire dalla concreta attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

L’impresa al femminile, poi, è la cartina di tornasole di un Paese che mette a valore le sue vere potenzialità.

È necessario incentivare questa voglia di essere protagoniste delle comunità, con misure dedicate, dall’accesso al credito, alla formazione, fino ad un sistema completo di welfare in grado di migliorare la condivisione delle responsabilità familiari e più in generale dei servizi di cura.

I nostri sistemi di welfare – messi sotto stress da questa pandemia – sono fondamentali per abilitare il lavoro femminile, in particolare quello autonomo.

Proprio nel corso dell’emergenza, in generale, sono stati rilevanti gli interventi a sostegno del sistema previdenziale per imprenditori, lavoratori autonomi, professionisti.

Bene le misure relative all’esonero contributivo.

Chiediamo anche che venga riconsiderato l’aumento di aliquota previsto, a decorrere dal 2022, per gli indennizzi per la cessazione delle attività commerciali.

Altrimenti, ancora una volta, con una mano si dà e con l’altra si toglie.

Dal punto di vista del futuro complessivo del sistema previdenziale, va salvaguardato il patto tra generazioni.

Servono, dunque, correttivi per uscire dall’emergenza e che siano in grado di assicurare stabilità e certezze ad aziende e lavoratori.

E il tema del welfare è strutturale: mette insieme ammortizzatori sociali e politiche attive.

Sul versante delle politiche attive, cura e rafforzamento delle competenze sono determinanti al pari della qualità di un servizio per l’impiego fondato sulla collaborazione di pubblico e privato.

Sono principi ampiamente condivisi. Vanno rapidamente messi a terra e ne va fatto tesoro anche ai fini di una necessaria riforma del reddito di cittadinanza.

Per quel che riguarda la Cassa integrazione, si sono ipotizzate nelle scorse settimane, altre mensilità senza oneri, fino alla fine dello stato di emergenza.

Bene, va fatto.

Allo stesso modo, vanno assicurate le risorse per la gestione della quarantena COVID come malattia.

E serve, se posso dire, un impegno sostanziale sulla sicurezza sul lavoro con un approccio non formalistico.

E una cosa la voglio dire sul finanziamento degli ammortizzatori sociali, che, sostenibili e inclusivi, devono rispondere ad una regola molto semplice: chi più li utilizza, più vi contribuisce.

 

Conclusioni

Gentili ministri, cari ospiti, cari amici della Confcommercio, questa è forse la relazione più difficile.

E non perché dovevamo condensare due anni in uno.

Ma perché questa pandemia ci ha mostrato la drammatica importanza del quotidiano e, allo stesso tempo, ci ha forzato a guardare oltre la contingenza.

E comunque credo sia giusto non dimenticare. Non dimenticare il senso profondo di comunità che hanno dimostrato i nostri connazionali.

Ne è venuto fuori lo “spirito di una nazione”, che ha superato tante retoriche.

Per questo siamo ottimisti.

Vogliamo ringraziare gli amministratori della cosa pubblica. I partiti, certo, nella nostra ferma convinzione del primato della politica, verso la quale siamo abituati ad essere un interlocutore attento, propositivo e abituato a giudicare senza pregiudizi.

Ringraziamo le donne e gli uomini delle Istituzioni, del Governo, delle Regioni, dei Comuni e degli Enti Locali.

Hanno interpretato un ruolo di sintesi delle comunità di riferimento, di fronte a mesi drammatici, nei quali ogni decisione, ogni provvedimento, ogni comunicazione ha richiesto un robusto supplemento di responsabilità e di senso dello Stato.

E come non pensare alla testimonianza straordinaria del Presidente Mattarella, che è stata guida nei momenti più difficili del Paese, con l’autorevolezza e il coraggio delle parole, dei gesti e delle scelte.

Grazie Presidente, grazie da parte del Paese e dei nostri imprenditori.

Dobbiamo ancora ringraziare le donne e gli uomini della sanità che hanno affrontato, e continuano a farlo, l’emergenza della pandemia con tante, tantissime piccole e grandi storie di quotidiano eroismo.

E con loro le donne e gli uomini della protezione civile, delle forze armate, del no profit.

Sono il ritratto di un Paese solidale, generoso, appassionato.

Infine, vogliamo ringraziare quei cinque milioni di imprenditori, piccoli e medi in particolare, che hanno continuato a fare la propria parte ed anche qualcosa di più.

Un ceto medio operoso, che ha attinto dalla forza interiore, dalla tenuta delle proprie famiglie, dai risparmi personali il sostentamento di aziende ed occupazione.

Infine, ringrazio, ancora una volta tutti voi, donne e uomini della Confcommercio, che avete dimostrato come imprenditori prestati alla vita associativa una prossimità infaticabile accanto alle imprese, con passione civile e sociale, e con la quotidiana testimonianza di chi dimostra di “essere parte ma sentirsi tutto”.

Autorità, gentili ospiti, cari amici della Confcommercio,

Ognuno di noi si è chiesto in questi interminabili mesi se sarebbe stato possibile fare qualcosa di più.

Ciascuno si è chiesto se il proprio impegno fosse all’altezza di questa sfida storica.

Forse, nessuno di noi, in questa fase drammatica, si è sentito fino in fondo adeguato.

Ma, proprio la consapevolezza dei nostri limiti ci ha fatto rimanere in ascolto, ci ha fatto ripensare al senso della rappresentanza, ci ha fatto ritrovare una comunità d’intenti.

Insieme, abbiamo affrontato l’emergenza più drammatica.

Insieme, abbiamo cercato la strada comune per resistere.

Insieme, abbiamo sostenuto le imprese e le famiglie.

Insieme, stiamo ricostruendo un futuro per tutti.

Insieme siamo la Confcommercio, la più grande rappresentanza d’impresa dell’Europa.

Viva la Confcommercio, viva l’Italia.

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