Sergio Billè all'audizione al Senato sulla Finanziaria

Sergio Billè all'audizione al Senato sulla Finanziaria

Roma, 8 ottobre 2003

DateFormat

8 ottobre 2003
CASARTIGIANI- CNA-CONFAPI-CONFCOMMERCIO-CONFCOOPERATIVE

 

Vorrei arrivare subito al punto illustrandovi i motivi di fondo per i quali riteniamo che questo disegno di legge finanziaria e il decreto legge per lo sviluppo che l’accompagna siano entrambi insoddisfacenti e sostanzialmente inadeguati rispetto agli obiettivi di crescita che il Governo si propone di realizzare nel 2004. E i motivi che legittimano le nostre perplessità sono, in estrema sintesi, sostanzialmente tre.

 

Primo: non si comprende come, in presenza di una crisi economica internazionale che, allo stato delle cose, appare tutt’altro che risolta, il Governo possa considerare come dati già acquisiti sia un aumento delle esportazioni del 5,6%, a fronte del –1,5% del 2003, sia un aumento delle importazioni del 7,4%, a fronte del 2% di quest’anno.

Per saltare, cioè, dall’attuale sponda, sicuramente caratterizzata da una forte crisi congiunturale che ha ormai tutti i connotati della recessione, a quella di uno sviluppo di tale entità e portata, occorrerebbero, infatti, strumenti e soprattutto risorse che né il decreto per lo sviluppo né la legge finanziaria oggi contengono.

 

Secondo: gli strumenti predisposti dal programma del Governo a sostegno della domanda delle famiglie non sono certamente sufficienti per portare i consumi interni dall’attuale fase di sostanziale stagnazione ad un aumento del 2,3%. Per realizzare, nell’arco di un solo anno, questo forte stimolo della domanda interna occorrerebbe porre mano a strumenti, soprattutto di carattere fiscale, che, nelle misure predisposte dal Governo, appaiono esigui, ed anzi, per certi versi, inesistenti. E siccome sono i consumi interni a determinare oggi almeno il 60% del nostro prodotto interno loro, è la stessa crescita complessiva ad essere, anche per il 2004, a forte rischio. La sottovalutazione di questo problema ci sembra oggi la questione più grave.

 

Terzo: se da un lato appare assai difficile - i dati reali ci dicono, infatti, l’esatto contrario - che si riesca a realizzare l’obiettivo programmatico della riduzione della crescita della spesa complessiva della pubblica amministrazione dall’1,4% del 2003 allo 0,9% del 2004, dall’altro non si comprende come possa realizzarsi, partendo dal meno 0,6% di quest’anno, un aumento degli investimenti del 3,5%. E questo perché non si è data fino ad ora risposta a quella che resta la vera incognita di fondo: con quali risorse, data la crisi della domanda interna e delle esportazioni, il Governo possa, per un verso, fronteggiare i problemi di contenimento del debito e, per altro aspetto, rafforzare, invece, gli impegni di spesa per gli investimenti, soprattutto nel campo delle infrastrutture.

 

E’ già accaduto più volte, nel corso degli ultimi due anni, che il Governo, a causa dell’aggravarsi della situazione economica, sia stato costretto a rivedere al ribasso e in modo sostanziale tutte le sue previsioni di crescita e i suoi impegni di investimento, provocando di conseguenza un forte ridimensionamento delle aspettative delle imprese e delle famiglie.

Non vorremmo - e il rischio c’è ed è assai palpabile - che, anche nel 2004, si dovesse ripetere un’analoga situazione con altre ed improvvise docce scozzesi che il mercato difficilmente sarebbe ancora in grado di sopportare.

 

E, da parte nostra, c’è un altro, forte elemento di critica: il fatto che, ancora una volta, il Governo abbia sostanzialmente disatteso l’impegno, che pure ufficialmente aveva assunto, di far precedere il varo del disegno di legge finanziaria da un’ampia e questa volta sostanziale concertazione con le parti sociali.

Ebbene la concertazione anche questa volta ha assunto, invece, aspetti più formali che fattuali, non consentendo di valorizzare il contributo che le parti sociali avrebbero potuto fornire per l’individuazione di strumenti che potessero davvero servire a condurre la nostra economia sul binario della ripresa e dello sviluppo.

Le nostre previsioni, rispetto a quelle del Governo, ci sembrano caratterizzate da un’impostazione più realistica.

 

 

DPEF LUGLIO '03

RPP SETTEMBRE ‘03

CONFCOMMERCIO

 

2003

2004

2003

2004

2003

2004

 PIL

0,8

2,0

0,5

1,9

0,3

1,1

 Importazioni

3,7

6,8

2,0

7,4

1,8

3,9

 - Spesa delle famiglie residenti

1,2

1,8

1,8

2,3

1,1

1,2

 - Spesa delle AP

1,4

0,2

1,4

0,9

1,4

1,1

 Investimenti

0,8

4,2

-0,6

3,5

-2,0

2,5

 Esportazioni

2,0

6,3

-1,5

5,6

-1,5

3,0

 

 

 

 

 

 

 

 DEFICIT/PIL

2,3

1,8

2,5

2,2

2,5

2,4

 DEBITO/PIL

105,6

104,2

106,0

105,0

106,0

105,4

 

 

Lette nel loro insieme, queste nostre previsioni dicono che l’inflazione va tenuta sotto controllo, ma rilanciare la crescita è il problema fondamentale in Italia, in Europa ed in ogni altro mercato.

 

Colpisce pertanto, in sede di decreto, la lettura politica delle tensioni esistenti sulla struttura dei prezzi che - anziché analizzare passaggi e strozzature di filiera e rilevare la caduta di attenzione sulla politica dei redditi – si rifugia nella tecnica antica, inefficace ed impraticabile del “bastone” e della “carota”, mobilitando, per un verso, la Guardia di Finanza ai fini della revisione degli studi di settore e incentivando, per altro aspetto, panieri di beni di largo e generale consumo, distinguendo tra esercizi commerciali meritevoli o meno in ragione dei prezzi praticati.

Rimettere al centro del confronto tra Governo e parti sociali la politica dei redditi è invece la questione oggi prioritaria, affinché venga salvaguardata – attraverso obiettivi e vincoli condivisi tra pubblico e privato - la coerenza tra il tasso d’inflazione programmata, fissato nel Dpef all’1,7%, e le stime del tasso medio d’inflazione su base annua intorno al 2,4% per il 2003, e le previsioni intorno al 2% per il 2004.

 

 

Il Fisco

 

La manovra per il 2004 conferma le scelte di composizione quantitativa e qualitativa esposte nel Dpef: un terzo di misure a carattere permanente, due terzi di misure one-off.

Quel che ci interessa, e naturalmente ci preoccupa, non è il dibattito su vizi e virtù comparative di misure strutturali ed “una tantum”. Quel che ci preoccupa è che, nel complesso, secondo lo stesso Dpef, la pressione fiscale dovrebbe restare al di sopra del 40% anche a fine legislatura e che, nell’ultimo anno, secondo i dati della Banca d’Italia, si sia attestata intorno al 41,6%.

 

Condoni e concordati sui ricavi incrementali rispetto ai parametri di congruità e coerenza emergenti dagli studi di settore concorrono alla determinazione di questi livelli di pressione fiscale ed introducono condizioni di eccezione straordinaria alle regole contributive, che rischiano, se ripetutamente confermate, di ingenerare attese patologiche.

 

Per l’adesione al concordato preventivo, sui ricavi di partenza del 2001 - costituiti dal maggior valore tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore, con possibilità di adeguamento al maggior valore di questi ultimi - opererà, come noto, un incremento del 9% per il periodo d’imposta 2003, ed un ulteriore incremento del 4,5% rispetto al 2003 per il periodo d’imposta 2004. Sul versante del reddito d’impresa o di lavoro autonomo, opera – a salvaguardia della tenuta del gettito – un incremento parallelo del 7% per il primo periodo d’imposta e del 3,5% per il secondo.

 

Tali incrementi non tengono, a nostro avviso, conto delle difficoltà del ciclo congiunturale apertosi proprio nel 2001, talché la loro mitigazione appare condizione essenziale per l’atteso concorso dell’istituto alle entrate dello Stato.

Troviamo poi davvero sorprendente che, anche a fronte del debutto dell’aliquota IRES al 33%, si sia interrotto, nel contesto della prossima Legge Finanziaria, il processo di depurazione, a partire dalle PMI, della base imponibile dell’IRAP dalla componente costituita dal costo del lavoro.

 

Rispetto a questa esigenza, che ci sembra ancora oggi compatibile con i margini della manovra, un intervento limitato alla riduzione dell’incidenza della pressione fiscale per incentivare il rientro in Italia dei ricercatori residenti all’estero sortirà per un verso effetti scarsamente apprezzabili in termini di sostegno alla competitività delle imprese, mentre – per altro aspetto – non darà risposta alla questione centrale: ridurre gli effetti distorsivi dell’IRAP sulle imprese work-intensive.

 

Tanto per le ristrutturazioni edilizie quanto per un settore fondamentale per la nostra economia quale è quello del turismo, resta poi determinante l’accelerazione del confronto tra i Governi dell’Unione europea sul tema della riduzione delle aliquote IVA. Ciò anche al fine di consentire il coordinamento tra la previsione del disegno di legge finanziaria che proroga, per tutto il 2004, la detrazione Irpef del 36% per le ristrutturazioni edilizie con la proroga, operata con il decreto solo fino a dicembre 2003, per l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta.

 

In ogni caso, potrebbe e dovrebbe essere adottato, in sede di legge finanziaria, il provvedimento volto a consentire la detraibilità IVA per il cosiddetto turismo d’affari, misura già adottata da importanti competitori all’interno dell’Unione europea.

 

Proprio in ragione del nesso intercorrente nella struttura di riforma del sistema fiscale varata dal Governo tra nuovi scaglioni di aliquote sui redditi personali, progressività e deducibilità, occorre poi che le politiche di sostegno alla domanda facciano leva sugli strumenti delle detrazioni e delle deducibilità, confermando e potenziando il modello d’intervento già in opera per le ristrutturazioni edilizie, anche in direzione di una più ampia gamma di beni di consumo ed anzitutto di quelli connessi al sistema-casa.

 

E’ questo, a nostro avviso, il modo per costruire una politica per le famiglie meno episodica – rispetto alla logica dell’assegno di natalità - e più orientata a consentire un accesso al mercato ed ai suoi servizi, che possa dare risposta alle domande dei nuclei familiari, degli anziani ed alla crisi della natalità.

 

In materia di accise, ed in attesa che in attuazione della delega per la riforma del sistema fiscale si proceda al loro riordino sistematico, segnaliamo la necessità e l’urgenza che l’aliquota agevolata relativa al gas metano per uso industriale venga applicata anche alla distribuzione commerciale.

 

Quanto al Patto di Stabilità Interno, la proroga dell’operatività dell’Alta Commissione per il Federalismo non è certamente sufficiente, da sola, a risolvere il vero e proprio cono d’ombra dal quale sembra essere avvolta la questione del federalismo fiscale nell’ambito di una transizione attenta all’asse del riassetto delle competenze tra i soggetti istituzionali, ma non altrettanto pronta ad interrogarsi sul rapporto tra costi e benefici per cittadini ed imprese e sulla necessità della compiutezza e certezza degli ordinamenti normativi ed amministrativi.

 

Peraltro, i blocchi delle addizionali lasciano esposti questi cittadini e queste imprese ad una crescita liberamente compensativa e non governata del peso dei tributi locali.

 

 

Innovazione ed incentivi

 

Dall’esame del decreto e della legge finanziaria, emerge poi la scelta di connotare gli strumenti di sostegno agli investimenti delle imprese in direzione del riconoscimento della centralità dei processi di innovazione, ricerca e sviluppo.

Questa scelta coglie, indubbiamente, uno degli snodi centrali della sfida competitiva con cui le imprese italiane si stanno confrontando. Al riguardo riteniamo però necessarie due segnalazioni fondamentali.

 

Occorre, anzitutto, che nuovi strumenti di sostegno, o la revisione di quelli esistenti, tengano in debito conto l’esigenza della tempestività dei tempi operativi e della certezza, stabilità ed adeguatezza delle dotazioni finanziarie di riferimento. Ed ancora, se si riconosce che innovazione, ricerca e sviluppo sono questioni centrali per l’insieme del sistema produttivo del Paese, non se ne può allora non ricavare la necessità che vecchi e nuovi strumenti operino compiutamente secondo una logica di selezione di merito dei progetti, superando riserve a monte di tipo settoriale e/o dimensionale, a partire dall’accesso agli esistenti FAR e FIT ed ai nuovi prospettati interventi a valere sulle risorse derivanti dalle operazioni di cartolarizzazione.

 

Quanto alla cosiddetta “Tecno-Tremonti”, sarà essenziale – per la definizione della sua capacità d’impatto – una più precisa indicazione delle iniziative ammissibili ai fini dell’accesso alla detassazione degli utili reinvestiti, per ora genericamente ricomprese sotto la cifra della ricerca e sviluppo. E se è importante, sul versante dell’export, il sostegno alla partecipazione alle fiere all’estero, altrettanto rilevante sarebbe – in una logica di valorizzazione del mercato interno – analogo riconoscimento e sostegno per le spese indirizzate al marketing, alla comunicazione ed alla pubblicità.

 

Il sostegno all’export trova poi logica integrazione nelle misure di rafforzamento dei marchi e dei diritti di proprietà intellettuale e del ruolo delle dogane.

Le iniziative per la realizzazione di poli d’eccellenza (Istituto Italiano di Tecnologia e Collegio d’Italia) sono certamente utili. Ma, intanto, occorrerebbe concentrare gli sforzi sulle eccellenze già presenti nel sistema della ricerca italiana, favorendo la collaborazione tra le imprese e l’Università, in una logica di valorizzazione e costruzione di distretti produttivi integrati.

 

L’impegno per l’innovazione è questione emergente ed urgente per le imprese italiane. Non può però essere dimenticato che altrettanto urgente, ed emergente rispetto all’impatto dei parametri di Basilea 2 in materia di rating creditizio, è la questione storica del rapporto tra impresa diffusa e sistema bancario, tanto sul versante delle condizioni di accesso al credito quanto su quello dei costi dei finanziamenti.

 

Per questo ben venga la decisione di affrontare, in sede di decreto, la riscrittura delle regole ordinamentali e di esercizio della garanzia mutualistica nel nostro Paese. Occorre, però, rispetto alle soluzioni adottate con l’attuale testo del decreto, introdurre alcuni elementi di gradualità, che accompagnino l’evoluzione del sistema consortile.

 

Andranno inoltre verificati gli effetti concreti degli incentivi alla quotazione e delle riduzioni d’imposta per gli organismi di investimento specializzati in società quotate di piccola e media capitalizzazione.

 

Resta poi essenziale per l’impresa diffusa e per le piccole e medie imprese industriali la questione dell’adeguato finanziamento del Fondo Unico per gli incentivi, istituito presso il MAP, che alimenta un’ampia gamma di interventi regionalizzati - tanto più importanti in relazione al trasferimento federalista di compiti determinanti per le politiche di sviluppo alle Regioni - come peraltro è già stato puntualmente segnalato dalla Commissione Attività Produttive della Camera.

 

Innovazione ed incentivi, ancora, dovrebbero essere declinati, a nostro avviso, anche sul terreno delle politiche per la sicurezza, rinnovando l’impegno, già espresso nella finanziaria dello scorso anno, al sostegno dei processi di adozione di tecnologie di sicurezza.

 

Ricordiamo, infine, l’inadeguatezza delle misure di sostegno all’emittenza locale, che prevedono un incremento, nel 2004, di soli 10 milioni di euro, a fronte della previsione di 50 milioni di euro contenuta negli Ordini del Giorno di Senato e Camera, già accolti dal Governo.

 

 

Le risorse per il Mezzogiorno

 

Gli otto miliardi di euro di rifinanziamento del Fondo per le aree sottoutilizzate vengono spalmati nel triennio attraverso una ripartizione che prevede, per il 2004, soltanto 100 milioni di euro, circa 1.161 milioni di euro nel 2005, 6.350 milioni di euro nel 2006. Nel 2007, sono previsti poi 2.700 milioni di euro.

L’operatività del Fondo, nel 2004, dovrebbe essere comunque assicurata dalla dotazione già disponibile per circa 8 miliardi di euro, utilizzabili – secondo la flessibilità del Fondo – anche per gli interventi di incentivazione gestiti dal Ministero delle Attività Produttive, a fronte del loro mancato rifinanziamento, ivi compresa la “488”.

Rispetto alla quale è urgente un ripensamento complessivo che tenga conto dei suoi effetti reali e settoriali in termini di consolidamento e crescita dell’occupazione e di capacità di riorientare la struttura produttiva del Mezzogiorno.

 

 

Infrastrutture e servizi

 

Esiste un nesso forte tra deficit di produttività e deficit competitivo di dotazione di stock infrastrutturale. Ma proprio i vincoli derivanti dal quadro della finanza pubblica richiedono una più attenta selezione delle priorità, che privilegi, ad esempio, le infrastrutture essenziali per la catena logistica in relazione agli assetti produttivi di livello territoriale. All’interno di questo approccio, bisogna poi migliorare la capacity-building di amministrazioni ed enti di spesa, anche come condizione preliminare ad un più marcato ricorso al project-financing.

 

Restano queste, a nostro avviso, le priorità d’azione sul versante delle infrastrutture. Restano questi gli interrogativi che vanno sciolti per rendere più concreta la cornice di riferimento dell’”Azione Europea per la Crescita” e la connessa strategia di finanziamento fondata sulla capacità di indebitamento della Banca Europea per gli Investimenti e, per quel che riguarda l’Italia, sulla trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in società per azioni.

 

 

Le privatizzazioni

 

Ridurre e riqualificare la spesa pubblica corrente resta una priorità per il Paese, posto che lo stock complessivo di debito pubblico ci conferma al primo posto della poco lusinghiera classifica tra i paesi membri dell’Unione europea, con un valore prossimo al 105% sul Pil nel 2004.

 

Rispetto a questa necessità, giudichiamo positive le norme volte a favorire la ripresa e l’accelerazione del processo delle privatizzazioni. L’esigenza di trasparenza va tuttavia riferita non solo agli aspetti procedimentali delle privatizzazioni, ma anche e soprattutto all’obiettivo finale di conseguire liberalizzazioni produttive di apprezzabili benefici per l’utenza finale.

Mentre, in considerazione delle economie più stimate che verificate derivanti dal sistema delle convenzioni Consip, segnaliamo l’esigenza di confermare le previsioni di cui all’art. 15 del decreto , concernenti la soppressione dei commi 1 e 2 dell’art. 24 della legge finanziaria dello scorso anno (soglia e soggetti obbligati).

 

 

Il condono edilizio

 

Rispetto alle chiare esigenze di cassa - con una previsione di entrate per oltre 3 miliardi di euro - che hanno portato all’assunzione della decisione di un condono edilizio pesante ed esposto ai pericoli del contenzioso derivante dal carattere concorrente del governo del territorio nel quadro costituzionale attualmente vigente ed al suo impatto sui comportamenti tanto dei privati che della funzione pubblica, può essere comunque segnalato l’intento di procedere al finanziamento dei fondi di riqualificazione, difesa idrogeologica e paesaggistica. Importante è inoltre la previsione dell’obbligo per i Comuni di adottare entro tempi stretti gli strumenti urbanistici, laddove ne siano privi, pena lo scioglimento dei Consigli.

 

Ma il condono edilizio resta, anzitutto, uno dei capitoli determinanti per la composizione della parte della manovra affidata alle misure one-off, accanto alla cessione di immobili di proprietà dello Stato per circa 5 miliardi di euro ed alla cessione e riaffitto di immobili d’uso governativo per circa 1 miliardo di euro. A fronte di questa esigenza, non può però essere sottaciuta la necessità di chiarire la portata del combinato disposto dei commi 21 e 22 dell’art. 32 rispetto alla rideterminazione dei canoni demaniali.

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca