Sergio Billè al convegno "Le Camere di Commercio a 10 anni dalla legge di riforma"

Sergio Billè al convegno "Le Camere di Commercio a 10 anni dalla legge di riforma"

Roma, 12 novembre 2003

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12 novembre 2003
Intervento di Sergio Billè

 

 

Mi limiterò a trattare tre aspetti, tutti e tre speculari, di un’Istituzione che, dopo la legge di riforma del 1993, ha saputo crescere e poi consolidarsi e poi sempre più qualificarsi come una delle più importanti strutture che, avendo ormai messo salde radici sul territorio, è in grado di dare un contributo importante allo sviluppo sociale ed economico del paese.

Il primo riguarda il grado di autonomia funzionale che queste strutture hanno ormai in gran parte acquisito diventando il principale referente di aziende ed imprese di ogni tipo.

Il secondo riguarda il sempre più stretto rapporto che si è andato instaurando fra questa Istituzione e le associazioni di rappresentanza.

Il terzo, infine, riguarda il progetto di riforma federalista e i tanti problemi e le non minori incognite che essa ancora contiene.

Sul primo punto non si può che dare un giudizio assai positivo perché le Camere, prima emanazione del solo ministero dell’Industria con presidenti di nomina ministeriale e giunte di nomina prefettizia, simulacro arrugginito quindi del vecchio stato umbertino, hanno, con la riforma, acquisito una dimensione del tutto nuova e finalmente aderente ai bisogni e alle esigenze di una moderna economia.

Ma la riforma del ’93 è stata assai innovativa anche perché ha mutato, alla radice, il rapporto tra Camere e Associazioni imprenditoriali riconoscendo a queste ultime più dirette e finalmente idonee funzioni di rappresentanza. E non poteva che essere così perché il principio della sussidiarietà e la rilevanza ormai assunta dall’associazionismo come componente essenziale della società civile ed economica non potevano che essere i cardini di un moderno processo di sviluppo.

Camere di Commercio e Associazioni si muovono, infatti, con un obiettivo comune: quello di rendere più agevole l’attività imprenditoriale, di ampliare il ruolo delle imprese e di operare, sul territorio, perché si creino condizioni di mercato che, imponendo finalmente regole che consentano l’esercizio della libera concorrenza, diventino un serio incentivo per lo sviluppo delle piccole e medie imprese.

E questo connubio nato da ormai molti anni fra le Camere e le Associazioni mi sembra che stia dando ottimi risultati: non c’è solo più “trasparenza” nei progetti che vengono assunti per una migliore e più adeguata regolamentazione del mercato, ma stanno maturando, sul territorio, tutte quelle iniziative che oggi possono contribuire fortemente ad una reale modernizzazione delle strutture imprenditoriali: più tecnologie, più formazione, più strumenti messi a disposizione di quelle libere imprese che intendono contrastare la pervicace resistenza dei tanti monopoli che ancora esistono nel nostro paese per allargare i confini della loro attività.

Le nuove competenze ora affidate alle Camere di Commercio consentono, con il concorso delle Associazioni, lo sviluppo di iniziative di valenza sempre più strategica.

Penso ad infrastrutture tese a soddisfare le più diverse realtà locali e poi alla realizzazione di progetti che consentano finalmente l’internazionalizzazione dei programmi di larghi settori di imprese per non parlare di quel che si può fare nel campo del marketing territoriale, per una maggiore e più sostanziale semplificazione delle pratiche amministrative e ancora per la promozione di sistemi che favoriscano lo sviluppo del turismo locale.

Insomma, un cantiere in piena attività che potrebbe produrre, a tutti i livelli e su ogni latitudine, risultati importanti.

Il terzo aspetto che intendo trattare è, invece, quello più spinoso e denso di incognite.

Mi riferisco ovviamente alla riforma federalista che oggi, pur avendo ormai implementato, sul territorio, strutture operative di vario genere e, per quanto riguarda le sue finalità di progetto e i suoi grandi obiettivi, ancora allo stato magmatico.

Nessun concreto passo in avanti ha fatto fino ad ora, infatti, il progetto di federalismo fiscale, architrave, muro portante di una riforma che intenda davvero mettere radici e poi trasferire alle Regioni poteri, compiti e funzioni di primo livello.

Da questo punto di vista, mi sembra che questa riforma sia ancora in pieno guado, né di qua né di là, né carne né pesce, né bianca né nera.

La obiettiva mancanza di risorse - e noi sappiamo fin troppo bene, per esperienza diretta, quali dimensioni abbia oggi questo problema - allontana l’ora della grande ed irreversibile scelta federalista.

Un motivo di più, direi anche un buon e giustificato alibi per rifletterci ancora sopra evitando così di commettere errori a cui poi, una volta che fossero compiuti, non sarebbe più possibile porre rimedio.

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