Ruote d'Italia: "Trasporti e logistica non servono scelte ideologiche. Prima è necessaria la scelta politica poi gli strumenti per attuarla"

Ruote d'Italia: "Trasporti e logistica non servono scelte ideologiche. Prima è necessaria la scelta politica poi gli strumenti per attuarla"

Se i trasporti e la logistica sono esigenze di una politica industriale competitiva e le infrastrutture e la sostenibilità sono le modalità con  le quali si realizza la scelta politica, la priorità va assegnata alla funzione dei trasporti.

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3 marzo 2021

Lo abbiamo rappresentato più volte il nostro pensiero sulla opportunità che si effettuino prima le scelte su quale politica dei trasporti sia funzionale ad un sistema Paese e poi individuarne gli strumenti. La modifica della denominazione del dicastero delle infrastrutture e trasporti a ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile” non risponde a questa logica. Non è una questione di denominazione ma di sostanza, generata dal timore che divenga  il pretesto utile per bloccare interventi sulle infrastrutture.  L’ambiente va tutelato; non può esistere alcun dubbio. Se i trasporti e la logistica sono esigenze di una politica industriale competitiva e le infrastrutture e la sostenibilità sono le modalità con  le quali si realizza la scelta politica, la priorità va, a nostro parere, assegnata alla funzione dei trasporti. Questo concetto lo abbiamo più volte ribadito e ne siamo fermamente convinti. Così come nel costruire una casa non si inizia dal tetto; per temi come quello che trattiamo non si parte dalle modalità attuative.  

Conftrasporto non mette in discussione la necessità di operare nel rispetto dell’ambiente e della mobilità sostenibile. Ritiene debbano coesistere due elementi: lo sviluppo economico e la salvaguardia ambientale. Una linea di assoluta coesistenza tra “Green” e sistema produttivo è indispensabile ma le mode ed ogni sorta di vetero- ambientalismo rischiano di privilegiare, non la crescita economica, ma forse  pochi gruppi economici che intravvedono nel business ambientale nuove opportunità di lucro.

Nessuno, o pochi, evidenziano che le vetture elettriche necessitano delle batterie al litio, che vedono la Cina, come produttore unico, (un Paese dove l’inquinamento è una evidenza insieme alla negazione dei diritti sociali) che determineranno problemi non facili da affrontare, come lo smaltimento, o il rischio dalla dipendenza delle scelte geopolitiche di quel Paese. (Questo è un primo esempio).

Se si crede nel rispetto dell’ambiente perché non si considera che il nostro Paese, soprattutto nei trasporti, ha operato meglio di altri nelle riduzioni delle emissioni. A dichiararlo non è la Conftrasporto ma l’Istituto di Ispra proprio in questi giorni, -16,8%. Se poi si volesse leggere il libro di Mariano Bella, direttore del centro studi della Confcommercio, recentemente pubblicato (ed. il Mulino), si può scoprire come il comparto trasporti abbia operato in linea con l’obiettivo di ottenere una reale riduzione delle emissioni.

Vi è un ulteriore aspetto da non dimenticare ed è relativo a quanto il contributo fiscale, sopportato dai trasporti, sia molto più elevato rispetto al danno ambientale generato.  I trasporti contribuiscono dunque alle entrate fiscali dello Stato in modo significativo. Conveniente penalizzarli? Evidenziare inoltre che senza una politica che coinvolga tutti gli Stati non si possano avere risposte utili alla riduzione delle emissioni è, credo, superfluo. Così come la conseguenza di penalizzare quei paesi e settori virtuosi se non si attua una politica ambientale universale. (secondo esempio)

Il governo austriaco utilizza, da tempo, per raggiungere obiettivi economici i temi ambientali ostacolando il passaggio degli automezzi che attraversano il proprio territorio. Utilizza, in sostanza, una scelta di politica ecologica per un obiettivo economico.  Oggi  viene utilizzata la lotta contro la Pandemia per raggiungere il medesimo risultato. La tutela della salute è condivisibile. Chi non può essere concorde? La scelta tuttavia anche in questa emergenza risponde solo all’esigenza sanitaria o produce anche un risultato competitivo? Se gli assembramenti sono assolutamente da evitare, in quanto si considerano condizioni che aiutano la diffusione del virus, qual è il senso di ammassare centinaia di persone (i conducenti degli automezzi) in spazi ridotti? Nessuno nega la necessità di ogni iniziativa utile a frenare i contagi ma se la modalità poi penalizza maggiormente l’economia italiana non ci si dovrebbe porre qualche domanda? Sottoporre i conducenti dei mezzi pesanti ai tamponi (utile evidenziare che i dati attestano che su 14.823 conducenti testati  27 sono risultati positivi cioè lo 0,18%) può essere una modalità più che condivisibile ma non può esiste un’attuazione essere unilaterale. Si  può negare che anche i conducenti dei mezzi che entrano in Italia possano essere “vettori” del virus? No! Perché non si è cercata un’azione comune? Domandarsi se quanto messo in atto sia solo una iniziativa a tutela della salute e non risponda ad una scelta anche di natura economica appare possibile? Alcuni imprenditori ci segnalano che a Fussen, Germania, anche chi è in possesso di risultati che attestano il responso negativo di un tampone viene tenuto fermo in colonna per ore. Risponde alla tutela della salute? Un controllore troppo zelante? Oppure l’applicazione di un imput politico? Interrogativi che ritengo meritino se non delle risposte almeno una riflessione. (terzo esempio)

Evidenziare nuovamente la necessità che il Governo italiano compia una scelta politica e non si limiti ad inviare lettere ma decidersi ad applicare ai confini identici trattamenti, altrettanto unilaterali, è troppo? Le “tiepide risposte” avute fino ad ora non dovrebbero ottenere risposte più concrete? E questa non è una scelta politica e nel contempo economica? Non abbiamo alcun preconcetto ma non vorremmo sentirci presi in giro.

Se il Governo intende affrontare i temi della sostenibilità ambientale in modo razionale ci troverà al Suo fianco. Ma l’ambiente, la sicurezza, la salute e la salvaguardia delle nostre imprese non si tutelano con le politiche di immagine. Occorrono scelte che accompagnino ogni evoluzione nell’interesse della salute, della filiera produttiva e della sicurezza in generale.

Paolo Uggè

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