Sergio Billè alla celebrazione del 60° di Confcommercio La Spezia

Sergio Billè alla celebrazione del 60° di Confcommercio La Spezia

La Spezia - Lerici, 23 ottobre 2005

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24 ottobre 2005
Intervento di Sergio Billè

Vorrei fare qui con voi una riflessione sui due problemi che, per la società italiana ma anche per la nostra Confcommercio e per tutto quel che essa oggi corposamente rappresenta, hanno ormai assunto un peso, una valenza e una latitudine di straordinaria, anzi vitale importanza.

Il primo riguarda il modello di sviluppo che questo paese deve al più presto impegnarsi, in ogni modo, a realizzare per far uscire la nostra economia dalle secche in cui ormai da tempo purtroppo si trova: una nave che è rimasta incagliata tra i marosi e le turbolenze - da mare in tempesta - provocati dalla globalizzazione.

E, per disincagliare questa nave, non bastano più, purtroppo, le mozioni degli affetti e i reciproci attestati di ottimismo. Servono anch'essi ma non bastano davvero più.

Ci vuole ormai ben altro.

Ci vuole anche un modello di sviluppo che "scalzi" e sostituisca quello vecchio.

Cosa voglio dire? Voglio dire che i programmi e le idee devono oggi concorrere a dare una risposta non solo di carattere economico ma anche di tipo sociale che sia nuova, strutturalmente diversa da quella del passato e che quindi corrisponda maggiormente alle esigenze e alle aspettative di questo paese.

Mettiamo, in qualche modo, una toppa al vecchio manifatturiero e lo rimettiamo in mare così com'è - con una navigazione a vista - sperando che la tempesta della globalizzazione finisca e il clima torni così ad essere per noi più clemente?

A me questa pare solo una pia illusione.

Lasciamo ancora correre la spesa pubblica sperando che possa esserci domani qualcuno - magari uno zio d'America - disposto a chiudere un occhio e a saldare di tasca propria l'enorme debito che questa spesa sta accumulando?

Pia illusione anche questa.

O riduciamo questa spesa e ristrutturiamo dalla radice la nostra pubblica amministrazione ridimensionando i suoi costi o finiremo - per qualche verso ci siamo già - nell'elenco dei paesi insolventi, di quelli che sono cioè costretti, loro malgrado, a restare ai margini del galoppante - e galoppante è dir poco - processo di globalizzazione dei mercati.

Per la soluzione di tutti questi problemi occorre prima di tutto una risposta politica. Questa risposta per ora purtroppo non c'è o è ancora talmente ondivaga, incerta, approssimativa e talvolta anche contraddittoria da non dare seri affidamenti.

Tutto questo - e vengo al secondo problema - riguarda assai da vicino anche Confcommercio e il mondo delle imprese che essa oggi - e a ragione - ritiene ormai di rappresentare.

Ci riguarda da vicino perché, nel realizzare questo ormai indispensabile modello di sviluppo, Istituzioni, politica e tutto ciò che ad essi si muove intorno, non potranno più non tener conto della valenza e del peso specifico che ha oggi, nella nostra economia, il settore dei servizi: commercio, trasporti, turismo, grande e piccola distribuzione.

Nel vecchio sistema - lo ha ricordato il vostro Presidente - questi settori, al momento della definizione delle grandi strategie economiche, venivano trattati come paria, come gregari, come portatori d'acqua. In sostanza, contavano, al momento delle decisioni, come il due di picche.

Poi, nel mondo e quindi anche da noi, la globalizzazione ha letteralmente rovesciato, in campo economico, la piramide delle priorità: ora in cima a questa piramide c'è la cultura dei servizi, in fondo, invece, quella fordista delle catene di montaggio, un vero e proprio terremoto da ottavo grado della scala Mercalli.

Cose risapute, direte voi, perché sono anni che gli analisti non parlano ormai di altro.

E l'Istat che va ripetendo che è ormai il terziario che, con il suo valore aggiunto, tiene in piedi la nostra economia? Scontato anche questo. Che noia ripetere sempre le stesse cose.

E io difatti mi guarderei bene dal ripeterle se Istituzioni e politica e qualcos'altro, avendo preso contezza di questa nuova realtà, avessero, in questo paese, cominciato ad operare di conseguenza usando la logica imposta dal semplice pallottoliere, quella del due più due che fa sempre quattro.

Ma c'è stata e c'è questa contezza da parte delle Istituzioni e del vecchie sistema?

A me sinceramente pare che ancora non ci sia proprio.

Pensiamo a disincagliare la vecchia nave, dicono, e poi, per il resto, si vedrà.

E chi pensa a farsi strada nel nuovo senza il loro placet trova un terreno minato, fili ad alta tensione e cavalli di Frisia.

Certo, un vero processo di cambiamento ha bisogno di tempo. La fretta potrebbe far fare mosse precipitose e alla fine sbagliate.

Convengo. Ma tra il procedere con la dovuta cautela e lo stare, invece, immobili nel fossato di una trincea molto ci corre.

Io dico che questo non è un modo per costruire un nuovo modello di sviluppo.

Che senso ha stare fermi, con l'ombrello aperto mentre, in altri paesi, si corre?

Come non serve - tornando all'esempio che ho fatto prima - rimettere in mare una nave che, per le condizioni del suo scafo, al limite della rottamazione, è destinata a incagliarsi presto di nuovo e con conseguenze ancora peggiori.

Ecco l'inderogabile "mission" che oggi ha Confcommercio: confrontarsi con ogni ramo, con ogni anfratto, con ogni presidio delle Istituzioni e di ogni altra valida struttura di rappresentanza di questo paese, perché finalmente mettano radici, in questo paese, strategie, piani e nuovi e diversi modelli di sviluppo.

Ciò non vuol dire mettere qualcuno nell'angolo o fare sorpassi azzardati.

Il vero azzardo è continuare a stare fermi.

Qui c'è solo un sistema economico mondiale che, a causa della nostra incapacità di mettere in campo energie valide e di allestire nuovi e più moderni motori, ci sta dando la polvere.

Il settore dei servizi non vuol certo contare di più di quel che conta, per numeri e quantità, nella realtà di questo paese.

Non vogliamo rubare nulla a nessuno, né essere prevaricatori di altri più che legittimi interessi.

Ci mancherebbe altro.

Ma siccome produciamo ormai più del 55% della ricchezza di questo paese, vorremmo, nella definizione delle strategie del nuovo modello di sviluppo, poter pesare, come sarebbe più che giusto, non dico altrettanto ma quasi. Magari strappando un 5% in più alla volta ma con una strategia di avanzamento che, in progress, non può che approdare ad un unico risultato.

Io non mi stancherò mai e poi mai di battere su questo tasto.

E non per far prevalere interessi di parte.

Qui non si difendono solo interessi di parte. Qui, insieme ai nostri, intrecciati indissolubilmente ai nostri, si difendono gli interessi di un paese che, per tornare a fare sviluppo, ha bisogno anche - non dico solo ma anche - di sfruttare le enormi potenzialità del terziario, dal commercio, al turismo, ai servizi.

Non è colpa nostra se oggi sono proprio i settori che operano nella grande area del terziario a produrre nuova imprenditorialità, più valore aggiunto, migliori condizioni di vita e nuovi posti di lavoro.

Sempre di più e ormai da parecchio tempo.

Cominciamo a rendere strategico questo settore e si troverà una via di uscita per la nostra economia.

Cominciamo a creare un modello di sviluppo che faccia finalmente leva anche su queste strutture e queste risorse, e il domani della nostra economia non sarà poi così oscuro come oggi da qualche parte lo si dipinge.

Cominciamo a far leva su queste risorse e anche altri settori di impresa troveranno un modo per rialzare la testa.

Tutti insieme, tutti con le proprie prerogative e con le proprie responsabilità, tutti però anche messi in grado di esercitare un diritto che, al punto in cui stanno le cose, è diventato ormai più che legittimo: poter contare, al tavolo delle decisioni, per quel che realmente si è e si produce.

Non chiediamo altro che questo.

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