Sergio Billè al convegno sulla riforma del diritto societario

Sergio Billè al convegno sulla riforma del diritto societario

Roma, 10 dicembre 2003

DateFormat

10 dicembre 2003
riassunto

La legge delega di riforma degli enti del libro primo del Codice civile soddisfa un’esigenza, non più rinviabile, volta alla riorganizzazione complessiva della relativa disciplina. Gli interventi compiuti nel settore dal legislatore nell’ultimo decennio hanno infatti abrogato molte norme del codice civile del ‘42, senza tuttavia sostituire all’originario disegno del codice, che aveva una sua intrinseca coerenza, un nuovo assetto normativo.

Con questi interventi sono state costituite direttamente dal legislatore un numero rilevante di associazioni e di fondazioni, per le quali trova applicazione, per quanto non disposto dalle leggi speciali, anche la disciplina del codice civile. Si è così creato un sistema di regole articolato ed eterogeneo, che mira a incentivare fiscalmente gli enti senza scopo di lucro in nome della rilevanza sociale dell’attività da essi svolta, ma che si presenta talora incoerente e foriero di significative disparità di trattamento, oltre a presentare gravi incertezze sulle regole applicabili.

La recente riforma del diritto societario, oltre a costituire un modello per taluni profili di disciplina che la proposta in oggetto ha sostanzialmente accolto, ha poi ulteriormente confermato che molti dei presupposti storici accolti dal codice civile del ’42 per la regolamentazione delle persone giuridiche e delle associazioni non riconosciute sono ormai definitivamente superati.

Le idee di fondo cui la legge Delega si ispira sono così sintetizzabili: 1) favorire la trasparenza dell’azione dell’ente; 2) tutelare i terzi che con esso entrano in contatto; 3) ampliare l’autonomia statutaria; 4) ravvicinare la disciplina degli enti profit e di quelli non profit.

Prima di accennare al come la realizzazione di questi obiettivi di politica del diritto viene concepita nell’ottica del legislatore delegante, è opportuno premettere che con la proposta di legge Delega si intende ripensare gli strumenti giuridici che i privati hanno a disposizione per perseguire finalità sociali, semplificandone l’accesso ma contemporaneamente garantendo i necessari controlli sull’attività svolta (quest’ultimo problema è stato peraltro oggetto di interventi da parte della Corte Costituzionale, con le sentenze nn. 300-301/2003).

A questo riguardo, è opportuno anzitutto operare una distinzione tra gli enti in ordine al controllo operato dall’Autorità indipendente, la cui costituzione è prevista nella proposta. Ad essa dovrebbe infatti riservarsi il controllo specifico su quegli organismi il cui patrimonio sia di apprezzabile consistenza. Anche tale soluzione va letta nel senso di attribuire rilevanza alle ricadute socioeconomiche che l’attività dell’ente è suscettibile di produrre. In tali ipotesi difatti il controllo esterno costituirebbe garanzia di un corretto utilizzo delle risorse destinate a finalità d’interesse generale.

L’art. 2 della proposta prevede inoltre la necessità di distinguere in base allo scopo, all’interno dell’ampio genere degli enti del libro primo, tra quelli che mirano alla realizzazione di uno scopo collettivo, e quelli la cui attività si indirizza a favore degli stessi associati.

Scegliere una diversa gradazione della libertà che l’ente deve possedere nella propria organizzazione comporta l’individuazione di un criterio con cui il livello di autonomia deve essere specificato. Sotto questo profilo la natura e il tipo degli interessi coinvolti svolgono un ruolo fondamentale, consentendo inoltre di escludere che il controllo pubblico possa essere interpretato come un ritorno al dirigismo nelle attività non lucrative. Un’autonomia più marcata è perciò maggiormente compatibile con il coinvolgimento, nell’attività dell’ente, dei soli interessi riferibili agli associati, mentre sono necessarie regole cogenti, anche in tema di controlli, quando ci si trovi di fronte a terzi che ripongono il proprio affidamento sulla realizzazione di un fine di rilevanza pubblica.

Sotto questo profilo, sono stati individuati come indici significativi: 1) il fatto che l'ente riceva donazioni ovvero si procuri il patrimonio facendo appello a pubbliche sottoscrizioni; 2) il volontario assoggettamento ad un regime fiscale speciale o di favore, qual è quello delle fattispecie agevolate e in prospettiva dell'impresa sociale; 3) la realizzazione di forme di integrazione dell’azione privata con la tutela di interessi pubblici; 4) lo svolgimento di attività d’impresa.

In tutti questi casi è indispensabile che l’ente si doti degli apparati organizzativi necessari, al fine di assicurare la trasparenza nella propria azione e la tutela dei terzi, ciò che non può essere disgiunto dalla previsione di adeguati strumenti di protezione degli associati.

Volendo distinguere invece tra persone giuridiche ed enti non riconosciuti, la proposta di legge Delega, per garantire maggiore celerità alle procedure di riconoscimento della personalità giuridica, ha espressamente previsto l’adozione di un sistema di riconoscimento analogo a quello dettato per le società. Venute meno le ragioni storiche che avevano indotto a distinguere un riconoscimento normativo per le società, e un sistema discrezionale con cui la Pubblica Amministrazione valutava la meritevolezza degli scopi perseguiti dagli enti del primo libro, celerità e pronta disponibilità sono gli scopi che ci si prefigge di ottenere nell’utilizzo da parte dei privati degli schemi associativi. Ciò è tanto più auspicabile nel momento in cui il rilancio normativo di associazioni e fondazioni sembra costituire la presa d’atto, da parte del legislatore, della sempre maggiore attività di supplenza che i privati svolgono in ordine ad attività un tempo tipicamente riservate al Welfare State.

Venendo alle novità relative ai singoli enti, sarà sufficiente qui accennare, in tema di associazioni riconosciute, alla previsione di un’accentuata autonomia organizzativa e all’accento che la proposta appone sulla necessità di garantire il metodo democratico nelle decisioni maggiormente rilevanti per gli associati. Da segnalare inoltre, tra le tante novità, la severa sanzione che riceve il mancato rispetto da parte degli amministratori di taluni obblighi gestionali sostanzialmente coincidenti con aspetti della disciplina societaria riformata (si pensi ad esempio alla previsione, all’interno del consiglio di amministrazione, di un comitato interno di controllo sulla gestione ovvero di un organo autonomo incaricato del controllo contabile e sull’amministrazione, la quale replica l’alternativa tra modello monista e dualista ora accolta nel codice civile).

Le associazioni non riconosciute, di cui si conferma la natura di «forma residuale e generale dell’esercizio collettivo di un’attività non societaria», presentano nella proposta un significativo rilievo per quanto attiene alla responsabilità per le obbligazioni nascenti da fatto illecito, di cui si chiede un’opportuna precisazione.

Tra gli enti per i quali appare più urgente la necessità di radicali riforme, la fondazione è senz’altro l’istituto che si propone con maggiore evidenza all’attenzione del legislatore riformante. Oltre al significativo impulso che l’istituto ha ricevuto a seguito dell’attività delle fondazioni bancarie, preme sottolineare come, nell’ambito della concorrenza tra ordinamenti giuridici, sia essenziale approntare schemi competitivi nel diritto interno, i quali possano confrontarsi con successo con i più consolidati istituti stranieri.

La fondazione appare, sotto questo profilo, bisognosa di un più efficiente assetto di regole, che dovrebbe coordinarsi con la valorizzazione di taluni strumenti normativi previsti nelle disposizioni vigenti ma mai adeguatamente incentivati (si pensi, nell’ottica del confronto con il trust, a quanto previsto nell’art. 32 del Codice Civile in ordine ai beni lasciati o donati ad una persona giuridica per uno scopo diverso da quello suo proprio).

Altro profilo di notevole interesse è la distinzione, recepita dalla proposta di legge Delega, tra fondazioni di utilità privata e fondazioni di utilità collettiva, la quale costituisce l’innovazione di carattere più significativo rinvenibile sul punto.

Specie per quanto concerne le fondazioni di utilità privata, è possibile riprendere quanto poc’anzi si diceva sulla competizione tra istituti, poiché le esigenze che la futura disciplina dovrà soddisfare sono spesso legate all’ampiezza dell’autonomia statutaria, i cui vincoli in passato hanno costituito un impedimento alla piena esplicazione delle potenzialità insite nello schema fondazionale, determinando il ricorso a strumenti giuridici di altri ordinamenti. La libertà di determinare l’assetto organizzativo della fondazione viene perciò significativamente riconosciuta nella proposta.

Inoltre, la possibilità dei privati di perseguire tramite la fondazione scopi assistenziali riceve poi un significativo sostegno dalla previsione relativa alla deroga all’esercizio dell’azione di riduzione, qualora sia stata costituita una fondazione allo scopo di amministrare un patrimonio a favore di soggetti deboli, incapaci di curare i propri interessi, predeterminati in maniera definitiva e le cui rendite siano individuate e destinate al loro mantenimento.

Quanto alle fondazioni di utilità collettiva, le regole proposte sono dirette a contemperare la necessità di un assetto organizzativo funzionale all’efficace perseguimento dello scopo statutario con criteri di amministrazione informati alla trasparenza nell’azione dell’ente.

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca