Il processo di risanamento delle finanze pubbliche nei paesi europei

Il processo di risanamento delle finanze pubbliche nei paesi europei

Dall’inizio degli anni ’90 le economie europee hanno sviluppato tassi di crescita decisamente contenuti, se confrontati con le dinamiche riscontrate nel decennio precedente e con lo sviluppo sperimentato dall’economia americana, nei cui confronti si è evidenziato un ampliamento del gap già riscontrato negli anni ‘80.

Tab. 1 – TASSI DI CRESCITA REALI DEL PIL

  1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999
AUSTRIA 4,6 3,4 1,3 0,5 2,4 1,7 2,0 1,2 2,9 2,3
BELGIO 2,7 2,0 1,6 -1,5 3,0 2,5 1,0 3,5 2,7 2,4
GERMANIA 5,7 5,1 2,2 -1,1 2,4 1,7 0,8 1,5 2,2 1,5
FINLANDIA 0,0 -6,3 -3,3 -1,2 4,0 3,8 4,0 6,3 5,0 3,5
FRANCIA 2,7 1,0 1,5 -0,9 2,1 1,7 1,1 2,0 3,2 2,8
IRLANDA 7,6 1,9 3,3 2,6 5,8 9,5 7,7 10,7 8,9 8,3
ITALIA 2,0 1,4 0,8 -0,9 2,2 2,9 1,1 1,8 1,5 1,4
LUSSEMBURGO 2,2 6,2 4,5 8,7 4,2 3,8 2,9 7,3 5,0 5,0
OLANDA 4,1 2,3 2,0 0,8 3,2 2,3 3,0 3,8 3,7 3,5
SPAGNA 3,7 2,3 0,7 -1,2 2,3 2,7 2,3 3,8 4,0 3,8
PORTOGALLO 4,4 2,3 2,5 -1,1 2,2 2,9 3,2 3,5 3,5 2,9
EUR 11 (*) 3,6 2,4 1,5 -0,9 2,4 2,2 1,4 2,3 2,7 2,3
DANIMARCA 1,0 1,1 0,6 0,0 5,5 2,8 2,5 3,1 2,5 1,6
GRECIA 0,0 3,1 0,7 -1,6 2,0 2,1 2,4 3,4 3,7 3,5
SVEZIA 1,4 -1,1 -1,4 -2,2 4,1 3,7 1,1 2,0 3,0 3,8
REGNO UNITO 0,6 -1,5 0,1 2,3 4,4 2,8 2,6 3,5 2,2 2,1
EUR 15 (*) 3,0 1,7 1,1 -0,5 2,8 2,3 1,6 2,5 2,6 2,3
STATI UNITI 1,2 -0,9 3,1 2,7 4,0 2,7 3,6 4,2 4,3 4,2
(*) ESCLUSO IL LUSSEMBURGO, DAL 1991 GERMANIA UNITA
FONTE: PAESI UE COMMISSIONE EUROPEA, (MAGGIO 2000), USA FMI

Se parte della minor crescita è imputabile a fattori esogeni, come il rallentamento della domanda mondiale e la disgregazione del blocco sovietico – con conseguenti crisi nei paesi dell’area che si sono riflesse in misura più consistente sulle economie europee -, un contributo negativo è derivato dal processo di riaggiustamento delle finanze pubbliche attuato per raggiungere i parametri fissati a Maastricht.

All’inizio degli anni ’90 le finanze pubbliche dei diversi Paesi europei evidenziavano una situazione decisamente più negativa rispetto all’inizio del decennio precedente, conseguenza delle politiche espansive attuate negli anni ’80 che avevano portato ad un aumento dell’incidenza della spesa corrente sul PIL di circa 4 punti percentuali.

Tab. 2 – DEBITO NEI PAESI EUROPEI

in rapporto al PIL (*)

  1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999
AUSTRIA 56,8 57,0 56,9 61,4 64,2 68,0 68,3 63,9 63,5 64,6
BELGIO 124,7 126,5 127,9 134,6 132,7 129,8 128,3 123,0 117,4 114,4
GERMANIA 43,8 40,3 43,0 47,0 49,3 57,0 59,8 60,9 60,7 61,0
FINLANDIA 14,3 22,7 40,7 56,8 58,3 56,6 57,1 54,1 49,0 47,1
FRANCIA 34,9 35,2 39,0 44,3 47,6 51,9 57,1 59,0 59,3 58,6
IRLANDA 92,6 92,4 90,0 94,0 88,1 80,8 74,1 65,3 55,6 52,4
ITALIA 97,3 100,6 107,3 118,1 123,8 123,2 122,2 119,8 116,3 114,9
LUSSEMBURGO 4,5 4,0 4,8 5,8 5,4 5,6 6,2 6,0 6,4 6,2
OLANDA 75,6 75,7 76,4 77,6 74,0 75,5 75,3 70,3 67,0 63,7
SPAGNA 43,2 43,9 46,3 57,9 60,4 63,2 68,1 66,7 64,9 63,5
PORTOGALLO 64,2 66,1 58,8 62,0 62,7 64,7 63,6 60,3 56,5 56,7
EUR 11 (**) 58,1 57,9 61,2 66,1 68,4 71,6 74,9 74,7 73,1 72,3
DANIMARCA 57,7 62,3 66,4 78,0 73,5 69,3 65,1 61,4 55,8 52,5
GRECIA 89,0 91,2 97,5 110,2 107,9 108,7 111,3 108,5 105,4 104,4
SVEZIA 42,1 51,2 64,8 75,1 77,7 76,6 76,0 75,0 72,4 65,5
REGNO UNITO 35,0 35,1 41,1 47,8 49,8 52,0 52,7 50,9 48,4 45,9
EUR 15 (**) 54,5 54,9 59,1 64,7 66,8 69,6 72,2 71,1 69,1 67,7
(*) DAL 1996 NUOVA SERIE CALCOLATA SECONDO IL SEC 1995
(**) ESCLUSO IL LUSSEMBURGO, DAL 1991 GERMANIA UNITA
FONTE: COMMISSIONE EUROPEA MAGGIO 2000

Situazione che ha comportato in quasi tutti i Paesi ingenti sforzi per riportare gli indicatori di finanza pubblica entro i parametri-obiettivo; processo di risanamento reso più difficile dalla presenza di un contesto macro – economico meno favorevole rispetto a quanto ipotizzato.

Il sostanziale risanamento delle finanze pubbliche si è concretizzato in un deciso miglioramento del rapporto deficit/PIL, passato dal 4,2% del 1990 all’1,2% del 1999, evoluzione che ha permesso una attenuazione delle tendenze espansive del debito – raddoppiato negli anni ’80 -, passato dal 58,1% del 1990 al 72,3% del 1999.

Tab. 3 – DEFICIT NEI PAESI EUROPEI

in rapporto al PIL (*)

  1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999
AUSTRIA -2,4 -3,0 -1,9 -4,2 -4,9 -5,1 -3,8 -1,9 -2,5 -2,0
BELGIO -5,4 -6,2 -6,9 -7,2 -4,8 -4,2 -3,7 -2,0 -1,0 -0,9
GERMANIA -2,1 -3,2 -2,8 -3,5 -2,6 -3,3 -3,4 -2,6 -1,7 -1,1
FINLANDIA 5,3 -1,5 -5,7 -7,9 -6,1 -3,7 -3,2 -1,5 1,3 2,3
FRANCIA -1,5 -2,0 -3,9 -5,6 -5,7 -5,6 -4,2 -3,0 -2,7 -1,8
IRLANDA -2,2 -2,3 -2,4 -2,3 -1,6 -2,5 -0,6 0,8 2,1 2,0
ITALIA -11,0 -10,0 -9,5 -9,4 -9,1 -7,6 -7,1 -2,7 -2,8 -1,9
LUSSEMBURGO 4,8 1,8 0,7 1,6 2,6 2,2 2,7 3,6 3,3 2,4
OLANDA -4,9 -2,8 -3,8 -3,1 -3,6 -4,2 -1,8 -1,2 -0,8 0,5
SPAGNA -4,1 -4,3 -4,0 -6,7 -6,1 -7,0 -5,0 -3,2 -2,6 -1,1
PORTOGALLO -5,0 -5,9 -2,9 -6,0 -5,9 -4,2 -3,8 -2,6 -2,1 -2,0
EUR 11 (**) -4,2 -4,5 -4,7 -5,5 -5,0 -5,0 -4,3 -2,6 -2,1 -1,2
DANIMARCA -1,0 -2,4 -2,2 -2,8 -2,6 -2,3 -1,0 0,5 1,2 3,0
GRECIA -15,9 -11,4 -12,6 -13,6 -9,9 -10,2 -7,8 -4,6 -3,1 -1,6
SVEZIA 4,1 -1,1 -7,5 -11,9 -9,9 -7,9 -3,4 -2,0 1,9 1,9
REGNO UNITO -0,9 -2,3 -6,1 -7,8 -6,7 -5,8 -4,4 -2,0 0,3 1,2
EUR 15 (**) -3,5 -4,1 -5,0 -6,0 -5,4 -5,2 -4,2 -2,5 -1,5 -0,6
(*) DAL 1995 NUOVA SERIE CALCOLATA SECONDO IL SEC 1995
(**) ESCLUSO IL LUSSEMBURGO, DAL 1991 GERMANIA UNITA
FONTE: COMMISSIONE EUROPEA MAGGIO 2000

Per raggiungere questi obiettivi quasi tutti i Paesi hanno fatto ricorso ad un consistente aumento delle entrate – la spesa corrente al netto degli interessi ha mostrato nella media della UEM tra il ’90 ed il ’99 una crescita di quasi mezzo punto percentuale rispetto al PIL -, portando la pressione fiscale, per la media dei paesi aderenti all’euro, dal 41,4% del ‘90 al 43,9% del ‘99.

Evoluzione determinata, se si guarda alla media della UEM, in larga misura dall’innalzamento della pressione fiscale sul lavoro (tra il 1990 ed il 1997 la quota di entrate derivante dai contributi sociali rispetto al PIL è aumentata di oltre un punto percentuale).

Il costo delle politiche perseguite, in un contesto di rallentamento ciclico, è stato particolarmente elevato:

  • il PIL dell’area è aumentato ad un tasso medio annuo di poco superiore al 2%, (contro il 3% degli Stati Uniti);
  • tra il 1991 ed il 1994 nella sola area dell’euro si sono persi oltre 4 milioni di posti di lavoro e solo alla fine del 1998 si è tornati sui livelli di inizio periodo.

Tab. 4 – PRESSIONE FISCALE (*)

  1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999
AUSTRIA 42,4 43,0 44,2 45,2 44,0 44,8 45,8 46,8 46,9 46,6
BELGIO 46,8 46,8 47,0 47,9 49,1 46,9 47,4 47,9 48,1 47,9
GERMANIA 40,6 40,5 41,1 41,7 42,1 41,9 42,7 43,0 42,9 43,9
FINLANDIA 45,8 46,6 46,5 44,9 47,2 46,6 47,4 46,7 46,7 46,5
FRANCIA 45,3 45,3 45,0 45,6 46,0 45,1 46,4 46,4 46,5 47,4
IRLANDA 33,6 34,1 34,5 34,6 35,6 35,2 35,2 34,6 33,8 34,5
ITALIA 40,0 40,9 41,5 44,2 42,1 42,2 42,8 44,4 43,2 43,7
LUSSEMBURGO           43,7 44,6 43,4 42,9 42,4
OLANDA 42,7 45,0 44,8 45,8 43,6 41,5 41,7 41,5 41,2 42,4
SPAGNA 35,1 35,5 37,3 36,4 36,0 34,0 34,4 34,9 35,2 35,8
PORTOGALLO 32,4 33,7 36,1 35,1 35,2 34,1 35,1 35,2 35,8 38,4
EUR 11 (**) 41,4 41,6 42,1 43,0 42,8 42,2 42,9 43,4 43,1 43,9
DANIMARCA 47,6 47,5 48,0 49,5 50,7 50,2 50,7 50,9 50,7 51,6
GRECIA 31,0 31,4 31,9 32,6 33,4 34,4 34,8 35,9 38,2 38,6
SVEZIA 54,2 51,3 49,8 49,1 48,5 49,3 53,8 53,4 54,9 55,1
REGNO UNITO 33,5 33,3 32,2 31,5 32,1 36,8 36,6 37,0 38,4 38,4
EUR 15 (**) 40,7 40,8 41,0 41,6 41,5 41,8 42,5 42,7 42,8 43,4
(*) DAL 1995 NUOVA SERIE CALCOLATA SECONDO IL SEC 1995
(**) ESCLUSO IL LUSSEMBURGO, DAL 1991 GERMANIA UNITA
FONTE: COMMISSIONE EUROPEA, MAGGIO 2000

Prospettive nel medio Periodo

La presenza di un quadro di finanza pubblica che, se visto nel suo complesso, appare decisamente migliore rispetto all’inizio dello scorso decennio e di un contesto internazionale più positivo dovrebbero portare i Paesi europei a cambiamenti nelle politiche economiche, puntando su di una crescita più sostenuta del mercato del lavoro così fortemente penalizzato negli ultimi anni.

Tab. 5 – FONDAMENTALI DI FINANZA PUBBLICA

in rapporto al PIL

  PIL DEBITO DEFICIT PRESSIONE FISCALE
  2000 2001 2000 2001 2000 2001 2000 2001
AUSTRIA 3,2 3,0 64,0 63,6 -1,8 -2,0 46,0 45,4
BELGIO 3,5 3,3 110,0 105,2 -0,5 -0,2 47,3 46,7
GERMANIA 2,9 2,9 60,7 59,5 -1,0 -1,4 43,6 42,2
FINLANDIA 4,9 4,2 42,7 38,0 4,1 5,1 46,5 46,2
FRANCIA 3,7 3,3 58,2 57,1 -1,6 -1,2 46,5 46,0
IRLANDA 7,5 6,2 45,2 38,1 1,7 2,7 33,4 32,9
ITALIA 2,7 2,7 110,8 106,6 -1,5 -0,8 43,0 42,7
LUSSEMBURGO 5,6 5,7 5,8 5,3 2,6 2,7 41,9 41,2
OLANDA 4,1 3,7 58,7 54,5 1,0 0,4 41,8 39,7
SPAGNA 3,8 3,4 62,3 59,9 -0,7 -0,4 35,9 36,0
PORTOGALLO 3,6 3,5 57,0 55,1 -1,5 -1,5 39,4 39,9
EUR 11 (*) 3,4 3,1 70,5 68,2 -0,9 -0,8 43,3 42,6
DANIMARCA 2,0 2,1 49,3 46,3 2,5 2,5 50,7 50,3
GRECIA 3,9 4,0 103,8 99,7 -1,3 -0,6 38,3 38,1
SVEZIA 3,9 3,3 61,3 55,4 2,4 2,9 53,3 52,6
REGNO UNITO 3,3 3,1 42,4 39,4 0,9 0,7 38,0 37,8
EUR 15 (*) 3,4 3,1 65,1 62,5 -0,4 -0,3 42,7 42,1
(*) ESCLUSO IL LUSSEMBURGO
FONTE: COMMISSIONE EUROPEA, MAGGIO 2000

Per raggiungere questo obiettivo è necessario procedere verso una politica di stimolo della domanda riducendo le quote di contribuzione ed aumentando la flessibilità del mercato del lavoro.

Si sottolinea, comunque, come in considerazione del fatto che l’Europa, intesa come area, è una economia sostanzialmente chiusa, in quanto la dinamica con gli scambi con i Paesi extra-UE ha una bassa influenza sulla crescita, per realizzare tassi di sviluppo più sostenuti sia necessario puntare sulle variabili endogene, promuovendo un aumento più sensibile della domanda interna, che può avvenire solo con una generalizzata tendenza alla riduzione della pressione fiscale.

Politica che può accompagnarsi solo ad una diminuzione delle spese delle Pubbliche amministrazioni se non si vuole tornare in situazioni di peggioramento delle finanze pubbliche.

Il processo di risanamento in Italia

Per l’Italia, che partiva da una situazione relativa di finanza pubblica decisamente più negativa – il rapporto deficit /PIL è stato superiore al 9% fino al 1994 ed il rapporto debito/PIL ha toccato nello stesso anno il punto di massima del 123,8% -, il processo di risanamento, ancora non pienamente compiuto, ha comportato uno sforzo finanziario decisamente più intenso rispetto a quanto registrato negli altri Paesi.

Le difficoltà registrate nel ridurre la spesa corrente, in particolare quella diversa dagli interessi che ha contribuito positivamente solo dal 1997, hanno comportato un innalzamento delle entrate più sostenuto rispetto a quanto realizzato nell’area dell’euro. Evoluzione che ha comportato un aumento della pressione fiscale prossimo ai 4 punti percentuali, decisamente più elevato rispetto all’incremento medio nella UEM (2,5 punti).

In tale ambito si sottolinea come l’Italia, inversamente da altri Paesi abbia attuato un innalzamento della pressione fiscale su tutte le componenti delle entrate correnti (la riduzione dell’incidenza dei contributi sociali sul PIL registrata negli ultimi due anni è imputabile oltre che all’eliminazione di alcuni oneri impropri soprattutto allo spostamento dei contributi sanitari su altre forme di fiscalità).

Tab. 6 – ENTRATE E USCITE DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

in rapporto al PIL

  ITALIA UEM (*)
  1990 1997 1999 1990 1997 1999
ENTRATE CORRENTI 42,8 47,2 46,4 44,4 46,3 46,7
IMPOSTE DIRETTE 14,3 16,1 15,1 11,9 12,2 12,9
IMPOSTE INDIRETTE 11,3 12,5 15,3 12,7 12,9 13,8
CONTRIBUTI SOCIALI 14,3 15,4 12,7 16,4 17,6 16,6
USCITE CORRENTI 48,5 47,3 44,9 44,4 46,1 44,7
INTERESSI 9,4 9,4 6,9 4,8 5,1 4,3
(*) ESCLUSO IL LUSSEMBURGO, DAL 1991 GERMANIA UNITA
FONTE: COMMISSIONE EUROPEA, MAGGIO 2000

In particolare l’incidenza delle imposte indirette sul PIL è salita dall’11,3% del ’90 al 15,3% del 1999, evoluzione che potrebbe aver contribuito a contenere la dinamica dei consumi italiana anche negli ultimi anni nei quali questa componente è risultata decisamente più sostenuta negli altri Paesi.

Queste misure in un contesto di sviluppo contenuto dell’economia europea hanno portato ad un deciso rallentamento nei tassi di crescita dell’economia italiana che ha evidenziato negli anni del risanamento un incremento del PIL dell’1,3% medio annuo, circa un punto in meno rispetto alla media europea.

Pur con tutte le difficoltà ed i limiti che presenta l’analisi dei costi delle misure attuate per il processo di riaggiustamento dei conti pubblici secondo uno studio controfattuale condotto dal CER, il costo cumulato derivante dal processo di aggiustamento nel periodo 1993-1998 è quantificabile in:

  • una crescita del PIL inferiore di 16 punti percentuali;
  • un milione di occupati in meno nel 1998, con un tasso di disoccupazione più elevato di circa due punti percentuali;
  • minore crescita dei consumi inferiori di circa il 17%;
  • minore crescita degli investimenti di quasi il 37%.

D’altra parte il permanere di politiche meno stringenti avrebbe portato nel 1998:

  • ad un rapporto deficit/PIL del 20% (contro il 2,8% realizzato), derivante dall’aumento considerevole della spesa per interessi, conseguente al più elevato livello di inflazione;
  • ad un netto peggioramento dei conti con l’estero,

situazione che di fatto avrebbe portato a interventi volti al riaggiustamento in presenza di condizioni ancora più negative e avendo rinunciato all’ingresso nella moneta unica.

Le prospettive per l’Italia

La scelta effettuata all’inizio degli anni ‘90 e le politiche perseguite nell’ultimo decennio, incentrate in larga misura su di un aumento delle entrate, non possono rappresentare una costante.

Il problema di coniugare una riduzione della pressione fiscale con il proseguimento del processo di risanamento della finanza pubblica assume particolare rilievo per l’Italia, che già ha registrato in tutto il passato decennio una crescita inferiore di circa un punto percentuale rispetto alla media Europea e per la quale le prospettive di sviluppo dei prossimi anni segnalano ancora il permanere di un differenziale.

Le ipotesi di riduzione della pressione fiscale (1 punto percentuale tra il 2000 ed il 2001) appaiono insufficienti per innescare i meccanismi di crescita del’occupazione e del prodotto anche alla luce delle iniziative in atto negli altri Paesi che dovrebbero portare ad una riduzione del carico fiscale più sostenuta.

Situazione che potrebbe portare ad una ulteriore perdita di competitività del Paese che rischierebbe di essere penalizzato in termini di investimenti (con una minor quota di investimenti diretti da parte di imprese europee nel nostro Paese ed un aumento di investimenti italiani negli altri Paesi dell’area dell’euro), e di esportazioni.

Risultati decisamente più soddisfacenti si otterrebbero diminuendo la pressione fiscale di circa mezzo punto in più rispetto alle ipotesi effettuate dal Governo.

È evidente, in un contesto ancora non particolarmente agevole di finanza pubblica, sulla quale non bisogna dimenticare che dovrebbero sentirsi a breve gli effetti dell’aumento del costo del denaro, che per realizzare una riduzione più consistente e rapida della pressione fiscale è necessario agire dal lato delle spese correnti diverse dagli interessi.

Evoluzione che potrebbe tra l’altro favorire una ripresa più sostenuta degli investimenti pubblici, in particolare nel mezzogiorno, la cui dinamica negativa ha contribuito non solo a determinare una minor crescita complessiva del Paese, ma anche ad aumentare il gap competitivo con gli altri Paesi.

Per avviare questa nuova fase è comunque prioritario portare a compimento il processo di riforma sia economico, che istituzionale del Paese e rendere realmente strutturale il risanamento finanziario.

Se motivazioni, anche sociali, hanno portato negli anni più recenti ad interventi parziali sulla spesa, è necessario, per liberare risorse da destinare ad investimenti, agire su quelle componenti della spesa corrente diverse dagli interessi, i cui risultati in termini contabili, se pure non immediati, possono garantire gli equilibri nel lungo periodo:

  • contenimento della spesa per consumi intermedi che passi inevitabilmente per una reale riforma della P.A. (la “Bassanini” non ha ancora prodotto gli effetti sperati);
  • rispetto da parte degli Enti Locali del Patto di stabilità interno con un più efficace controllo delle spese;
  • riforma del Welfare.

Sotto quest’ultimo aspetto si sottolinea come il miglioramento economico e la consapevolezza che la fase più difficile per il riequilibrio finanziario è superata, produrrebbero effetti sui consumi più contenuti rispetto a quanto si sarebbe registrato se analoghe misure fossero state prese negli anni passati.

Contemporaneamente debbono essere avviate misure volte a favore nuova occupazione ed investimenti:

  • riforma del mercato del lavoro, con interventi volti a favorire una più elevata flessibilità ed una riduzione dei costi, con provvedimenti comunque diversi da quelli di tipo Lavori Socialmente Utili o Borse di lavoro che oltre a gravare sulle finanze pubbliche portano in molte aree all’emergere di tensioni sociali;
  • diminuzione del carico fiscale che passi oltre che attraverso una diminuzione della fiscalità diretta, anche attraverso una incentivazione degli investimenti anche per le PMI, un’accelerazione e un potenziamento della super DIT, una riduzione dell’onere per l’IRAP (in particolare per il costo del lavoro), una riduzione del carico fiscale nei settori dove si realizza un consistente recupero di base imponibile, una più efficace lotta all’abusivismo.

Un'ipotesi di riduzione della pressione fiscale

L’incapacità del sistema produttivo italiano, in assenza di fattori esogeni (incentivi alla rottamazione delle auto, domanda estera su livelli elevati), di riavviare una fase sostenuta di sviluppo dopo la seria recessione del 1993, ha evidenziato come sia ormai ineludibile un ridimensionamento della pressione fiscale sulle imprese e le famiglie.

Lo stesso Governatore Fazio ha più volte ribadito, allineandosi sulle posizioni delle organizzazioni imprenditoriali, che occorre adottare politiche di stimolo dal lato dell’offerta e quindi ridurre il carico contributivo sul lavoro, in modo da creare un clima favorevole agli investimenti privati tale da irrobustire il ciclo economico e riassorbire gradualmente gli elevati livelli di disoccupazione, concentrati nel Mezzogiorno.

Naturalmente, esiste un preciso vincolo rappresentato dalla esigenza di mantenere «virtuosa» la situazione dei conti pubblici: l’ingresso nell’UEM con il primo gruppo di Paesi ed il rispetto del Programma di Stabilità 1999 impongono all’Italia di azzerare l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche entro il 2003 e di far convergere il rapporto debito/PIL verso la soglia del 100%.

Sebbene il rigore della finanza pubblica rappresenti ormai l’ambito entro il quale debbono muoversi le scelte del policy maker, è indubbio che il convergere dei tassi d’interesse interni ed esteri verso livelli fra i più bassi dal dopoguerra costituisca un’opportunità da non perdere per individuare un mix equilibrato tra riduzione della spesa per interessi ed aumento della spesa in conto capitale e/o dinamica più contenuta delle entrate, tale da non compromettere il limite di Maastricht per il rapporto indebitamento/PIL.

Partendo da queste premesse è possibile svolgere una simulazione degli effetti sulle grandezze macroeconomiche (PIL, investimenti e occupazione) di una riduzione della pressione fiscale, definita come rapporto tra entrate totali e PIL, dell’1,2% l’anno a partire dal 2000, con un impatto pressoché neutro sul conto economico delle Amministrazioni pubbliche.

I risultati della simulazione sono così sintetizzabili:

  • la riduzione della pressione fiscale è ottenuta mantenendo la dinamica delle entrate (numeratore del rapporto) ben al di sotto della dinamica del PIL (denominatore del rapporto), in modo da non avere una perdita di gettito in termini di flussi temporali, ma solo rispetto alle previsioni dei documenti governativi;
  • l’alleggerimento della pressione fiscale determina, stando ad alcune evidenze empiriche[1] sull’elasticità del PIL e delle entrate a tale variabile, una maggior crescita del prodotto interno lordo dello 0,48% e delle entrate dello 0,38%, in corrispondenza della ipotizzata riduzione delle pressione fiscale dell’1,2%;
  • il peggioramento del disavanzo, mantenendo le previsioni governative sulle uscite totali, risulta di 6.637 miliardi nel 2001, di 31.174 miliardi nel 2002 e di 50.800 miliardi nel 2003;
  • rispetto al nuovo PIL nominale, di livello più elevato per la reazione positiva alla minor pressione fiscale, il peggioramento del disavanzo porterebbe il rapporto indebitamento/PIL all’1,4% nel 2001 e al 2,0% nel 2002 e nel 2003;
  • per dimezzare gli effetti negativi sull’indebitamento netto derivanti dalle minori entrate – ed avvicinare il rapporto indebitamento/PIL alle soglie stabilite dal Programma di stabilità 1999, ossia verso il pareggio del conto consolidato nel 2003 – si può agire su un triplice fronte:
    • ridurre di mezzo punto percentuale rispetto al PIL, la spesa per interessi passivi, allungando la vita media del debito pubblico, in modo da sfruttare la riduzione dei rendimenti a lungo termine anche in prospettiva di un eventuale rialzo dei tassi a breve per contenere il riaffacciarsi delle tensioni inflazionistiche, conseguenti al deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. Ciò porterebbe ad un risparmio di circa 12.000 miliardi all’anno nel triennio;
    • recuperare evasione del gettito per un ulteriore mezzo punto percentuale di PIL, generando un flusso medio annuo di entrate di entità analoga al risparmio sulla spesa per interessi;
    • avviare un’azione di recupero anche dal lato dei capitali, considerando che negli ultimi anni novanta la voce “errori ed omissioni” della bilancia dei pagamenti ha segnalato flussi crescenti, di ordine superiori ai 30.000 miliardi all’anno, di capitali non rientrati in Italia
  • · ne scaturisce una manovra correttiva dell’ordine di oltre 24.000 miliardi in ciascun anno che porta il rapporto indebitamento/PIL allo 0,4% nel 2001 ed all’1,0% nel 2002 e nel 2003;
  • considerata la neutralità in termini di finanza pubblica, la maggior disponibilità di risorse liberate dalla riduzione della pressione fiscale può tradursi, ad esempio, in una flusso aggiuntivo di investimenti privati di oltre 7.000 miliardi nel 2001, quasi 15.000 miliardi nel 2002 e di oltre 23.000 miliardi nel 2003;
  • gli effetti sull’occupazione, calcolando un investimento medio per occupato di 150 milioni per i servizi o di 300 milioni per i settori industriali (stime basate sulla legge n. 488 e sui contratti di programma), sono stimabili in una crescita oscillante tra i 150 mila ed i 300 mila nuovi posti di lavoro alla fine del triennio, a seconda dei settori di attività economica verso i quali si orientano i flussi di investimento;
  • anche i consumi delle famiglie, attraverso il meccanismo dell’acceleratore, beneficiano di un ulteriore incremento rispetto all’ipotesi tendenziale senza riduzione della pressione fiscale, generando così un gettito aggiuntivo dal lato delle imposte indirette.

Tab. 7 – Ipotesi riduzione dell'1,2% annuo delle entrate e destinazione delle risorse così liberate a nuovi investimenti

IPOTESI DI PRESSIONE FISCALE SECONDO QUADRO PREVISIONALE CER n. 1/2000 E PROGRAMMA DI STABILITÀ 1999 (miliardi di lire correnti)

  1999 2000(1) 2001(2) 2002(2) 2003(2)
PIL nominale tendenziale 2.128.165 2.218.766 2.318.610 2.422.948 2.534.404
Var. % del deflatore del PIL 1.5 1.8 2.2 1.9 1.8
Var. % del PILl reale 1.4 2.5 2.3 2.6 2.8
Entrate totali A.P. tendenziali
– in % del PIL 46.9 46.6 45.9 45.9 45.6
– in valore assoluto 998.503 1.034.400 1.064.242 1.112.133 1.155.688
Uscite totali A.P. tendenziali
– in % del PIL 48.8 48.1 47.0 46.6 45.6
– in valore assoluto 1.039.014 106.8300 109.0598 112.9038 115.6649
Indebitamento netto tendenziale
– in % del PIL -1.9 -1.5 -1.1 -0.7 0.0
– in valore assoluto -40.511 -33.900 -26.356 -16.905 -961

Tab. 8 – IPOTESI di riduzione -1,2% di entrate totali rispetto al PIL

miliardi di lire correnti

  2001 2002 2003
PIL nominale simulato 2.329.261 2.445.258 2.569.477
Entrate totali in % del PIL 45.4 44.2 43.0
Entrate totali A.P. simulate 1.057.484 1.080.804 1.104.875
Minori entrate (simulate – tendenziali) -6.758 -31.329 -50.813
Indebitamento netto secondo PS1999 -26.477 -17.061 -974
– in % del PIL -1.1 -0.7 0.0
Indebitamento netto simulazione -33.114 -48.234 -51.774
– in % del PIL -1.4 -2.0 -2.0
Uscite in conto interessi passivi 141.435 138.108 134.323
– in % del PIL 6.1 5.6 5.2
Riduzione interessi/PIL di 0,5% 11.646 12.226 12.847
Recupero evasione pari a 0,5% di PIL 11.646 12.226 12.847
Nuovo indebitamento netto -9.821 -23.782 -26.079
– in % del PIL -0.4 -1.0 -1.0
Manovra a costo zero 23.293 24.453 25.695

Tab. 9 – EFFETTI SULL'ECONOMIA REALE

  2001 2002 2003
Flusso di investimenti fissi lordi privati (mld. correnti) 7.100 14.873 23.382
Dinamica del PIL a prezzi 1995 2.8 3.1 3.3
Maggiore crescita 0.5 0.5 0.5
Incremento occupazione (unità)
– con investimenti solo nei servizi 47.334 99.155 155.881
– con investimenti solo nell'industria 23.667 49.577 77.941
(1) Ministero del Tesoro, Relazione sulla stima del fabbisogno di cassa per l'anno 2000.
(2) Per il periodo 2001-2003, previsioni CER n.1/2000.

[1] Cfr. L. CAPPUGI, «Una finanziaria 1998 per lo sviluppo», LUISS, Quaderni di Ricerca, n. 43

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