Ruote d’Italia: “le infrastrutture sono il nostro futuro, perché negarlo?”

Ruote d’Italia: “le infrastrutture sono il nostro futuro, perché negarlo?”

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17 maggio 2023

Anni fa qualche partito, per ragioni elettorali, sfruttò la tragedia di Chernobyl e, attraverso un referendum il cui esito fu in larga parte determinato dalla paura, riuscì a bloccare i progetti di installazione di centrali nucleare nel nostro Paese. Il risultato di quella assurda campagna, di cui furono anche allora protagonisti gli ambientalisti dei vari partiti, lo stiamo pagando oggi. I rimpianti ed i riconoscimenti di questi tempi servono solo a dimostrare come talune scelte, che si possono riassumere nella politica del No a prescindere, finiscono per impattare sul futuro di un Paese. Solo che, una volta che il danno è fatto, è impossibile rimediare in tempi brevi. Evidenzio che quella scelta ha prodotto costi intorno ai 40 miliardi di euro/anno per l’acquisto di energia prodotta da Paesi vicini all’Italia. L’espressione “cornuti e mazziati”, in uso in alcune parti del nostro Paese, riassume bene il “brillante risultato” di quei veti figli della cultura demagogica.

La domanda, se dagli errori del passato non si possa trarre qualche utile lezione per il futuro, sorge spontanea nel constatare come questa posizione si stia ripresentando a proposito delle infrastrutture.

Alcuni anni or sono (1996/7) gli ambientalisti protestarono contro il “mostro di Firenze” che rispondeva al tentativo di bypassare il nodo ferroviario di Firenze. Oggi, visto che i luminari che hanno governato si sono adagiati su quegli assurdi divieti, i cittadini che utilizzano il treno ne stanno pagando le conseguenze. Giusto, quindi, l’intervento del ministro Salvini, che proprio in questi giorni ha sbloccato lavori fermi da anni.

Ho voluto rammentare questi fatti per fare da contraltare alla campagna contro la realizzazione delle infrastrutture che i movimenti ambientalisti in compagnia di alcune forze politiche, stanno mettendo in campo, per ostacolare le scelte dell’Esecutivo, che ha invece giustamente rilanciato la realizzazione di queste opere.

Nessuno di questi tiene conto che, quando la mobilità stradale è rallentata da lunghi intasamenti, l’emissione di sostanze inquinanti aumenta. Più strade adeguate, più mobilità sono invece utili ad evitare episodi che favoriscono l’inquinamento. Naturalmente, un’economia come quella italiana, se dotata di collegamenti adeguati, diverrebbe più competitiva, incrementando il Pil. Basterebbe ricordare che se l’Italia avesse la medesima accessibilità della Germania il prodotto interno lordo crescerebbe di 34 Miliardi/anno.

Eppure, su questi temi, continuiamo ad assistere a polemiche, dichiarazioni ostili, contestazioni (non ci dimentichiamo la Tav né chi ostacolò la gronda di Genova per poi strumentalizzare la tragedia del crollo del Ponte). Né intendiamo tacere su quanto è costato al Paese l’aver fermato la realizzazione del Ponte sullo Stretto, bloccato dal Governo Prodi, prima, e dall’Esecutivo guidato dal presidente Monti successivamente. Il tutto ad appalto già assegnato.            

Basterebbe approfondire le polemiche sul Ponte di Messina per rendersi conto della strumentalità di queste posizioni. Il Ponte permetterà di completare gli interventi di adeguamento della linea ferroviaria, alcuni già previsti, che sostituirà l’attuale sistema vetusto esistente sull’isola. Senza ponte, invece, si genererebbe un buco tra la mobilità del Continente con quella dell’isola. Ma vi è di più. Il Ponte consentirà di accorciare i tempi di consegna che le merci prodotte in Sicilia sono attualmente costrette a subire. Ciò nonostante, le polemiche gli interventi contro a prescindere si sprecano.

Non comprendere quanto il potenziamento delle infrastrutture impatterà sull’economia nazionale è frutto di prevenzione strumentale che non giova all’intero sistema economico.

Dotare il Paese di un sistema che consenta una viabilità fluida di persone e merci significa anche fornire una risposta economica all’Europa (non si dimentichi che l’obiettivo europeo è quello di collegare il nord Europa con il Mediterraneo per competere con i Paesi del nord Africa e così ridurre i tempi dei collegamenti per raggiungere i porti di Amburgo e Rotterdam).

Come sia possibile non comprendere che le infrastrutture non dividono bensì uniscono un Paese, resta un mistero. Conftrasporto sosterrà pienamente questa scelta, ma forse sarebbe meglio chiamarla battaglia di civiltà, nell’interesse di tutti. 

Paolo Uggè

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