Roadshow PMI: Pmi: legalità e sicurezza per un nuovo ciclo di sviluppo

Roadshow PMI: Pmi: legalità e sicurezza per un nuovo ciclo di sviluppo

Palermo, 7 maggio 2009

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7 maggio 2009

Sicurezza e legalità sono prerequisiti di una democrazia compiuta, di una democrazia moderna, e se mancano non ci può essere né crescita duratura, né tanto meno sviluppo. Ciò emerge con forza anche dall’indagine che presentiamo oggi. I fenomeni connessi alla microcriminalità e alla criminalità organizzata contribuiscono, infatti, a creare un clima di incertezza sul futuro e sullo sviluppo delle imprese che travalica le difficoltà collegate alla crisi economica, alla riduzione dei consumi, all’accesso  al credito. E tra i fattori che minano la competitività delle Pmi gli imprenditori indicano la contraffazione, l’abusivismo e gli atti criminosi.

Molto spesso, troppo spesso accade che imprenditori e imprenditrici, per lo più nell’anonimato, sono costretti a combattere ogni giorno per l’affermazione della legalità e dello Stato di diritto. E il pericolo è che molti operatori economici si sentano abbandonati e gettino la spugna, mentre molti altri ancora pensino seriamente di chiudere le proprie attività per il rischio di furti, rapine  o estorsioni. Per evitare questa minaccia il 4,1% degli imprenditori dichiara, infatti, di prendere in considerazione la possibilità di trasferimento o di cessione dell’impresa.

Dal mondo imprenditoriale registriamo, quindi, con sempre più forza le richieste di una maggiore sicurezza, di certezza della pena, di pene più severe. Come mette in luce la nostra ricerca, il 24,5% delle imprese ritiene, infatti, peggiorato negli ultimi due anni il livello di sicurezza. Un’esigenza che spinge due imprese su tre a destinare alla misure di sicurezza in media il 2% dei propri ricavi. Inoltre, per sette imprenditori su dieci l’impunità dei criminali e la mancanza di certezza della pena sono le cause principali della criminalità.

D’altro canto, però, oggi non si può certo parlare di sfiducia nelle Istituzioni e nelle Forze dell’Ordine anche in virtù di azioni di contrasto che, sia a carattere nazionale che territoriale, appaiono più efficaci. Del resto, dalla nostra indagine emerge che un’impresa su tre considera le Forze dell’Ordine i soggetti più vicini nella lotta alla criminalità. Ed anche alle associazioni di categoria viene riconosciuta questa “vicinanza” (per il 22,9% delle Pmi). 

A questo proposito mi piace sottolineare che Confcommercio, così come è nella sua tradizione e nella sua cultura associativa e organizzativa, sta  facendo la propria parte e sino in fondo contro la criminalità, il racket e l’usura. Perché questi fenomeni producono distorsioni alla concorrenza, sferrano attacchi micidiali al sistema imprenditoriale, mortificano la libertà d’impresa, impediscono la realizzazione di una compiuta democrazia economica.

In particolare, in quei territori, come la Sicilia, particolarmente segnati da questi fenomeni, stiamo incoraggiando gli imprenditori a denunciare i propri estorsori, a uscire dalla reticenza e dal silenzio offrendo in cambio anche il nostro sostegno e il nostro supporto legale. E ci stiamo costituendo come parte civile nei processi di mafia.

Tutto ciò, però, forse non basta.

Ciò che serve in questo momento è anche un supplemento di responsabilità, e ai vari livelli, da parte di tutti i soggetti coinvolti. Servono, quindi, segnali ancora più chiari e forti di un deciso cambiamento di rotta, perché legalità e Stato di diritto non sembrano ancora del tutto radicati nella nostra cultura e nei nostri territori. 

In questo senso, è forse giunto il momento di ripensare a una nuova e più forte cultura della legalità che, partendo dal basso e facendo leva sui giovani, ci aiuti a voltare pagina e ad avviare una nuova stagione per il nostro Paese.

Immigrazione Clandestina

Il problema dell’immigrazione clandestina contribuisce in maniera rilevante all’aumento della criminalità urbana e su questo specifico fronte dobbiamo rilevare che non si è riusciti a contrastare efficacemente questi fenomeni con misure e strumenti idonei a ridimensionare, se non azzerare il problema.

Che, come abbiamo sottolineato più volte non consiste nell’impedire tout court l’ingresso in Italia degli immigrati, una forza di lavoro utile, spesso vitale, per lo sviluppo del tessuto economico, ma di fare in modo che la clandestinità venga azzerata.

Obiettivo che riassumo in una formula: “ben vengano tutti coloro che rispettano le nostre leggi, abbiano un lavoro e si integrino con la nostra cultura”. Anche dalla nostra indagine emerge che questo problema è molto sentito: l’immigrazione clandestina è, infatti, considerata dagli imprenditori la seconda causa della criminalità.

Richieste al Governo

Alle istituzioni e alla politica chiediamo “tolleranza zero”.

Insomma, in via prioritaria chiediamo al Governo e alle istituzioni un maggiore controllo del territorio attraverso l’interconnessione delle sale operative; l’utilizzo e il miglioramento di tutti i sistemi di video-sorveglianza, sia sulle grandi reti viarie che cittadine; una maggiore presenza, soprattutto nelle aree periferiche delle città, del poliziotto e del carabiniere di quartiere, perché questa figura, nei confronti di tutti i reati criminali, svolge, a nostro modesto avviso, tre funzioni essenziali: quella di intelligence, quella di prevenzione e quella di repressione.

Con questi strumenti, se attuati, è possibile creare le condizioni per giungere ad un patto per la sicurezza in cui tutti quanti – istituzioni, forze dell’ordine, enti locali, categorie economiche e cittadini – possano ritrovare un clima di collaborazione, di fiducia e di sicurezza.

Un clima in cui le nostre imprese, i nostri imprenditori possano svolgere serenamente il loro lavoro.

Contrari a giustizia “fai da te”

Noi siamo contrari a qualsiasi forma di giustizia “fai da te”, perché riteniamo che la risposta a questi problemi debba essere data in maniera organica, efficace, strutturata da chi è preposto a prevenire e reprimere questi fenomeni criminali.

Ma non è certo il caso del gioielliere di Cinisello Balsamo, rapinato e massacrato di botte, colpevole solo di aver difeso se stesso, suo figlio e il suo lavoro.

Insomma, il rapinatore va considerato come rapinatore e il gioielliere come una vittima. Altrimenti davvero si altera e si distorce la nostra cultura giuridica.

Ddl Sicurezza: obbligo di denuncia anti-racket

Bene ha fatto il Governo, grazie anche all’intervento del Ministro Alfano, a ripristinare all’interno del Ddl Sicurezza la norma anti-racket sugli appalti che obbliga le imprese, vittime di estorsioni, che accedono a una gara d’appalto a denunciare gli estorsori. Altrimenti, scatta l’esclusione dalla gara stessa, salvo eccezioni attribuibili allo stato di necessità.

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