Sergio Billè al convegno "Risorse per lo sviluppo - Italia e Usa: nuovi indirizzi di investimento nel Sud"

Sergio Billè al convegno "Risorse per lo sviluppo - Italia e Usa: nuovi indirizzi di investimento nel Sud"

Messina, 17 novembre 2003

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17 novembre 2003
Intervento di Sergio Billè

L’aumento del prodotto interno lordo, registrato in Italia come in altri paesi europei, nel terzo trimestre di quest’anno, è un segnale che non va sottovalutato.

Anche se è ancora prematuro considerarlo come il primo step di una reale e strutturale inversione del ciclo economico, non vi è dubbio che esso rappresenta uno spiraglio di luce dopo due anni di quasi totale oscuramento.

Se questo cono di luce si allargherà fino ad assumere, sui mercati, le dimensioni e la profondità che noi tutti ci auguriamo, spetterà ai governi riaccendere subito i motori per riavviare quei programmi e quelle politiche anche di tipo espansivo che la congiuntura aveva fino ad oggi sostanzialmente bloccato.

E ciò, per quanto riguarda il mezzogiorno d’Italia, comporta problemi assai maggiori perché non basterà mettere il piede sull’acceleratore, ma occorrerà elaborare programmi che, facendo leva sulle opportunità offerte da questo cambiamento di ciclo, siano, rispetto a quelli impostati fino ad oggi, davvero di nuovo conio per modalità di impianto, strutture e obiettivi e finalità da perseguire.

La verità è che, per diventare competitive all’interno di mercati caratterizzati ormai da forme sempre più aggressive ed esasperate di concorrenza, le regioni del nostro Mezzogiorno devono necessa-riamente abbandonare la politica dei piccoli passi realizzando in poco tempo quel che altre regioni europee hanno potuto realizzare nel corso di molti anni.

E’ insomma una vera e propria corsa contro il tempo: o il Mezzogiorno riuscirà, in pochi anni, a mettersi in pari con le regioni del Nord d’Europa dandosi tutte le strutture e le risorse necessarie per la grande competizione che, con l’allargamento ad Est, si avrà nella grande Europa o il suo futuro sarà quello di un’area destinata a vivere al di là dei confini dello sviluppo e a lottare quindi solo per la sua sopravvivenza.

Non si può dire che l’Europa abbia, in questi anni, operato inserendo fra le sue priorità anche questo problema. E, del resto, era difficile attendersi qualcosa di diverso da una struttura europea che, in tutti questi anni, invece di programmare politiche di sviluppo e a largo raggio che fossero principalmente destinate alle sue aree più depresse, ha pensato principalmente a tutelare, sotto il profilo finanziario, le sue aree più ricche e più facilmente difendibili.

E’ vero che sono stati erogati fondi strutturali di sostegno, ma c’è stata mai, a supporto di essi, a Bruxelles, una vera politica dedicata alla programmazione dello sviluppo nelle aree depresse? Dire proprio di no.

E se, da un lato, le strutture comunitarie si sono limitate ad una semplice erogazione di fondi, dall’altro, hanno subissato, letteralmente subissato anche le aree depresse di regole e di normative che se potevano andar bene, soprattutto sotto il profilo fiscale, per le aree già strutturate e dotate di un salto sistema economico, diventavano, invece, profondamente sperequative nei confronti di quelle aree, appunto il Mezzogiorno, che, per crescere, avevano bisogno di regole assai più flessibili e più aderenti alle loro esigenze.

Sarebbe ingiusto scaricare sull’Europa tutto il peso delle responsabilità, anche se mi sembra che abbia fatto bene l’altro giorno il nostro presidente del consiglio a denunciare i forti limiti e i troppi errori compiuti dalle strutture che gestivano la politica europea in questi anni.

Le responsabilità sono, infatti, anche di chi, nella nostra politica, non ha saputo, in tutti questi anni, adottare programmi e strumenti che consentissero di cambiare, nel profondo, fino alle radici, le strutture di un sistema che, dal punto di vista amministrativo, sociale ed imprenditoriale, non era certo in grado di entrare in competizione con le grandi aree europee del Nord.

C’è ancora tempo per cambiare strada e, recuperando il tempo perduto, portare il Mezzogiorno non ai confini ma al centro dell’Europa?

Io credo ancora di sì ma almeno tre cose andrebbero fatte subito, a partire da domani, come tangibile suggello di una politica meridionale finalmente decisa a svoltare.

La prima è quella di ristrutturare ma davvero impianti, modi di gestione, leggi e normative della Pubblica Amministrazione. Nessuno degli investitori avrà la voglia e soprattutto il coraggio di portare i propri soldi in quest’area fino a quando la pubblica amministrazione, nei rapporti con l’impresa, non cambierà musica, spartito e cultura di rapporti con il mondo economico. Fino a quando qualcosa di sostanziale non cambierà su tutti questi versanti, si preferirà investire in Irlanda o in Polonia o in Slovenia piuttosto che nel mezzogiorno d’Italia.

La seconda è quella di affrontare davvero il problema della sicurezza. Le grandi organizzazioni criminali preferiscono, da sempre, un Mezzogiorno economicamente sotto tono, di basso profilo perché se l’economia davvero si sviluppasse e con essa maturasse una crescita culturale e sociale del sistema, esse perderebbero buona parte del loro potere di controllo non solo sull’economia ma anche sulla stessa società meridionale. E queste organiz-zazioni purtroppo sono ancora, nonostante che l’azione dello Stato contro di esse si sia molto accentuata, vive e vegete.

La terza è che va, a mio giudizio, cambiato l‘ordine degli addendi che potrebbero oggi produrre forme di sostanziale sviluppo. Non si comprende perché, a differenza di quel che avviene in altri paesi come, ad esempio, la Spagna, non si faccia leva sul turismo almeno per creare risorse da poi reinvestire anche in altri comparti economici. Si continuare ad aiutare aziende decotte, ma non si fa ancora nulla di serio e di programmato per sfruttare le enormi potenzialità che, da questo punto di vista, ha il Mezzogiorno e la Sicilia in particolare. E’ il turismo, soprattutto il turismo che, implementando una rete di nuove infrastrutture, favorirebbe poi qualsiasi tipo di investimento. Dovrebbe essere, per chi ha cuore il futuro di questa area, l’uovo di Colombo. Eppure escono, su questo versante, programmi con il contagocce, idee con il contagocce, leggi con il contagocce, incentivi con il contagocce. C’è forse chi non desidera che milioni di stranieri, molti dei quali potrebbero diventare anche possibili investitori, facciano visita a questa bellissima terra? Evidentemente questo qualcuno c’è ma la cosa davvero straordinaria è che nessuno fino ad oggi sia riuscito a metterlo da parte.

 

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