SERGIO BILLE' AL CONVEGNO SULLA CONVENZIONE EUROPEA

SERGIO BILLE' AL CONVEGNO SULLA CONVENZIONE EUROPEA

Roma, 18 dicembre 2002

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18 dicembre 2002
Intervento di Sergio Billè

Il nostro paese si accinge a scalare, anzi, direi, ha già cominciato a scalare una piramide che, se, da un lato, comporta una serie di problemi, dall’altro, offre certamente al nostro sistema una serie di grandi e, in parte, inedite opportunità.

Ed è ormai chiaro a tutti che, se non si avvieranno a soluzione questi problemi, c’è il rischio, il più che fondato rischio, di non poter cogliere e mettere a frutto queste opportunità.

I problemi sono quelli della riforma del nostro sistema, le opportunità, in vetta a questa piramide, sono quelle offerte dalla Costituzione europea e da tutto ciò che essa, in positivo, potrà produrre nel più breve tempo possibile.

Nessuno di noi può legittimamente pensare alla possibilità che questa piramide si capovolga e che sia la nuova, grande Europa che si va prefigurando a risolvere anche i problemi di cui soffre oggi il nostro sistema-paese. Magari così fosse, ma credo che sia soltanto una pia illusione.

Certo, una Costituzione europea e la conseguente creazione di strutture che siano finalmente in grado di fissare e poi programmare e, successivamente, anche gestire regole e obiettivi di sviluppo - che, sotto il profilo politico, economico e sociale, siano validi per tutti i paesi dell’Europa - è un fatto estremamente positivo che nessuno di noi sottovaluta.

Ma per poter camminare, anzi poter correre con le proprie gambe in questo nuovo contesto cogliendone tutte le opportunità il nostro paese deve riuscire, e nel più breve tempo possibile, a realizzare riforme che, da un lato, aumentino il tasso di competitività del suo sistema economico e, dall’altro, consentano alle imprese di operare in un mercato i cui caratteri distintivi siano finalmente quelli di una maggiore trasparenza e di una maggiore e più sostanziale tutela della libera concorrenza e dei diritti del singolo cittadino. Il che significa affrontare e risolvere, in un unico contesto, problemi di carattere economico e di carattere sociale perché senza risolvere gli uni sarà difficile che si possano risolvere anche gli altri.

Da questo punto di vista, il nostro paese oggi si trova a metà del guado: ha lasciato la vecchia sponda, fatica però assai a raggiungere la nuova. Per nostra fortuna è la stessa Europa a precluderci oggi la possibilità di tornare indietro.

Ecco dunque, detto in soldoni, tutto il nostro problema: entrare in questa nuova, inedita, promettente architettura europea ci dà enormi possibilità, ma per poterle cogliere dobbiamo realizzare prodotti più competitivi e a minor costo. Possiamo diventare uno dei paesi leader della grande Europa, ma, per diventarlo, dobbiamo risolvere prima di tutto problemi che si chiamano riforma del mercato del lavoro, reale rilancio dell’attività di ricerca e di formazione a tutti i livelli, sostanziale revisione di un sistema fiscale, oggi non solo oppressivo ma anche profondamente sperequativo nei confronti della piccola e media impresa, più decisa ed incisiva lotta all’evasione fiscale, quella galassia del sommerso che sottrae oggi enormi risorse anche allo Stato, riforma federalista che potrà essere produttiva di risultati se anche, anzi direi soprattutto riuscirà ad abbassare - ed in misura congrua - quelli che sono oggi gli insopportabili costi di gestione dell’intera macchina pubblica. Se, invece, li aumentasse… beh non ci voglio nemmeno pensare.

Ed, infine, ultimo ma anche primo problema, le infrastrutture. Perché sarebbe paradossale - e mi auguro che questo rischio sia attentamente valutato dai nostri organi di governo - che il nostro paese riuscisse a realizzare prodotti di nuovo competitivi e su tutte le filiere - e tutti ci auguriamo che questo miracolo si realizzi - e poi non riuscisse a portarli a destinazione a costi compatibili perché le grandi vie di scorrimento verso l’Est europeo - la cui grande area sicuramente, nei prossimi anni, rappresenterà un enorme bacino di mercato e di consumi - si trovano solo al di là delle nostre Alpi.

Dopo questa lunga ma più che necessaria digressione, se vogliamo accostarci al nuovo progetto europeo tenendo i piedi saldamente per terra, affronto, per grandi linee, i problemi trattati in questo documento elaborato ed insieme sottoscritto da Confagricoltura e da Confcommercio.

Non vi è dubbio che si sta costruendo qualcosa di importante e di assai innovativo. Mi permetto solo di fare un’annotazione: se questa attività costituente fosse partita con maggiore anticipo, assai prima, ad esempio, che i fatti dell’11 settembre 2001 sconvolgessero l’economia del mondo, forse, e sottolineo forse, le strutture dell’Ue sarebbero state in grado, disponendo di ben altri strumenti operativi, di fronteggiare o comunque di attutire le conseguenze di una crisi che ha rallentato, direi anzi sostanzialmente bloccato, il processo di sviluppo dei paesi europei.

Ma guardare indietro oggi non serve: guardiamo pure avanti. Io credo che la struttura politica che nascerà dal nuovo modello di costituzione europea potrà essere importante se ottempererà ad almeno tre esigenze di fondo.

 

1-       La prima è quella di un, sia pur graduale, processo di omogeneizzazione, verso l’alto e non certo verso il basso, degli strumenti operativi che devono, da un lato, servire a rafforzare la tutela del libero mercato e, dall’altro, diventare le principali leve per una seria, coordinata programmazione dello sviluppo di tutta l’area dell’Ue. E, parlando delle esigenze da affrontare con questi ormai indispensabili strumenti operativi di conio europeo, ce ne è una che mi sembra sovrasti tutte le altre: quella energetica. Da recenti studi ,che ritengo attendibili, risulterebbe che circa il 70% delle riserve di greggio fino ad ora individuate si trovino nell’Arabia Saudita e in altri paesi di quello scacchiere. Entro il 2016 le riserve, invece, del mondo occidentale scenderebbero fino al livello di guardia. Il che comporterebbe, come è facile prevedere, ineluttabili conseguenze anche sul fronte dei prezzi. Terzo elemento: se sono affidabili le proiezioni che oggi si assegnano allo sviluppo economico della Cina e dei paesi di quell’area, almeno un quinto dell’intera produzione di greggio verrà assorbita da questa fetta di mercato mentre gli Stati Uniti aumenteranno i loro bisogni energetici di almeno il 15% dando fondo alle loro già per altro esigue riserve. Quindi, per l’Europa ed anche per la grande Europa, area che, nel suo complesso, non dispone, se non in minima misura, di risorse di questo genere, si pone un problema che non credo vada in alcun modo sottovalutato. Perché, da un lato, sarà difficile che essa potrà ridurre, soprattutto con l’area dell’Est europeo, oggi certamente destinata allo sviluppo economico, i suoi bisogni energetici, dall’altro, non esistono piani che consentano la produzione, anche nel medio periodo, di energie alternative - centrali atomiche, idrogeno, ecc. - che abbiano la valenza e la portata sufficienti per sopperire a questa carenza. L’economia vive di petrolio e tutto lascia pensare che questo tipo di prodotto diverrà sempre più prezioso e più caro. O non vogliamo parlare di questo problema? O vogliamo far finta che questa spada di Damocle non penda oggi sulle nostre teste? Ritengo quindi che questo, e non altri, dovrebbe essere il primo problema da discutere e da affrontare nella costituenda, grande, nuova Europa.

2-       E vengo alla seconda esigenza che ci tocca anch’essa, come l’altra, forse addirittura più dell’altra, da vicino. E’ vero, è indispensabile che noi procediamo e in fretta nella nostra politica di riforme di sistema, ma è altrettanto vero e indispensabile evitare un altro rischio che è nell’aria e che mi sembra più che palpabile. Intendo parlare del rischio che il processo di grande allargamento dell’Unione ai paesi dell’Est europeo marginalizzi, metta nell’angolo, tolga energie e risorse a quella politica euromediterranea che, invece, rappresenta un’esigenza vitale per il nostro processo di sviluppo. Di fronte, ad esempio, ai problemi della Romania, una delle new entry in Europa, quelli del nostro Mezzogiorno potrebbero addirittura apparire, agli occhi di qualcuno, meno critici, meno assillanti, insomma meno urgenti. E, dietro la Romania, all’Est, c’è la fila. Per noi, invece, una politica propulsiva per lo sviluppo dell’Europa mediterranea è essenziale e di tale urgenza da non ammettere ritardi.

3-       La terza esigenza ci riguarda ancor più da vicino ed è quella – bene evidenziata nel documento che oggi presentiamo - di una politica europea che incorpori, assimili, faccia proprie anche le incombenti necessità di settori, come quello agroalimentare e quello delle piccole e medie imprese, che oggi rappresentano la parte più viva, direi peculiare, del nostro sistema economico. Parlo della necessità che la politica europea individui strumenti efficaci per la valorizzazione e la tutela anche di questi settori. Strumenti che devono agire contemporaneamente su più versanti: dalla liberalizzazione del mercato energetico, all’efficienza dei servizi finanziari, ad un rafforzamento della tutela del libero mercato, alla formazione, agli incentivi necessari per la costruzione di reti che consentano una razionalizzazione degli impianti e degli strumenti di distribuzione, alla creazione di infrastrutture – problema da me prima citato - che consentano all’autotrasporto delle merci di raggiungere tutti i mercati con costi che siano compatibili con il sistema.

 

La Costituzione europea e la nuova governance delle istituzioni comunitarie devono far propri, nella prospettiva dell’Europa allargata, il principio di sussidiarietà il che implica, per un verso, strumenti decisionali efficaci (ad esempio, decisioni che, in seno al consiglio europeo, possano essere prese a maggioranza qualificata) ma anche, per altro verso, il rafforzamento dei processi di partecipazione attraverso il Parlamento europeo nonché la possibilità preventiva, per governi e Parlamenti nazionali, di intervenire per rendere davvero efficace il principio della sussidiarietà. E il rispetto del principio della sussidiarietà significa anche altre cose. La necessità, in primo luogo, di modificare il rapporto tra pubblico e privato nel senso che, se vi sono le condizioni, le esigenze di quest’ultimo, del privato, devono poter prevalere. E ancora significa fare in modo che il momento decisionale, sia pure all’interno di una programmazione che sia di ampi confini, sia il più possibile ancorato alle esigenze del territorio e delle imprese che, in esso, operano.

Una sussidiarietà, quindi, non astrattamente enunciata per materie e a compartimenti stagni, ma dinamicamente concepita per funzioni, esigenze ed obiettivi.

Sussidiarietà da sancire anche nel rapporto tra pubblico e privato, da cui discende la necessità di una nuova architettura del dialogo sociale e del confronto che sia più attento e più aderente al ruolo che oggi viene svolto dalle piccole e medie imprese e da tutta l’economia del terziario di mercato.

Sono tutti problemi questi che vanno posti oggi, mentre si lavora alla fase costituente della nuova Europa, e non a posteriori.

Ed è questo il compito e l’impegno che il nostro governo è chiamato ad assolvere.

Perché la costituenda nuova Europa diventi anche la nostra Europa, una Europa che miri alto, abbia grandi orizzonti ma, al tempo stesso, salvaguardi anche le esigenze peculiari del nostro sistema economico. Se no, costruiremo un’Europa di grande respiro, di grande effetto ma che poi, andando al concreto, non produrrà per noi sufficienti benefici. E questo è un rischio che bisogna, credo, evitare. Ad ogni costo.

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