SERGIO BILLÈ AL CONVEGNO SU: TURISMO AMBIENTE E TERRITORIO.

SERGIO BILLÈ AL CONVEGNO SU: TURISMO AMBIENTE E TERRITORIO.

Lucca, 13 maggio 2002

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13 maggio 2002
Intervento di Sergio Billè

Perché si possa percorrere – e a passo sostenuto- la via dello sviluppo e si possa  raggiungere il traguardo, da noi tutti auspicato, di una maggiore, più estesa e più strutturata competitività di tutto il nostro sistema economico occorre oggi mettere mano e quindi tentare di  risolvere un’equazione complessa, a più incognite.

Tentare, invece, di aggirare questo problema, come per molti anni purtroppo si è fatto, o di risolverlo adottando solo palliativi, significa fare solo una politica del gambero, un passo avanti e due indietro, che non risolve nulla, anzi, rischia di accrescere le difficoltà delle Istituzioni centrali e locali ,ma anche di tutti coloro che, operando nel mercato, cercano di produrre maggiore ricchezza e di migliorare il nostro assetto economico.

Vediamo allora di metterle bene a fuoco queste incognite da risolvere per poter imboccare la via di uno sviluppo virtuoso della nostra economia.

La prima riguarda i rapporti tra amministrazione centrale ed enti locali. In attesa che la riforma federalista trovi la sua identità e realizzi i suoi obbiettivi, l’operatore economico è quotidianamente immerso in un calderone di leggi, poteri, obblighi, normative e soprattutto oneri che,  affastellandosi tra loro in modo troppo spesso incongruo e disordinato, gli tarpano le ali , creano in lui una profonda e crescente disaffezione verso il sistema , gli tolgono la voglia di investire e di pianificare programmi di sviluppo.

Per spiegarmi meglio, andrò sul pratico: da un lato, la pressione fiscale esercitata dallo Stato centrale sulle imprese continua ad essere la più alta d’Europa( 40,25% contro la media Ocse del 31,4%), dall’altro, crescono a vista d’occhio- si sono triplicate in pochi anni passando dal 2,2 al 6%,  anche le imposte locali.

E siccome tra le due strutture impositive non c’è alcun raccordo, entrambe operano cercando di portare acqua al proprio mulino: lo Stato, schiacciato da un gigantesco debito pubblico e da spese di esercizio della Pubblica Amministrazione che, nonostante tutto, come ha notato pochi giorni fa la Banca d’Italia, stanno ancora lievitando, persevera nel suo metodico drenaggio, gli enti locali, stressati da compiti ardui come quello della diretta gestione del comparto sanitario, drenano il più possibile da parte loro. Risultato, un doppio macigno che soffocano l’iniziativa di impresa e tutto il mercato. Fa bene il Presidente dell’Anci a sollecitare al ministro Tremonti un tavolo di confronto che consenta di dirimere un problema che, se non affrontato in tempo, potrà avere sull’economia effetti devastanti.

Perché delle due l’una: o lo Stato si decide finalmente ad operare congrui tagli di spesa e a trasferire agli enti locali tutte le risorse necessarie per far fronte alle loro nuove e importanti incombenze o il sistema rischia davvero l’avvitamento. 

Ma allora- e vengo alla seconda incognita- tutte le responsabilità di questa situazione sono solo dello Stato? Non è vero nemmeno questo. Anche gli enti locali, infatti, devono al più presto affrontare il problema di una loro, non più eludibile riforma  che consenta, da un lato, una maggiore ottimizzazione nell’uso delle risorse e , dall’altro, una revisione, anche profonda, del loro apparato amministrativo ancora troppo ancorato agli schemi di quel vecchio burocratismo duro a morire e che tanti danni ha prodotto in questi anni. Ovviamente il discorso non vale per tutte le amministrazioni locali perché ve ne sono tante che hanno fatto considerevoli avanti nella giusta direzione. Il problema però è quello di riuscire ad avere per tutte le amministrazioni locali quel minimo comune denominatore di efficienza  che oggi obbiettivamente ancora non c’è.

La verità è che o la riforma federalista riuscirà ad implantare un nuovo tipo di gestione amministrativa che tenga maggiormente conto delle peculiari esigenze del sistema economico o il rischio- ed è proprio da evitare- è quello di trasferire sul territorio modelli, culture, tipi di approccio che fino ad oggi hanno fatto solo danni.

Ma anche questo intento riformistico rischia di approdare a sterili risultati se non si chiarirà una buona volta quale rapporto debba esistere tra la fiscalità statale e quella decentrata, locale.

Con un’altra incognita altrettanto pressante: per far sì che il trasferimento di poteri sul territorio porti ad uno sviluppo , organico e programmato, di tutto il sistema economico, occorre che le amministrazioni locali , ai vari livelli, inter agiscano maggiormente con le strutture produttive che operano sul territorio in modo da realizzare una programmazione che, proprio perché sostanzialmente condivisa, possa puntare ad una razionalizzazione nell’uso delle risorse e quindi ad uno sviluppo ordinato, organico di tutto il sistema.

E tre settori, quelli indicati come tema di questo convegno cioè commercio, turismo e ambiente , devono avere una parte importante in quella forma di costruttivo dialogo di largo respiro che dovrebbe diventare proprio il principio fondante della riforma federalista.

Si tratta di tre settori assolutamente tra loro complementari e che quindi vanno conglobati in un unico progetto di programmazione del territorio.

Lo sviluppo del turismo, proprio perché rappresenta lo strumento che oggi offre le maggiori potenzialità, è sicuramente l’obbiettivo primario su cui puntare. Ma non ci sarà sviluppo, non si potranno, in questa direzione, studiare e adottare programmi anche a lungo termine , se il territorio non si doterà di quella larga gamma di infrastrutture che, del turismo, sono il lievito e il motore.

Occorrono quindi normative che, calandosi nelle specifiche realtà di ogni parte del territorio, possano incentivare la domanda turistica. Oggi tali normative o non ci sono o sono quasi del tutto inidonee allo scopo. E questo perché, per troppi anni, lo Stato ha ritenuto di poter pilotare lo sviluppo turistico solo dalla stanza dei bottoni di qualche ministero non delegando funzioni e poteri che, per  essere efficaci e assolvere al loro compito, avrebbero dovuto essere, invece, delegati alle istituzioni locali. Si sono fatte decine di leggi quadro che sono rimaste labili e insignificanti cornici. Francia e Spagna hanno agito diversamente e non è certo un caso che la prima abbia oggi il record delle presenze turistiche e la seconda abbia messo a segno una performance di sviluppo che sicuramente le invidiamo.

Non può esserci sviluppo del turismo se non si affrontano anche i problemi dell’ambiente. Potrebbe sembrare un ovvio corollario ma non si può certo dire che, fino ad oggi, questo corollario sia stato preso nella sua giusta considerazione. Questo perché, in campo ambientale, si è operato con un’ottica spesso assai miope dovuta alla mancanza di risorse ma anche- e vale la pena di sottolinearlo- ad una cultura burocratica che , per la sua vischiosità e lentezza nelle procedure, ha prodotto più problemi che soluzioni.

Mancanza di risorse, non c’è dubbio, ma anche un’affastellata e spesso contraddittoria montagna di leggi e normative che, se  ha impedito di risolvere problemi di poco conto, ne ha  ingigantito ed esasperato altri come, ad esempio, quelli dell’abusivismo edilizio, del mancato controllo delle aree boschive , del corso di fiumi e torrenti, della creazione di infrastrutture-reti viarie, aeroporti, collegamenti ferroviari, basi logistiche di raccordo- oggi indispensabili ad uno sviluppo del flusso turistico.

Una montagna di leggi, fiscali e non, che spesso hanno avuto l’effetto di fortemente demotivare le imprese che possono, in varia misura, concorrere allo sviluppo turistico.

Giusto salvaguardare l’ambiente ma che cosa è accaduto fino ad oggi? E’ accaduto che, mentre, da un lato, lo Stato ha assolto, in modo solo assai approssimativo, i suoi doveri di salvaguardia dell’ambiente, dall’altro, ha dato corso ad un sistema di leggi che hanno portato alla creazione di una vera e propria “burocrazia ambientale” che impone alle imprese pesanti oneri. Insomma lo Stato, invece di intervenire per risolvere i problemi ambientali, li ha scaricati, in buona parte, sull’impresa e sul contribuente. Questa “burocrazia ambientale”, non saprei come chiamarla in altro modo, costa ad un’impresa circa 34 milioni di lire l’anno, il 4,5% del costo del lavoro, il 50% del totali dei costi variabili di un’impresa. Un peso eccessivo e che impone pesanti incombenze perché bisogna adempiere non solo a norme farraginose, stratificate, spesso inutili ma che fanno capo a Istituzioni ed enti diversi. Un ginepraio. In più il sistema dei controlli è caratterizzato da un eccesso di regolazione delle attività private e da un accentuato formalismo giuridico per cui anche le controversie giudiziarie , in materia ambientale, durano anni e spesso non approdano ad alcun risultato.

Anche su questo versante la riforma federalista deve produrre un’inversione di rotta il che significa realizzare normative più semplici e meglio coordinate ma anche e soprattutto fare in modo che amministrazioni e imprese lavorino insieme per la tutela ambientale. Perché è assurdo che , dentro le mura di un’impresa, tutti gli obblighi ambientali debbano essere assolti e poi, fuori di queste mura, tutto continui a funzionare come prima o peggio di prima.

L’obbiettivo deve essere quello di individuare, su ogni parte specifica del territorio, un modello idoneo per uno sviluppo sostenibile del turismo e tutti, l’amministrazione in primo luogo, devono concorrere a realizzare questo risultato.

Non c’è attività economica che, più del turismo, garantisca consistenti vantaggi alle economie locali. Il valore aggiunto che viene attivato resta, infatti, per lo più sul territorio che lo ha generato. Si può dire che ogni 1000 lire spese in attività turistica, almeno 800 vanno al territorio e si possono trasformare in investimenti, occupazione, sviluppo, nuove infrastrutture.

Da questo presupposto nasce il nostro modo di intendere il turismo: un prodotto complesso, diversificato, di qualità in cui  crescita e sviluppo non possono prescindere dall’attenzione e dalla cura del territorio inteso come grande contenitore di valori e di proposte, da quelli culturali, a quelli della tradizione, della sicurezza e della logistica infrastrutturale, tutte parti di un unico puzzle.

Se sapremo cogliere l’importanza di questo obbiettivo e sapremo anche creare gli strumenti e favorire le opportunità che ci permettano di raggiungerlo, il nuovo millennio riserverà al nostro paese solo positive sorprese. E quello che tutti noi ci auguriamo.

 

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