Contro il dumping sociale dei contratti pirata

Contro il dumping sociale dei contratti pirata

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14 ottobre 2025

"Nel terziario e turismo – ha detto Sangalli - si contano più di 250 Ccnl, ma oltre 200 "contratti pirata" coinvolgono circa 160mila dipendenti e 21 mila imprese e risultano in crescita diffondendosi, in particolare, nel Mezzogiorno dove la quota di lavoratori coperti da questi contratti nel terziario supera il 10% in molte province. Vogliamo rafforzare la collaborazione con i sindacati storicamente rappresentativi, Cgil, Cisl e Uil, che abbiamo incontrato nei giorni scorsi per costruire un'alleanza a difesa della buona contrattazione, a tutela di lavoratori e imprese sane".

Come sempre, buona regola per capire di che cosa si tratti è quella di partire da numeri e chiarezza delle definizioni. Se c’è qualcuno che in questi anni si è adoperato più di tutti sul tema è l’associazione di studi sul mercato del lavoro ADAPT, nata da un’idea del compianto Marco Biagi, ora guidata da Francesco Seghezzi. E a chi qui ci legge non possiamo che raccomandare la lettura dell’ottimo testo Fare contrattazione nel terziario di mercato, edito dalla ADAPT University Press. In quel testo troverete una comparazione dei trattamenti retributivi vigenti nei diversi contratti per i 50 profili professionali più diffusi nel terziario di mercato, e avrete la precisa misura di come i trattamenti retribuitivi minimi annuali possano essere tra i 3 mila e gli 8 mila euro annui inferiori a quelli dei contratti sottoscritti da Confcommercio con i sindacati di categoria di CGIL CISL e UIL. Il che spiega la stima del Centro Studi Confcommercio su quanto ci rimettano non solo i lavoratori, ma anche lo Stato in termini di centinaia di milioni di euro di minori imposte e contributi raccolti per via dei contratti sottoscritti da associazioni sindacali e datoriali minimamente rappresentativi. Sempre ai ricercatori di ADAPT si deve la comparazione tra i Contratti Confcommercio con i maggiori sindacati e quelli sottoscritti da sigle d’impresa e sindacali iperminoritarie su temi diversi dai minimi tabellari salariali: ad esempio i contratti di ANPIT, CIFA e CONFSAL prevedono discipline del periodo di prova del lavoratore, della remunerazione e delle tutele dei lavoratori di primo ingresso, e del cosiddetto “contratto di reimpiego” per soggetti over 50 o percettori di ammortizzatori sociali, che dispongono l’applicazione di retribuzione inferiore ai minimi tabellari già bassi e una più ampia libertà temporale e giustificativa per le imprese in caso di cessazione del rapporto. Il dumping sociale a sfavore di lavoratori e imprese corrette non è solo quello retributivo, ma anche quello della tutela dei diritti.

Finora l’ampia platea dei sindacati e delle associazioni datoriali minori si è difesa sostenendo che l’articolo 39 della Costituzione comma 1 tutela pienamente la concorrenza che essi esercitano nei confronti delle associazioni maggiori di lavoratori e imprese. Ma si sono sommate negli anni sentenze secondo le quali il bollino “CCNL” con la registrazione al CNEL non basta affatto a ricadere nella tutela costituzionale: associazioni firmatarie non solo devono avere significativa rappresentatività, ma anche offrire prove concrete che i contratti si firmino sulla base di piattaforme precise, coinvolgendo i lavoratori, e non in settori anche diversi d quelli dichiarati dalle associazioni stesse. Tutte caratteristiche che mancano praticamente sempre ai contratti-pirata. Come si vede ci sono tutti, gli estremi giuridici per un intervento richiesto in comune tra grandi associazioni datoriali e maggiori sindacati, e che chieda alla politica un’iniziativa legislativa per la definizione precisa dei CCNL costituzionalmente tutelati. La politica non ha mai voluto toccare il tema, teme la forte conflittualità di alcuni “sindacatini”.  Ma l’interesse comune dei lavoratori e delle imprese   sane dovrebbe venire prima di tutto. 

di 

Domenico Labussola  

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