Intervento di Renato Borghi agli Stati Generali Confcommercio "Anzitutto l'Italia"

Intervento di Renato Borghi agli Stati Generali Confcommercio "Anzitutto l'Italia"

Vice Presidente Delegato per l'Organizzazione e Presidente Federazione Moda Italia

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25 ottobre 2011

Caro Presidente,
grazie  per aver voluto  questi stati generali, importante occasione di confronto che ci dà la possibilità di far sentire le nostre voci, le voci delle categorie che chiedono a chi ci governa un ineludibile  cambiamento di rotta.

Le voci di chi continua responsabilmente e testardamente a tenere alzata quella che qui a Milano chiamiamo “clér”, garantendo reddito ed occupazione.

Di quelli che non ce la fanno più e vogliono gridare la loro aspirazione e il loro diritto a continuare a fare impresa.

Ci hai chiamati, qui, oggi per evidenziare quelli che sono i dati, il trend dei nostri settori insomma in che modo e con quale forza la crisi picchia sulle nostre attività.

Una crisi che, purtroppo, per il dettaglio indipendente di moda è conclamata da alcuni anni, vantando una sorta di primogenitura che è stata certificata dalla So.Se (Società degli Studi di Settore) e dall’Agenzia delle Entrate.

A seguito della registrazione degli andamenti negativi del settore negli anni precedenti, l’Agenzia delle Entrate, infatti, ha riconosciuto per l’anno fiscale 2010 l’applicazione di correttivi congiunturali di abbattimento dei ricavi presunti a favore della sola nostra categoria per lo studio del codice VM05U (Tessile, Abbigliamento, Calzature), con il riconoscimento formale dello stato di crisi.

Ecco quindi Presidente che, in pieno stile Stati Generali, vengo a rappresentare anche con l’aiuto di alcuni grafici il nostro cahier de doleance.

Premetto, a scanso di equivoci prima di vedere nel dettaglio il trend dei consumi, che non dobbiamo farci condizionare  o confondere dai dati positivi diffusi da ALTAGAMMA  qualche giorno fa in quanto si tratta di analisi effettuate su prodotti esclusivamente destinati al lusso e relativi all'export.

I consumi e il dettaglio tradizionale

È da qualche tempo che rileviamo una certa difficoltà del settore, già prima del 2008. Difficoltà probabilmente dovuta al rapido cambiamento degli stili di vita degli italiani ed alla diversificazione dei consumi.

Ma è l’anno 2009, l’annus horribilis, il peggiore degli ultimi quindici, che ha segnato una drastica caduta (-6%) delle vendite per i nostri piccoli e medi negozi tradizionali (istogramma blu). Un tonfo!

Tale dato risulta ancor più pesante se si osserva che nell’anno 2009 si registra un -6% per il dettaglio indipendente (istogramma blu) ed un -1,8% (istogramma giallo) che misura le vendite totali (dettaglio compreso), la differenza algebrica di 4,2 punti percentuali rappresenta l’incremento registrato da parte di tutti i canali commerciali alternativi al nostro, quindi catene, Factory Outlet Centre e quant’altro.

Con l’anno 2010 ed i primi sei mesi del 2011, si conferma una negatività nelle vendite, meno accentuata che negli anni precedenti, ma a carico di aziende già pesantemente fiaccate e queste minori negatività sono da attribuirsi in gran parte a ''consumi di sostituzione'' di un guardaroba che non può invecchiare all'infinito.

Da questi dati, quindi, emerge anche un ulteriore aspetto che deve essere valutato con attenzione nell’immediato futuro: quello sulle quote di mercato per canale di vendita (dettaglio tradizionale, catene, GDO e ambulanti ai quali si aggiungono quelli definiti “low cost” - Factory Outlet Center e spacci industriali).

La quota del dettaglio indipendente, quello tradizionale, si attesta al 38%. Una quota che sembra apparire sempre più una sorta di “zoccolo duro” oltre al quale non si dovrebbero verificare altre cadute come quelle che si sono verificate nel giro di pochi anni dal 2003 al 2008.

Una buona tenuta del canale indipendente italiano, nonostante le forme concorrenziali, che si attesta ad un livello abbondantemente più elevato di quello degli altri quattro importanti paesi Partners europei: Inghilterra 8%, Francia 18%, Germania 20% e Spagna 26%.

Dobbiamo, quindi, continuare a difendere il valore del pluralismo distributivo che da sempre, per cultura e tradizione, distingue il nostro Paese e ne fa un’eccellenza a livello internazionale. Un pluralismo distributivo capace di garantire un’equilibrata presenza tra grandi e piccoli operatori per soddisfare le variegate esigenze di consumatori diversi.

I Factory Outlet Center

La crisi si è aggravata a cominciare dall’anno 2000 anche con il dilagare di nuovi canali di vendita non ben regolamentati come i Factory Outlet Center a cominciare dall’apertura del primo factory outlet in Italia e cioè quello di Serravalle Scrivia con 44 mila mq. di superficie commerciale destinati esclusivamente all’abbigliamento.

Oggi i Factory Outlet Center hanno raggiunto il pericoloso numero di trenta unità già operative che, con le cinque altre di prossima apertura, raggiungono la metratura globale di 800 mila mq.

Questo canale – grazie alla segnalazione di Federazione Moda Italia – è stato oggetto di attenzione da parte dell’Agenzia delle Entrate, che ne ha sancito l’effetto dannoso prevedendo, negli Studi di settore, un coefficiente di abbattimento dei ricavi presunti dei negozi tradizionali che cresce man mano con la vicinanza al punto focale dell’Outlet.

È per questo motivo, che Federazione Moda Italia ha presentato un Disegno di Legge per la loro regolamentazione e vogliamo riprenderlo e portarlo all’attenzione delle Camere con l'appoggio decisivo di  Confcommercio – Imprese per l’Italia.

Il sentiment degli italiani

Caro Presidente, ho illustrato finora i dati delle vendite  rappresentando uno scenario sicuramente negativo ma purtroppo a guardare i dati per il futuro c'è da preoccuparsi ancora di più.

Il quadro ora “quantificato” è infatti ancor più drammatico se si guarda al “sentiment” – cioè le aspettative e la fiducia – degli italiani analizzato da Astra Ricerche per conto di Federazione Moda Italia.

Secondo questa recentissima indagine (che abbiamo presentato nella nostra Convention a Salerno lo scorso 16 ottobre 2011), nella classifica delle categorie di prodotti per le quali gli italiani spenderanno nei prossimi 12 mesi meno che nei precedenti, al primo posto c’è l’abbigliamento con una previsione di riduzione di spesa del 44,4%. In terza e quarta posizione si attestano altre categorie di beni da noi rappresentate:  calzature, borse ed altri accessori (con una previsione di riduzione di spesa del 38,5%) ed il tessile casa (con una previsione di riduzione del 36,9%).

Desta poi preoccupazione il fatto che il sentiment degli italiani è calato, in poco più di un anno e mezzo, di 22 punti percentuali, dal 63% al 41% rilevato nel settembre 2011.

La rilevazione tra luglio e settembre 2011 ha visto, poi, la perdita di 10 punti percentuali del sentiment a seguito di una manovra d’estate che ha – almeno a livello mediatico – creato preoccupazioni a tutti gli italiani (toccando interessi trasversali, dall’IVA all’IRPEF, dalle pensioni al patrimonio, dal riscatto della laurea a quello dell’anno del militare, dagli stipendi degli statali alle imposte sulle transazioni, ecc., fino ad arrivare addirittura a proporre in via sperimentale la totale liberalizzazione degli orari .

Contraffazione e abusivismo

Concludo, caro Carluccio, con un altro dato tragicamente rilevante per il settore della moda: sono oltre 3 miliardi di euro le perdite che i nostri imprenditori subiscono a causa del fenomeno criminale della contraffazione e dell'abusivismo, senza contare le ricadute per l’Italia in termini evasione totale e globale di tasse e imposte.

Ecco quindi le azioni che Federazione Moda Italia si pone come  fondamentali priorità nell’immediato futuro: la manutenzione degli studi di settore, una proposta di legge sugli outlet ed una regolamentazione per i temporary shop, la riforma della normativa sulle locazioni commerciali per contrastare il caro affitti e tutelare la continuità aziendale e, infine come già richiamato, la strenua lotta ad abusivismo e contraffazione .

Grazie ancora per questa opportunità.

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