SERGIO BILLE' AL CONVEGNO AER-ANTI-CORALLO

SERGIO BILLE' AL CONVEGNO AER-ANTI-CORALLO

ROMA, 22 MARZO 2000 (testo integrale)

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22 marzo 2000
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SERGIO BILLE’  AL

 

CONVEGNO

AER-ANTI-CORALLO

 

 

ROMA, 22 MARZO 2000 (testo integrale)

 

Lasciando agli analisti e ai diretti rappresentanti del settore il compito di illustrare e di motivare nel dettaglio gli obiettivi da raggiungere per una valorizzazione reale e congrua dell'emittenza locale, un settore che ha, nel nostro paese, profonde radici e una lunga tradizione, vorrei, in questa sede e ringraziando tutti i presenti per l'attenzione che hanno voluto dedicare a questo convegno, fare alcune considerazioni di carattere generale che mi auguro non siano superflue e che riguardano un settore di importanza vitale, non solo economica ma anche sociale, politica e culturale, per lo sviluppo di questo paese.

Ecco la prima. Il settore dell'emittenza locale ha assoluto bisogno di leggi e quindi di regole che impediscano al mercato di finire nella rete di vecchi e nuovi monopoli. Quelli vecchi li conosciamo fin troppo bene anche perchè siamo costretti a convivere con essi da fin troppo tempo.

Di fatto, la vecchia legislazione, che ora il Parlamento si appresta a modificare, ha mortificato in ogni modo l'emittenza locale in favore, a sostegno, a copertura, cercate voi il termine più adatto, di un duopolio , quello Rai-Mediaset, che, grazie alle leggi in vigore, ha potuto fare il pieno di pubblicità, di impianti e di altro, quindi di tutte quelle risorse che sono servite ad occupare stabilmente larghe, larghissime fette di mercato.

Questa situazione, consolidata nel tempo, ha prodotto due conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti e delle quali, secondo me, non si parla mai abbastanza.

La prima è che l'informazione televisiva che, come dicono tutte le statistiche, drena oggi circa il 70-75% della domanda, continua ad essere nelle mani di pochi: da una parte, lo Stato, dall'altra, Mediaset. Che poi entrambi questi soggetti cerchino di assicurare una buona pluralità di informazione non cambia la sostanza del problema.

La seconda è che la posizione dominante assunta nel mercato da questi due colossi ha, di fatto, impedito la crescita delle emittenze locali rimaste a corto di risorse e quindi di capitali per pensare a programmi di sviluppo. Ciò non è, per fortuna, accaduto nell'ambito dell'emittenza radiofonica che, non avendo bisogno, per crescere ed espandersi, di grandi capitali, ha potuto affermare, anche nel campo dell'informazione, una pluralità che rappresenta una garanzia del nostro sistema democratico.

 

E vengo alla seconda considerazione. E' chiaro che, con l'avvento del digitale e di nuovi sistemi di comunicazione, le vecchie regole, che andavano bene per la trasmissione analogica, rischiano di diventare, in pochi anni, cimeli da museo. E' il motivo per cui in Parlamento, da tempo, si sta discutendo sulla 1138, una legge che, almeno nell'intenzione dei suoi proponenti, dovrebbe abbattere le vecchie regole e farne di nuove proiettate al futuro.

Ma anche questa corsa verso il nuovo - che corsa poi non è perchè di questa legge si discute e si ridiscute, girando in tondo, da ormai parecchi anni - non è priva di rischi. Che tipo di rischi? Purtroppo i soliti.

Il rischio che il sistema televisivo, anzi di telecomunicazioni, cada dalla padella nella brace nel senso che c'è la possibilità che la nuova regolamentazione finisca per favorire i monopoli o i duopoli di sempre.

Il rischio che resti marcata, eccessiva, sovrabbondante la presenza dello Stato in un settore che, invece, come già accaduto da tempo in altri paesi, andrebbe finalmente liberalizzato.

Il rischio che, visto il costo dei nuovi impianti e di tutti gli accessori che gli utenti dovranno mettersi in casa - paraboliche, decoder, cavi telefonici, ecc. - il pallino resti in mano o a chi c'è la già da tempo o a chi , disponendo di enormi capitali, può coprire tutto il tavolo verde di fishes togliendo spazi di di gioco e di vincita a qualsiasi altro concorrente.

E se la legge 1138 continua a restare ancora negli scaffali delle commissioni parlamentari è anche perchè non si è ancora deciso, la politica non ha ancora deciso, come risolvere il caso Rai.

L'intenzione sarebbe quella di mantenere del tutto pubblica e quindi legata al vecchio canone di abbonamento solo Rai tre e di trasferire, invece, le altre due reti e tutti gli impianti che le stanno intorno in una Fondazione aperta a capitali privati.

Ma fino a che punto aperta? Se, come propongono in molti, il 51% di questa Fondazione restasse nelle mani dello Stato, saremmo da capo a dodici perchè è chiaro che l'informazione televisiva e tutto ciò che la circonda resterebbero sotto l'ombrello pubblico e quindi sotto il controllo della politica.

Non è così? Ho preso un abbaglio? In questa sala c'è chi mi può smentire e io sarò contento che lo faccia.

Con la nuova legge, con le nuove regole è in gioco qualcosa di più di un sistema televisivo. E' in gioco quel pluralismo che è uno dei capisaldi della democrazia.

 

Ecco perchè l'emittenza locale, televisiva e radiofonica, va difesa a denti stretti e con denti aguzzi.

Nessuno nega allo Stato come a Berlusconi come a chiunque altro disponga di antenne nazionali di operare sul mercato e di realizzare imprese redditizie. Ma questa presenza, queste presenze non devono restare così ingombranti, così monopolizzanti da impedire che, anche nel mercato delle telecomunicazioni, si rinsaldino, si sviluppino, impiantino solide radici le regole della democrazia economica e del pluralismo.

E una funzione importante, per la realizzazione di questo obiettivo, ce l'ha proprio l'emittenza locale che i legislatori devono garantire, ma garantire nella sostanza e non con illusori artifizi come, in molti casi, fino ad ora si è fatto.

 

 

 

 

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