Salvini alza la posta, Lega più atlantista

Salvini alza la posta, Lega più atlantista

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15 marzo 2019

"Se fosse un investitore americano direi di sì...". Matteo Salvini parla dell'accordo con i cinesi sui porti italiani e lo definisce un "esempio a caso" per dare corpo ai suoi dubbi. Ma gli esempi si moltiplicano e si fanno prova di un rapporto che con gli americani si fa ogni giorno più saldo. E imprime alla Lega una svolta atlantista che sembra mettere in ombra - ma non archivia, assicurano da via Bellerio - l'impronta putiniana che caratterizzava la politica estera di Salvini solo un anno fa. Tesse le fila Giancarlo Giorgetti, che nelle ore calde delle tensioni di governo su Via della seta e F35, a Roma incontra l'ambasciatore Usa Lewis Eisenberg. Sul memorandum d'intesa con Pechino sulla Via della seta, che ha fatto scattare l'allarme alla Casa Bianca, Salvini si è mostrato fin dall'inizio molto prudente. La questione nel governo è tutt'altro che chiusa. Lo dice pubblicamente il ministro dell'Interno, il giorno dopo il pranzo al Colle nel quale la regia del presidente della Repubblica aveva sdoganato l'accordo. Salvini cita ad esempio il porto del Pireo in Grecia, per rappresentare il rischio che anche Trieste e Genova finiscano sotto il controllo cinese. Bene le intese commerciali- è la linea della Lega - ma tre parole vanno cancellate dal memorandum: "Interoperabilità", "energia", "telecomunicazioni". Quei riferimenti aprono la via, è la tesi, anche all'ingresso di Huawei nella costruzione della rete G5. E' in gioco la sicurezza e dunque se il testo non cambia, è il messaggio agli alleati di governo, il Memorandum non può essere siglato. A Palazzo Chigi sono convinti che la mediazione di Giuseppe Conte riuscirà a sopire i timori e portare il documento alla firma. Presso la presidenza del Consiglio, viene fatto notare da fonti di governo, è al lavoro una commissione interministeriale di studio presieduta dal segretario generale Roberto Chieppa che studia l'ipotesi di modificare e rafforzare la disciplina del "Golden power", ossia i poteri che il governo può esercitare a tutela degli asset strategici. Niente a che fare con la questione della Via della seta, ma il segnale che l'attenzione a tutti i temi che riguardano la sicurezza nazionale è alta. Nel M5s comunque, mentre si prepara la visita di Luigi Di Maio di fine mese negli Usa, le mosse filo-americane non passano inosservate. E non stupisce la spinta di Salvini anche sugli F35, dopo la linea anti-Maduro assunta sul Venezuela dalla Lega, anche a costo di indispettire Mosca. E' parte di un lavoro diplomatico che, viene notato, 'parla' anche al Quirinale, muovendosi nel solco della tradizione atlantista italiana. Tra gli ambasciatori spicca Giorgetti, che non solo tiene i rapporti con istituzioni come la Bce di Mario Draghi, ma con il mondo anglosassone vanta un rapporto solido da molti anni. A febbraio è stato prima a Londra, poi a Washington e New York, per parlare a mondo finanziario e interlocutori politici, dal segretario al Tesoro Steven Mnuchin al consigliere e genero di Trump Jared Kushner. E nell'ambasciata di via Veneto si reca in mattinata per un incontro che, viene spiegato, era programmato da tempo, ma non può che essere stato occasione per sentirsi ribadire dall'ambasciatore le preoccupazioni Usa sul dossier Cina e sul 5G. In casa leghista invitano a non drammatizzare la perdita di centralità apparente del rapporto con Mosca, che secondo alcune fonti non sarebbe passato inosservato. Quello che accade, spiega un parlamentare, è più in generale una crescente attenzione del 'mondo esterno' verso il partito di Salvini, vincente nelle elezioni locali e in crescita nei sondaggi tanto da poter aspirare - se tramonterà l'esperienza gialloverde - a una volata verso la presidenza del Consiglio.

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