Sergio Billè alla conferenza stampa sulla Finanziaria

Sergio Billè alla conferenza stampa sulla Finanziaria

Roma, 25 settembre 2003

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25 settembre 2003
Intervento di Sergio Billè

 

Non possiamo dire di non aver letto bene perché, nel vertice di due giorni fa a Palazzo Chigi, non ci è stato dato nessun documento o pezzo di carta da poter esaminare e su cui poter riflettere. Ma anche le cose che, a voce e molto, molto per sommi capi, sono state dette dal Ministro dell’Economia ci sembrano del tutto insufficienti per poter esprimere un giudizio compiuto sia sui contenuti di questa legge finanziaria sia su quelle che sono le sue reali finalità.

Peccato. Perché proprio il Governo aveva proposto alle parti sociali, all’atto della presentazione del Dpef ed in vista della legge finanziaria, un ambizioso accordo su riforme, competitività, sviluppo ed equilibrio finanziario.

L’impressione però, di primo acchito, è che si tratti di una pietanza simile a quella che, un cuoco, dovendo sfamare una grande quantità di persone, è costretto a portare in tavola in tempi di carestia.

E’ probabile che, avendo la dispensa vuota, il cuoco non avrebbe forse potuto comportarsi diversamente, ma, guardando in prospettiva, resta per il momento senza una significativa risposta l’interrogativo di fondo. Questo: con quale tipo di interventi e di politica il governo ritiene di poter far fare al nostro prodotto interno lordo un salto che, dallo 0,3-0,5% - dato purtroppo consuntivo di quest’anno - lo porti a quell’1,9% del 2004 che sembra essere il prudenziale obiettivo a cui tende questa legge finanziaria?

E se, allo stato delle cose, non si fa qualcosa di concreto, di programmato e di innovativo che possa produrre, da un lato, un significativo rilancio della domanda interna e, dall’altro, una politica che sia finalmente di vero sostegno alla parte oggi più attiva e produttiva del nostro sistema di mercato, il rischio è quello di un altro improbabile e pericoloso salto con l’asta.

Per la realizzazione del primo obiettivo tutto quel che bisogna dire è stato già detto: mettere mano alla leva fiscale, cosa che, del resto, è stata ormai da tempo promessa.

Quanto al secondo obiettivo credo che troverete nel documento che ora vi è stato consegnato menù e proposte adeguate.

E ci sembra importante - ed è la prima volta che accade una cosa del genere - che questo menù e queste proposte nascano dalla valutazione comune di organizzazioni che rappresentano proprio i settori più vitali della nostra economia, quelli cioè che ritengono che la risposta più efficace alla sfida della competitività è quella che pone al centro del progetto di politica economica del paese le sue vere, grandi risorse: l’impresa diffusa, le piccole e medie imprese industriali e il territorio.

Sono, insomma, le imprese che continuano a fare occupazione nel nostro paese e che, dunque, avvertono l’assoluta necessità di intervenire su un’imposta distorsiva come l’IRAP, che assume nella propria base imponibile proprio il costo del lavoro.

Sono le imprese che hanno necessità di innovazione e che, per questa ragione, chiedono che sia praticata una regola elementare di democrazia economica, cioè che le regole del gioco siano le stesse per tutti, senza artificiosi steccati dimensionali e settoriali o di forma giuridica, che contribuiscono a creare vere e proprie riserve di caccia. 

Queste imprese si confrontano ogni giorno con il problema antico del rapporto con il sistema bancario e, prima o poi, faranno anche i conti con l’impatto degli accordi di Basilea in materia di rating creditizio. Per questo chiedono, per i consorzi fidi, regole, ma anche risorse.

Queste imprese scontano il deficit di dotazione infrastrutturale del paese proprio sul terreno della sfida competitiva. Per questo chiedono che vi sia certezza ed adeguatezza degli impegni finanziari per le infrastrutture, ma anche che si ragioni su quali infrastrutture sono realmente necessarie al tessuto produttivo territoriale.

Queste imprese, soprattutto, chiedono e vogliono contribuire a dare al paese certezza e fiducia. Ma, per questo, occorrono anche comportamenti coerenti da parte delle pubbliche amministrazioni.

Come? Ad esempio, rispettando i termini per i pagamenti dovuti ai propri fornitori di beni e servizi e riformando il sistema delle convenzioni Consip, che di fatto hanno escluso le Pmi dal mercato delle forniture alla funzione pubblica.

Con lo stesso spirito, saremmo andati oggi pomeriggio al tavolo di lavoro tra Governo e parti sociali sulla riforma delle pensioni. Ma siamo rimasti esterrefatti di fronte allo slittamento della convocazione e spero davvero che “non sia mai troppo tardi”.

Parteciperemo, comunque, perché tutti, imprenditori e lavoratori, abbiamo bisogno di certezze. Parteciperemo perché pensiamo che la spesa sociale del paese non vada ridotta, ma piuttosto riqualificata per sostenere quei nuovi ammortizzatori sociali – anche qui liberati da steccati dimensionali e settoriali – che sono il completamento necessario di una buona riforma del mercato del lavoro, che consentirà maggiore flessibilità ed occupazione.

Insomma, forse bisognerà lavorare più a lungo. Ma è altrettanto importante che si sia in più a lavorare e che chi lavora lo possa fare meglio, cioè con maggiore produttività.

Sono queste le riforme che ci servono e sono queste le risposte che vorremmo venissero anche dalla prossima legge finanziaria.

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