Sergio Billè all'inaugurazione della mostra fotografica per il 60° anniversario di Confcommercio

Sergio Billè all'inaugurazione della mostra fotografica per il 60° anniversario di Confcommercio

Roma, 12 aprile 2005

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12 aprile 2005
Vi sono molti modi per misurare il grado di sviluppo di una società e della sua economia , ma il più pragmatico e il più affid

 

 

 

 

 

 

 

 

Intervento del Presidente

Sergio Billè

 

 

 

 

 

Inaugurazione Sessantennale Confcommercio

 

 

Spazio Etoile - Galleria Castani

 

 

12 aprile 2005

 

 

 

 

 

 

 

Vorrei prima di tutto ringraziare il Presidente della Camera, le autorità e tutti i presenti per aver voluto partecipare ad un evento che intende avere un duplice significato: ricordare, da un lato, il 60° anniversario della costituzione di Confcommercio e, dall'altro, proprio facendo leva su questo momento celebrativo, dare significato, valenza storica e sostanza all'operosità di un settore dell'economia che, nel corso degli anni, non ha mai abbassato la testa e ha saputo fronteggiare anche i momenti più difficili della storia di questo Paese con coraggio, dedizione e spirito di servizio. 

 

Vi sono molti modi per misurare il grado di sviluppo di una società e della sua economia, ma il più pragmatico e il più affidabile di tutti è quello che viene fatto ogni giorno ad ogni angolo di strada cioè nel luogo dove questi problemi, nella loro quotidiana temporalità, vengono "derubricati" al punto da essere valutati e vissuti a misura d'uomo.

Ed è ineludibile il fatto - si mettano il cuore in pace i grandi analisti - che sarà proprio questo il parametro che, nel calcolo dei valori e degli indici di sviluppo della società, avrà una valenza sempre maggiore.

 

E', in fondo, uno dei più significativi paradossi che ci sta riservando la società entrata nel nuovo millennio: l'ormai irreversibile rivoluzione mediatica in atto fa sì che famiglie ed imprese possano valutare ogni giorno quali concreti effetti la globalizzazione dei mercati e la progressiva caduta di barriere politiche, economiche e sociali stanno producendo sia sulla qualità della loro vita che nelle loro tasche.

E non è certo un caso che il primo effetto prodotto da questa seconda rivoluzione copernicana sia stato proprio il rovesciamento della piramide la cui politica, soppiantata la vecchia cultura fordista, punta oggi soprattutto a potenziare, in ogni modo, i servizi alla persona e a tutto quel che si muove intorno ad essi.

 

Ecco perché la riflessione che oggi facciamo sul sessantesimo anniversario della costituzione di Confcommercio non si riduce ad un mero momento celebrativo, ma vuol essere qualcosa di più e di sostanzialmente diverso. E cioè l'espressione della volontà e del rinnovato impegno di tutte le imprese che oggi operano nella grande area dei servizi di mercato ad andare incontro e a soddisfare le esigenze di una società che, proprio sul livello d'efficienza, di modernità e di qualità dei servizi che le verranno offerti, misurerà ogni giorno le sue capacità di sviluppo.

E' un percorso che appare ormai irreversibile e di cui Confcommercio è da tempo pienamente consapevole.

Ed è la nuova frontiera alla quale le imprese dei servizi devono oggi puntare se vorranno restare ancora competitive sul mercato.

Le strutture commerciali, la cui pluricentenaria, operosa e costante vitalità è significativamente rappresentata nel volume di Alinari che oggi presentiamo, ma anche le imprese del turismo, dei trasporti, dell'intermediazione, dei servizi alle aziende e alla persona e quelle impegnate nel settore immobiliare possono, anzi devono, saper accettare questa sfida e fare di tutto per cercare anche di vincerla.

Ovviamente però l'esito di questa competizione, vista la latitudine e la complessità dei problemi che oggi deve risolvere questo Paese, non dipende soltanto da loro e dal livello e dall'efficacia del loro impegno.

Sono, difatti, le Istituzioni che devono operare per realizzare un nuovo modello di sviluppo che si incardini su questi ormai più che conclamati presupposti.

 

E devo purtroppo dire che, invece, nell'elaborazione di questo nuovo modello di sviluppo, le nostre Istituzioni, a differenza di quelle di altri Paesi a noi vicini, si stanno muovendo con passo troppo lento, faticoso, incerto ed ondivago come se i problemi posti ormai con drammatica urgenza dalla globalizzazione e dalla sempre più esasperata concorrenza dei mercati alla fine ci sfiorassero appena, anzi non ci riguardassero affatto.

Non è così ed è questa la ragione per cui sta visibilmente crescendo il distacco tra i bisogni e le istanze che si manifestano ogni giorno di più nel paese reale - famiglie ed imprese schierate sul medesimo fronte - e le scelte e le priorità sulle quali l'apparato pubblico ed istituzionale cerca confusamente di operare.

 

Questo distacco sta assumendo dimensioni preoccupanti e farebbe bene tutto il mondo della politica, sia quello che gestisce oggi le Istituzioni sia quello che lotta per poterne assumere domani la gestione, a riflettere a fondo sui motivi di questa frattura che rischia, se non vi si porrà presto rimedio, di diventare ancora più consistente e forse poi addirittura irreparabile.

"Stillicidi casus lapidem cavat" dice un vecchio ed arguto detto latino che, tradotto oggi vuol dire: attenzione perchè la goccia del malcontento, a furia di cadere sempre nello stesso punto, può finire anche col bucare la pietra.

Il paese reale qui rappresentato da centinaia di migliaia di imprese che operano nella grande area dei servizi di mercato chiede insomma alle Istituzioni non solo un segnale forte di cambiamento ma anche l'individuazione e poi la concretizzazione di un modello economico di lungo respiro che consenta all'Italia di uscire dall'esangue fase di stagnazione in cui purtroppo si trova da parecchi anni.

 

E per concretizzare questo modello, tre sono ormai a nostro giudizio, per le Istituzioni le scelte obbligate:

 

1 - una radicale revisione di tutto l'apparato pubblico perché il suo enorme sovraccarico di costi e di inutili o superate funzioni sta drammaticamente togliendo sempre più risorse da una parte, alle famiglie e, dall'altra, a tutti coloro che intendono fare impresa in un libero e competitivo mercato. Se si vuol davvero fare uno stato federalista, ebbene lo si faccia sul tamburo, se non lo si vuole, invece, più fare, lo si dica chiaramente, ma la politica non può più continuare a tenere il piede in due staffe perché questo tipo di gestione ondivaga del problema sta solo distruggendo molte di quelle risorse che sarebbero oggi necessarie per rilanciare il libero mercato;

 

2 - Non si è ancora capito se questo Paese vuole affrontare la competizione mondiale indossando ancora la marsina del vecchio sistema industriale oppure un vestito nuovo e tagliato sulla misura che oggi impongono le diverse condizioni in cui opera un mercato nel quale l'area dei servizi produce ormai quasi il 60% del prodotto interno lordo. E qual è il pericolo? Il pericolo è che, continuando ad avallare un disegno economico che si regge sostanzialmente sull'ambiguità e sul procrastinamento delle scelte, il nostro Paese, con o senza marsina, venga alla fine escluso dalla lista degli invitati che partecipano al piano di sviluppo della vecchia e della nuova Europa;

 

3 - Bisogna affrontare, finalmente e prendendo le giuste e, se occorre, anche dolorose decisioni, il problema del nostro montante debito pubblico perché non è continuando ad operare per ridurre solo dello zero virgola qualcosa le spese di bilancio che lo Stato può, da un lato, mettersi in pari con le regole europee e, dall'altro, trovare i soldi necessari per investimenti, ricerca e sviluppo. E siccome è impossibile spremere acqua dalla pietra pomice, occorre prendere decisioni di politica economica che siano finalmente nette, radicali, convincenti e di sicuro impatto.

E, per questo, sarebbe bene - non vedo all'orizzonte altre soluzioni - che anche Il nostro governo decidesse un silenzio stampa di tipo cardinalizio, si chiudesse in una specie di conclave e ci restasse fino a quando non avrà maturato, in proposito, le sue nuove, più convincenti e ci auguriamo anche definitive scelte.

 

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