SERGIO BILLE' ALL'INAUGURAZIONE DELLA BIT

SERGIO BILLE' ALL'INAUGURAZIONE DELLA BIT

Milano, 20 febbraio 2002 (testo integrale)

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20 febbraio 2002

Tutti noi ovviamente ci auguriamo che la brusca frenata registrata dal turismo a seguito degli attentati dell’11 settembre possa diventare, entro breve tempo, solo un brutto e lontano ricordo. Ma, vista in controluce e attraverso un obbiettivo quadrangolare, questa inattesa e drammatica crisi è servita anche a rimettere a fuoco e ad evidenziare una serie di carenze e di debolezze strutturali che questo importante settore dell’economia italiana si porta dietro da parecchi anni e che non sono state certo superate.

Quest’anno cioè non continueremo solo a subire, sia pure in forma che ci auguriamo possa essere attenuata, i rimbalzi negativi di una recessione mondiale che perdura e che produce pesanti effetti - penso, ad esempio, al vero e proprio crollo del turismo giapponese - in molti paesi, ma anche a dover far fronte ai non risolti problemi di tipo strutturale, problemi che si vanno, anzi, via via trascinando ed incancrenendo al punto da mettere in forse, a causa anche della sempre più forte concorrenza esercitata da altri paesi, lo sviluppo di questo settore che, almeno sulla carta, tutti continuano ad indicare, invece, come uno dei veri pilastri della nostra economia per gli anni 2000.

La verità è che, per ora, è un pilastro fatto solo di un impasto di argilla tanto che basterebbero forse altri tre o quattro forti scrolloni del tipo di quello prodotto dagli attentati dell’11 settembre per minarne seriamente la stabilità o per ridurlo - ipotesi che definirei però sciagurata - addirittura in briciole.

Di argilla, certo, di impasto di sola argilla per tre motivi che qui vorrei ricordare. Il primo è la grave, perdurante e generalizzata carenza di infrastrutture che costringe l’operatore turistico a sottodimensionare gli investimenti, a programmare a singhiozzo quel che, invece, andrebbe programmato a lunga scadenza, ad accollarsi spesso anche oneri e costi impropri quali quelli prodotti dai tanti disservizi e disfunzioni di cui ancora soffre il sistema: trasporti inadeguati e sprogrammati, reti viarie e ferroviarie insufficienti, grave inadeguatezza dei servizi alla persona soprattutto nelle medie e grandi aree urbane. Fino a quando l’operatore turistico dovrà caricarsi di oneri e responsabilità che, invece, dovrebbero competere, in toto, allo Stato, il nostro turismo continuerà a procedere su binari a scartamento ridotto e a rischiare il peggio.

Pensare che il turismo italiano possa affrontare oggi, con carte vincenti, la sempre più forte ed agguerrita concorrenza mondiale senza avere alle spalle uno Stato che risolva tutti i problemi logistici che sono la conditio sine qua non per lo sviluppo di questo settore è solo una pia illusione.

Qualcosa, con il nuovo governo, si sta muovendo e noi gliene diamo volentieri atto, ma non ci sembra che, per questo settore, sia stato ancora messo a punto un vero, organico piano di intervento, un programma in cui vengano scadenzati gli investimenti per far fronte a tutte le carenze infrastrutturali, affrontati problemi come quello, ad esempio, dell’informatizzazione del sistema, individuata e messa a fuoco la filiera degli interventi di promozione, interventi che oggi o sono soltanto episodici o di comprovata inefficacia, per non parlare, infine, della necessità di mettere a punto un piano che consenta di trasformare, in tutte le parti del territorio, la nostra enorme ricchezza museale ed archeologica in una vera e programmata attrattiva turistica.

E il terreno argilloso diventa addirittura franoso quando si tocca il mezzogiorno, la cenerentola del nostro turismo. Qui il problema ha risvolti addirittura paradossali. Mi limito a citare il più eclatante di essi cioè la situazione in cui si trova oggi Pompei. Nonostante che, nell’ultimo anno, gli scavi e il Santuario siano stati visitati da 3 milioni di turisti, il degrado della città continua inesorabile: i 1200 posti letto delle attrezzature alberghiere si sono ridotti a 600 con un volume di affari complessivo che non supera i 50 milioni di euro e sole 750 persone occupate nel settore del turismo mentre, ad esempio, Lourdes ha 24 mila posti letto con 12 mila occupati e un volume di affari che supera il miliardo di euro. Ma a Pompei, cosa che certamente non è accaduta, invece, a Lourdes, il consiglio comunale è stato sciolto nell’agosto del 2001 per infiltrazioni camorristiche. Credo che questo episodio si possa commentare da solo e dica con chiarezza quali tipi di intervento sono indispensabili per far uscire il turismo del Mezzogiorno da questa non certo invidiabile situazione. E se a Pompei, alla fine, qualcosa è cambiato, quante sono le città del Sud di sicura attrazione turistica in cui, invece, continua a non cambiare nulla?

Il terzo motivo è forse il più attuale e spinoso di tutti: fino a quando le imprese turistiche saranno sottoposte ad una pressione fiscale che tra imposte dirette, indirette e tutti gli oneri impropri a cui prima ho accennato raggiunge e spesso addirittura supera il 50% sarà difficile, direi improbabile che questo settore possa strutturarsi in modo da affrontare la competizione mondiale che ormai si è aperta anche, anzi soprattutto nel settore turistico.

Nei giorni scorsi il presidente del Consiglio, Berlusconi ha firmato con il premier britannico Blair un documento certamente importante che, nel vertice europeo di Barcellona, sarà argomento di discussione. Giusto e sacrosanto riferirsi ai moduli già da tempo sperimentati e con successo in Gran Bretagna per quanto riguarda la flessibilità del mercato del lavoro e la libera iniziativa delle imprese giudicati come corollari di un vero sviluppo dell’economia. Ma a questo documento manca un tassello significativo, quello della pressione fiscale che, in Gran Bretagna, è del 38,9% mentre in Italia continua a superare la soglia del 43%.

Proviamo, se proprio vogliamo agire in parallelo, a togliere prima di tutto questi tre punti alla nostra pressione fiscale e poi parliamo pure del resto. Seguiamo pure altri modelli, ma allora copiamoli in tutta la loro sostanza.

Perché solo diminuendo i carichi delle imprese, carichi eccessivi, in Italia, per tutte le ragioni che ho cercato fin qui di esporre, la competizione potrà ripartire e trasformare il turismo in un vero pilastro, questa volta di cemento armato, della nostra economia.

 

 

II Parte (Tavola rotonda)

Guerre a parte, terrorismo a parte, fenomeni che, come abbiamo visto, possono avere sull’economia implicazioni devastanti come è avvenuto dopo gli attentati dell’11 settembre, il turismo è sicuramente una delle attività economiche dal futuro più garantito.

Negli ultimi dieci anni il suo fatturato è aumentato in misura esponenziale, ma tutto fa ritenere, a meno che non intervengano fatti eccezionali e per ora imprevedibili come, ad esempio, cento 11 settembre che si riproducano a catena in tutto il globo, che siamo all’inizio di una nuova era.

Basterà che, nei prossimi dieci o vent’anni, 100, 200, 300 milioni di cinesi decidano di prendere la valigia, per far saltare i pennini anche delle più ottimistiche delle previsioni.

L’incognita è dove e come si spalmerà questa nuova, colossale ricchezza, quali paesi ne potranno trarre più giovamento, quali corsie preferenziali deciderà di percorrere il turismo di massa.

Sulla carta, ma solo sulla carta, molti paesi appaiono avvantaggiati e fra di essi c’è certamente l’Italia, paese che, disponendo di un’invidiabile, forse unica ricchezza di beni culturali e paesaggistici, può offrire attrattive turistiche di primissimo piano.

Ma quanto peso potrà davvero avere, nella pianificazione del turismo mondiale, la qualità dell’offerta? Non prevarranno, invece, in questa pianificazione, altri criteri, altri moduli, altri obbiettivi? E il turismo di massa, supportato da una pianificazione che dovrà essere a basso costo ed esente da rischi di carattere economico, non finirà per conglobare anche il turismo di qualità nella stessa corsia? O, al contrario, si creeranno due corsie assai differenziate tra loro con la seconda destinata solo al turismo di élite che si può permettere esborsi notevoli? E i 100, 200, 300 milioni di cinesi viaggeranno allora tutti sull’altra corsia?

Sono tutti interrogativi che ci riguardano da vicino e ai quali dovremmo cominciare a dare risposte più convincenti di quelle che si sono date fino ad ora.

Tre punti vanno comunque messi subito in chiaro. Il primo è quello dell’efficienza del sistema che produrrà l’offerta turistica. Non basterà l’appeal della qualità dell’offerta, occorrerà che essa sia supportata da una programmazione in grado di rendere efficienti e di pianificare al massimo tutti i servizi di sostegno. Chi non programmerà questi servizi rischia di restare fuori da qualsiasi giro.

Secondo punto. Non avrà futuro chi non provvederà all’informatizzazione di tutta l’offerta turistica. Noi, da questo punto di vista, siamo quasi a zero. Perciò o ci muoviamo in fretta in questa direzione o anche il turismo di qualità rischia di essere convogliato altrove. La mancanza, ad esempio, di qualsiasi informatizzazione del sistema nel nostro Mezzogiorno unita ad una grave carenza di infrastrutture di base ha fatto sì che la maggior parte dei tour operators abbia, di fatto, “cancellato” quest’area dai loro itinerari.

Terzo, occorre che ogni tipo di attività turistica sia supportata da programmi promozionali e da investimenti che non possono che essere di competenza dello Stato. Il decollo del turismo spagnolo è stato possibile perché Stato e impresa hanno saputo lavorare in perfetta simbiosi. Altrettanto fa il governo francese . Non posso dire ancora altrettanto, anche se alcuni passi avanti in questa direzione sono stati fatti, del governo italiano.

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