SERGIO BILLE' AL CONVEGNO NIAF

SERGIO BILLE' AL CONVEGNO NIAF

Roma, 6 giugno 2000 (testo integrale)

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6 giugno 2000
INTERVENTO DI APERTURA DEL PRESIDENTE BILLE'

SERGIO BILLE' AL CONVEGNO NIAF

 

 

Trovo di grande interesse il tema posto in discussione - in questa convention che ho l'onore di co-presiedere - dagli amici della NIAF.

Sulle due sponde dell'Atlantico, infatti, riflettere   sull' "impatto di internet sulle relazioni commerciali"  significa interrogarsi sui modi ed i percorsi di quella globalizzazione, di cui il commercio resta  appunto il sentiero privilegiato. Non casualmente il commercio internazionale  è aumentato, nello scorso decennio, con tassi più che doppi della produzione: contro un tasso annuo medio di crescita del prodotto mondiale pari al 3%, il commercio è lievitato in volume del 6,7% l'anno, una tendenza che non sembra dover mutare a breve. In termini nominali  si è trattato di un incremento  del 55%, da 4.300 a 6.700 miliardi di dollari. Nel rapporto in valore con il Pil mondiale, il commercio è passato dal 19% del 1990 al 23% del 1998.

A sospingere i processi di globalizzazione sta, da qualche tempo, il progresso tecnologico e  in particolare l'espandersi delle reti interconnesse e della rete delle reti, Internet.

Il dialogo tra reti interconnesse interviene pesantemente nella cultura e nelle modalità attraverso cui fenomeni come quelli accennati (commercio, investimenti, passaggio di strumenti  finanziari), trovano oggi realizzazione. Internet rende irrilevanti le distanze e deterritoralizza l'economia, esaltando  innovazione e creatività, offrendo nuove e ampie opportunità all'attività economica. Le dimensioni aziendali, ad esempio, come le tradizionali economie di scala, trovano  nuova definizione.

Nel 1999 il canale online è diventato parte integrante della vita di molti. Le transazioni in rete sono certo ancora a un livello infimo, solo circa 150 miliardi di dollari. E peraltro il fenomeno tocca quasi esclusivamente  il cosiddetto business-to-business, cui spetta circa l'80% del  totale.

Tutte le previsioni dicono, però, di un impetuoso sviluppo futuro. E mai come in questo caso il futuro è già cominciato.

Benché accusi un certo ritardo rispetto agli Stati Uniti, l'Europa ha le carte in regola per essere protagonista anche nel mondo di  Internet. Sembra essersene accorta l'Unione europea, che ha mostrato segnali interessanti, anche se non del tutto convincenti, in questa direzione durante il recente Consiglio europeo di Lisbona.

Il numero degli europei che hanno effettuato acquisti online cresce di continuo: 8,3 milioni di persone nel 1999 a fronte dei 5,2 milioni dell'anno precedente. Gli investimenti nell'alta tecnologia aumentano ovunque: nel 1999 l'Europa ha investito complessivamente  18.930 miliardi di lire, con un aumento  dell'8,1% rispetto al 1998, si prevede che nel 2002 la cifra salirà a 23.100 miliardi.

La diffusione del commercio elettronico e della cosiddetta economy non cancellano la old economy, l'economia tradizionale (il modo tradizionale di produrre e scambiare) ma contribuiscono a razionalizzarla ulteriormente, ad accrescerne l'efficienza. Si pensi a tutte le nuove professioni che girano intorno ai siti Internet. Si pensi alle modalità con cui settori tradizionalissimi dell'economia (i trasporti ad esempio), o della cultura (l'insegnamento, ad esempio), si avvantaggiano delle opportunità offerte dall'e-conomy.

Il commercio elettronico, l'aspetto probabilmente più palpabile di questa vicenda, è l'esemplificazione più convincente di come tali processi abbiano luogo.  Vi è innanzitutto da constatare come l'e-commerce tenda a diluire il confine tra industria e servizi, con le funzioni di logistica, magazzino, pagamenti elettronici, servizi finanziari, telecomunicazioni, telefonia, ecc. che innesca. Vi è poi da apprezzare come esso esalti i prodotti a forte intensità di servizio  che implicano l'assistenza post-vendita, cui i consumatori assegnano una crescente importanza. In ultimo, non certo per importanza, l'impatto sociale che questa tipologia  di commercio comporta, sia in termini occupazionali, che di nuove professioni e diffusione di modelli culturali.

Ridurre, sino all'azzeramento, le distanze cambia il rapporto produttore-consumatore, così come il rapporto produttore-produttore . La transazione tra venditore elettronico e acquirente fisico (l'intermediazione quindi, la comunicazione, perché no?, le tecniche di consegna e di assistenza al cliente, le tipiche attività del commerciante  di strada) diventa nella new economy l'anello imprescindibile della nuova qualità della relazione tra offerta e domanda.

Per questo la distribuzione sta aggiornando i propri meccanismi di funzionamento alle esigenze del nuovo contesto. E non è detto che dei vantaggi offerti dall'abbattimento delle frontiere e dal commercio elettronico possano e debbano godere solo i  grandi gruppi. In un mercato globale c'è posto anche per il piccolo negozio specializzato che, con un investimento non eccessivo, può entrare nella rete e raggiungere i consumatori nazionali e stranieri.

I grandi retailers per parte loro, si sono già organizzati investendo somme considerevoli per migliorare le reti informative.

Nel 1999 gli investimenti italiani nell'information techonology finalizzati al miglioramento delle procedure nella logistica, nella gestione dei punti vendita, nelle politiche di marketing e di  fidelizzazione dei consumatori hanno complessivamente raggiunto circa 3.500 miliardi.

Globalizzazione non può significare omogeneizzazione, convergenza ed appiattimento su di un unico modello. Essa può anzi esaltare le specificità di economie locali capaci di offrire contenuti originali alla diffusione in rete.

Se in un'ottica nazionale il "locale" è rappresentato dalla singola provincia o regione, nell'ottica mondiale il concetto di "locale" si estende a ricomprendere nazioni, gruppi di paesi e aree del mondo, che, con le proprie specificità, si affacciano al circuito globale, che ha spazio per tutti.

Nel futuro prossimo è certamente necessario migliorare il tono dei rapporti tra dimensione globale (quasi sempre quella del paese o del prodotto dominante) e dimensione locale in una sorta di "glocalismo", che permetta di cogliere i vantaggi offerti dalla globalizzazione ma, allo stesso tempo, difenda e valorizzi quanto di buono esiste e  resta a livello locale. Il vecchio adagio "Think global, Act local", qui trova una rivisitazione interessante. Ad esempio, pensando a come vendere in rete un prodotto a denominazione di qualità locale, sconosciuto ai più fuori della provincia d'origine.

La promozione al livello del mercato mondo serve, in tale modello, non a cancellare, ma anzi a sostenere ciò che di locale merita venga salvaguardato. Guardando al mercato italiano, è quanto probabilmente va fatto per raccordare i tanti mercati dei prodotti locali al mercato globale che si offre alla sua disponibilità.

La promozione del sistema Italia, la distribuzione dei suoi prodotti diviene, in questo ambito, promozione di una rete integrata inserita nella rete più vasta, e viene a proporsi, di fatto, come un giusto luogo, virtuale o fisico poco importa, da dove iniziare l'esplorazione del mercato mondo.

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