SERGIO BILLE' AL CONVEGNO ANGEM-FIPE SULLA RISTORAZIONE COLLETTIVA

SERGIO BILLE' AL CONVEGNO ANGEM-FIPE SULLA RISTORAZIONE COLLETTIVA

Roma, 25 giugno 2003

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25 giugno 2003
Siamo davanti ad una grande rivoluzione degli stili di vita

Siamo davanti ad una grande rivoluzione degli stili di vita. Oggi oltre 11milioni di persone pranzano quotidianamente fuori casa al bar, al ristorante, in mensa.

Ecco perché il 33% della spesa di una famiglia in consumi alimentari avviene oggi al di fuori delle mura domestiche. Un valore che entro i prossimi due decenni raggiungerà il 50%.

Gli stili di vita cambiano e con essi gli stili alimentari degli italiani. La cena vede crescere progressivamente la sua importanza come pasto principale della giornata perché il pranzo  assume sempre più la forma dello spuntino consumato fuori casa.

Non a caso oggi i portatori di stili alimentari meno salutari sono uomini occupati che vivono nei grandi centri urbani del centro-nord.

La mensa è il luogo più frequentato da chi pranza fuori casa. Oltre quattro milioni di persone consumano qui, ogni giorno, il proprio pranzo quotidiano.

Un’attenzione particolare andrebbe rivolta a quel 1.600mila bambini delle scuole materne e elementari per i quali l’alimentazione della mensa scolastica è fondamentale.

Per il 72% di questi bambini il pranzo in mensa è il pasto principale della giornata.

La mensa è, allora, un baluardo per promuovere una corretta alimentazione ed evitare le conseguenze negative di un rapporto sbagliato con il cibo.

E’ bene dire che l’obesità è aumentata in meno di dieci anni del 30%. Oggi il 10% della popolazione maggiorenne soffre di obesità e il 35% è comunque in sovrappeso.

Eppure oggi il ragioniere sembra essere la persona che deve dettare gli stili alimentari di chi mangia fuori casa in una mensa. E’ vero si utilizzano anche le competenze dei nutrizionisti nel tentativo di fare diete equilibrate.

Però l’ultima parola, quella decisiva, spetta al ragioniere che vuole o deve far mangiare bambini e malati a costi sempre più modesti.

Facciamo due conti.

Una famiglia media spende ogni giorno per consumi alimentari in casa circa 13 euro per un numero medio di pasti che non arriva a cinque. Ciò significa che per ogni pasto spende 3 euro.

Il pasto in una mensa scolastica fornito da un’azienda che fa la spesa, lo prepara con lavoratori qualificati a manipolare cibi, paga luce, gas e imposte viene oggi pagato dalla pubblica amministrazione circa 3,2 euro, quasi quanto una famiglia spende soltanto per acquistare i prodotti alimentari.

Sembra che qualcosa proprio non funzioni. Tenere bilanci in piedi, salvaguardare posti di lavoro e fornire servizi affidabili sta diventando un’equazione senza soluzioni.

Negli ultimi tre anni il costo della vita è aumentato del 7,8% ed il prezzo del pasto in mensa del 7,2%.

L’equazione è ancor più complessa oggi perché al ragioniere di prima si sta sovrapponendo un super-ragioniere che ha come unico obiettivo il contenimento della spesa. La qualità di ciò che si compra, o meglio di ciò che si farà mangiare ai bambini sembra non avere alcuna importanza nei calcoli del super-ragioniere. In fondo non toccherà a lui  mangiare in mensa.

Dinanzi a questi presupposti le aziende hanno tre vie di uscita:

·         spendere meno nell’acquisto di prodotti alimentari (leggi abbassare progressivamente la qualità)

·         spendere sempre meno sulla forza lavoro (leggi dequalificazione e nascondimento di manodopera);

·         fallire (leggi chiudere).

 

Tre strade che ci rifiutiamo di prendere in considerazione. Per farlo, però, le imprese hanno bisogno di non essere lasciate sole in balia di un mercato che va perdendo punti di riferimento.

La gara Consip sta creando prospettive inquietanti. Rappresenta il punto di partenza per la creazione artificiale di un nuovo mercato che si sostituisce d’imperio al precedente nel tentativo di abbassare i prezzi ma a costo di:

·         fornire alla domanda un servizio diverso da quello richiesto (rischio standardizzazione);

·         sovvertire artificialmente la struttura dell’offerta (concentrazione forzata dell’offerta e rischio oligarchia).

 

Dunque, il nuovo mercato pensato da Consip non giova né ai consumatori, né alle imprese. E non giova neppure agli amministratori pubblici perché li deresponsabilizza.

E’ un mercato pensato al di fuori del mercato.

Il risparmio non può essere la variabile che guida in modo totalizzante le scelte di una pubblica amministrazione anche quando essa deve convivere con vincoli di bilancio. Il risparmio frutto di una conquistata efficienza è salutare, non lo stesso si può dire del risparmio generato dal sovvertimento del mercato.

Noi suggeriamo due strade.

La prima fa leva sulla cosiddetta “eccezione alimentare”. Quando gli appalti hanno per oggetto l’alimentazione (servizi di mensa, servizi sostitutivi di mensa, ossia buoni pasto, e fornitura di derrate alimentari) occorre far entrare nel gioco anche la qualità del prodotto e del servizio. Ecco perché l’unica gara possibile deve essere quella che assegna l’appalto all’offerta economicamente più vantaggiosa e che privilegia la qualità sul prezzo.

Rimanendo in tema di appalti, un’altra regola alla quale non si deve assolutamente derogare per le ovvie implicanze sul profilo della sicurezza alimentare, è quella di consentire la preventiva ispezione e prevenzione degli impianti oggetti di gara onde evitare offerte “al buio” che hanno pesanti ricadute in termini gestionali sulla qualità ed efficacia del servizio.

Ma non basterà rivedere le regole delle gare. Si dovrà anche garantire un sistema di controlli efficace sulla regolarità contributiva delle imprese che si sono aggiudicate appalti pubblici, in modo da dare applicazione al principio della legislazione sul lavoro sommerso che prevede l'immediata revoca dell'appalto per chi utilizza dipendenti in nero o comunque non adempie agli obblighi contributivi.

La seconda muove dal presupposto che un grande mercato non lo si fa attraverso la concentrazione della domanda (e di conseguenza dell’offerta), ma anche e soprattutto per mezzo della trasparenza garantita da un’efficace azione di informazione sulle condizioni che regolano i tanti micro-mercati in cui si articola oggi il servizio di ristorazione collettiva.

In tale ambito accogliamo con favore l’idea del marketplace sviluppata da Consip. Un luogo dove mettere in interazione i tanti servizi che vengono erogati nei tanti micro-mercati oggi esistenti con l’obiettivo di creare condizioni di potenziale concorrenza tra tutti i soggetti.

Per concludere, un’ultima considerazione.

I risultati fin qui conseguiti dalle convenzioni Consip su beni e servizi in termini di risparmi e la prossima approvazione della Direttiva comunitaria sugli appalti inducono a considerare il meccanismo della razionalizzazione della spesa un aspetto sicuramente da salvaguardare in generale,  ma da meglio finalizzare a interessi più generali, al fine di evitare che la politica del risparmio “ad ogni costo” bruci risorse e comprima consumi indispensabili per una crescita equilibrata del Paese.

Confcommercio ritiene al riguardo indispensabile una forte iniezione di politica nel governo di Consip s.p.a., al fine di orientarne l’operatività attraverso precise direttive ministeriali e/o governative .

In quest’ottica si devono assolutamente rivedere le norme previste dall’art. 24 della legge 27 dicembre 2002, n.289 (che aveva inteso espandere il sistema delle convenzioni Consip), muovendosi sui seguenti filoni principali :

-         innalzamento a 100.000 euro per l’espletamento delle procedure aperte o ristrette al fine di ridurre il carico degli oneri amministrativi inerenti la gestione delle gare;

-         il mantenimento dell’esonero dei comuni fino a 5.000 abitanti;

-         obbligo che bandi di gara e criteri di aggiudicazione rispettino direttive del Ministero dell’Economia e delle Finanze che consentano la partecipazione alle gare anche delle piccole e medie imprese, determinando condizioni di effettiva economicità in rapporto alla qualità delle forniture, specie riguardo ai prodotti e ai servizi dell’alimentazione (”eccezione alimentare”);

-         il passaggio da un regime basato sull’utilizzo obbligatorio delle convenzioni ad uno imperniato sui prezzi di riferimento  per quanto riguarda gli acquisti effettuati in via autonoma dagli enti locali (di cui all’art. 24, comma 6, della legge 28 dicembre 2001, n. 488), nonché dagli istituti scolastici di ogni ordine e grado, dalle Camere di Commercio e dalle loro Unioni e Aziende Speciali e dalle Università;

-         l’istituzione di un Osservatorio nazionale sui prezzi per i beni e servizi di maggior interesse per le pubbliche amministrazioni (convenzioni Consip comprese) sui quali basare gli acquisti effettuati in autonomia;

-         lo sviluppo del mercato elettronico nazionale e di quelli regionali delle pubbliche amministrazioni.

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