SERGIO BILLE' AL CONVEGNO SUL FEDERALISMO

SERGIO BILLE' AL CONVEGNO SUL FEDERALISMO

Roma, 6 marzo 2002 (testo integrale)

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6 marzo 2002
Intervento di Sergio Billè al convegno sul federalismo - 6 marzo 2002

 

Intervento di Sergio Billè al convegno sul federalismo
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6 marzo 2002 -

 

 

Spero che non dispiacerà ai miei illustri interlocutori se, introducendo questa tavola rotonda, parto da un problema per così dire di dettaglio ma che, a mio giudizio, esemplifica, in modo efficace, il vero, primario obiettivo del progetto di riforma federalista che è quello di creare strutture pubbliche che, proprio perché di nuovo conio e strettamente ancorate alle esigenze del territorio, possano non solo progettare e realizzare più efficaci ed incisivi programmi di sviluppo, non solo rafforzare la libera concorrenza di mercato e creare una giusta simbiosi operativa tra funzione pubblica e operatori privati, ma anche offrire al cittadino servizi migliori di quelli che lo Stato centrale è riuscito fino ad ora a dare.

Perché, se così non fosse, se questa riforma non realizzasse veramente questi obiettivi, finirebbe anch’essa relegata, come è accaduto, in passato, per altre riforme, nel libro dei sogni e delle grandi illusioni.

Ed eccolo il non trascurabile dettaglio bene evidenziato ieri, in un’inchiesta, dal Corriere della sera: per fare oggi, nelle strutture ospedaliere pubbliche, una semplice mammografia, indispensabile per la prevenzione e per la lotta ai tumori, vi sono 150 giorni di attesa a Torino, 100 a Venezia, 230 ad Udine, 120 a Catania, 270 a Firenze, 50 a Potenza, 30 a Bologna e a Bari, 37 a Milano.

In Francia e Germania, invece, i tempi di attesa non superano i 3 giorni mentre in Gran Bretagna ce ne vogliono 7 e in Spagna 28.

Ed ecco l’interrogativo: la riforma federalista, con risorse e poteri di gestione totalmente nelle mani delle Regioni, migliorerà questa situazione? E in quanto tempo e con quali costi?

E ,visto che ci sono, passo ad un altro, non trascurabile dettaglio, quello del federalismo fiscale. Con un interrogativo di fondo che per ora non ha ancora trovato adeguata risposta: quando la riforma federalista verrà completata, gli italiani pagheranno più tasse o meno tasse di quante ne pagano oggi?

Non è una domanda retorica e credo che l’alto tasso di vischiosità - non lo saprei definire altrimenti - che sta caratterizzando, nei suoi vari aspetti, il processo di devoluzione del nostro sistema giustifica ampiamente la nostra preoccupazione.

Non vorremmo insomma che, nel costruire questa devolution, ci trovassimo di fronte a problemi simili a quelli della Salerno-Reggio Calabria con centinaia di cantieri aperti per un tempo indefinito, continui ingorghi stradali e costi alle stelle.

Noi ci auguriamo che non sia così ma vorremmo avere prove più tangibili sul fatto che il percorso sarà diverso cioè più rapido, meno costoso, più efficiente. In una parola, virtuoso.

Per ora, con il federalismo in mezzo al guado, i pur timidi segnali di riduzione del carico tributario rischiano di essere completamente vanificati dall’andamento del prelievo fiscale a livello locale che, in questi ultimi anni, si è più che triplicato.

Mi riferisco non solo agli aumenti delle tasse sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni ma anche alle addizionali - cito, ad esempio, l’Irpef - alle imposte erariali. Per non parlare della vera e propria giungla di aliquote, scadenze, detrazioni e modulistica che caratterizzano l’imposta chiamata Ici.

So bene - almeno spero - che l’attuazione del federalismo con il relativo passaggio di poteri e di risorse dallo Stato alle Regioni rimodulerà gran parte di questo sistema di imposizione oggi a dir poco oppressivo, ma sono preoccupato - e non credo di essere il solo - per tutto quel che potrà avvenire, anzi sta avvenendo, in questo lungo e tortuoso periodo di transizione.

Come non è chiaro, non è affatto chiaro come il progetto di riforma fiscale approntato dal governo si sposi, si possa conciliare ed intersecare con i nuovi poteri di imposizione fiscale che verranno assegnati alle Regioni e agli Enti Locali.

Insomma i cittadini, alla fine di questo percorso, pagheranno di più o di meno? O continueranno a pagare quanto pagano oggi cioè troppo? E, detto sempre in soldoni, la riduzione, ad esempio, dei tempi di attesa, che prima ho citato, per una semplice mammografia sarà realizzata, com’è auspicabile, attraverso una profonda riorganizzazione dei servizi sanitari che porti ad una reale diminuzione dei costi e ad un grado maggiore di efficienza oppure, al contrario, cresceranno soprattutto oneri e carichi fiscali del cittadino?

La terza questione che intendo porre su questo tavolo è altrettanto importante e ci interessa ancor più da vicino.

Parlo della necessità che il periodo transitorio della riforma federalista non riduca o addirittura blocchi le attività ordinarie delle imprese.

E’ importante cioè che, fino a quando le Regioni non interverranno con proprie leggi - e di tempo ne dovrà trascorrere parecchio perché ancora bisogna mettere mano all’elaborazione degli statuti regionali, statuti che dovranno dare la misura dell’efficienza di questo federalismo - lo Stato continui a svolgere, possibilmente migliorandolo, il suo ruolo di coordinamento in modo da consentire al mercato di procedere su logiche e direttrici di vero sviluppo.

In attesa che il federalismo sia un fatto compiuto, in tutti i suoi aspetti, il mercato non potrà vivere in una specie di limbo.

Per questo riteniamo necessaria una regolamentazione del periodo transitorio che dia soluzioni certe per quanto riguarda sia gli eventuali conflitti di competenza nell’attribuzione delle materia, sia l’esercizio del potere sostitutivo.

Mi sembra che questo problema non sia stato ancora messo bene a fuoco e occorrerà farlo al più presto perché il rischio è quello di un immobilismo che potrebbe essere un’ulteriore causa di disorientamento del mercato.

Aggiungo, infine, qualche considerazione sul tema della sussidiarietà. Confcommercio ritiene che la sussidiarietà non possa essere ridotta unicamente alla sua accezione, diciamo, “verticale” consistente cioè nella ripartizione e nell’attribuzione agli organi locali - Comuni, Provincie e Regioni - delle competenze che fino a ieri sono state degli organi statali.

Essa deve anche avere un percorso “orizzontale” che consenta il coinvolgimento di organismi, strutture e categorie produttive impegnati anch’essi, in prima linea, nei progetti di sviluppo del territorio.

In questo senso riteniamo fondamentale il riconoscimento istituzionale del ruolo esercitato dalle organizzazioni imprenditoriali che già da tempo interagiscono con la pubblica amministrazione. Mi riferisco, ad esempio, ai centri di assistenza tecnica che, gestendo funzioni pubbliche nella logica dell’economicità e dell’efficienza, hanno anticipato di fatto l’applicazione della sussidiarietà.

Ma il campo di azione dovrà essere assai più ampio perché solo così il federalismo potrà raggiungere i suoi veri obiettivi.

Vorrei concludere con tre brevi considerazioni che restano sullo sfondo di questa discussione che mi auguro possa essere produttiva di risultati.

La prima. Disfiamoci pure di questo Stato centralista, ma evitiamo di creare piccoli feudi territoriali che ripetano i tanti errori - surplus di burocrazia, alti costi, scarsa efficienza - da esso compiuti in tutti questi anni. Sarebbe come cadere dalla padella nella brace.

La seconda. O il federalismo servirà a scompaginare, anzi, speriamo, a debellare tutto ciò che fino ad oggi ha frenato o addirittura impedito lo sviluppo di un libero mercato o sarà un’altra occasione perduta, forse l’ultima, per fare finalmente di questo paese uno Stato moderno.

La terza. Smobilitiamo, ma smobilitiamo sul serio, proprio facendo leva su questa importante riforma, gli ambulacri di una burocrazia romana che ha prodotto fin troppi danni. Ma evitiamo anche che essa metta radici altrove.

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