Sergio Billè alla presentazione dell'Osservatorio Economico - Previsioni 2005-2006

Sergio Billè alla presentazione dell'Osservatorio Economico - Previsioni 2005-2006

Roma, 13 maggio 2005

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13 maggio 2005
Vogliamo prima di tutto parlare, come se fossimo ragionieri, di conti, di cifre e di numeri che proprio non tornano più, ma po

 

 

Vogliamo prima di tutto parlare, come se fossimo ragionieri, di conti, di cifre e di numeri che non tornano più, ma poi anche, come rappresentanti di centinaia di migliaia di imprese, mettere sul piatto alcune riflessioni su una crisi economica che, proprio perché rischia di diventare strutturale, sta facendo lievitare, in ogni settore e in ogni angolo del paese, una preoccupazione che sconfina ormai nell'angoscia.

In primo luogo, ci pare che il dato diffuso ieri, e per la prima volta in significativo parallelo, da Istat e da Eurostat sull'andamento del nostro Pil, abbia fatto cadere anche l'ultimo velo di ottimismo che, sia pure appuntato con gli spilli, ancora ci restava.

Continuare a vedere, dopo questo ennesimo e ancora più pesante segnale di allarme, questa situazione attraverso vetri schermati o fumè ci sembra ormai un'operazione impossibile e soprattutto pericolosa.

E' una situazione quasi da ultima spiaggia, talmente grave da esigere, per fronteggiarla e per contrastarla, la collaborazione e un grande senso di responsabilità da parte di tutti.

Deve essere chiaro però - ed è un chiaro avvertimento che oggi intendiamo lanciare alle Istituzioni - che chi sta nella "stanza dei bottoni" e ha quindi il potere di utilizzare questi bottoni di comando ha assai maggiori responsabilità di chi, invece, non vive in questa stanza né può usare questi bottoni.

Sono almeno due anni che ci sgoliamo perché questi bottoni vengano finalmente usati nella maniera giusta.

Ci siamo sgolati al punto da restare quasi senza voce. Ora però, da parte delle Istituzioni, non c'è più tempo per altre dilazioni e per altri rinvii.

Ciò non significa che anche noi non intendiamo essere, in tutti i modi, della partita.

E' vero il contrario e diciamo subito che ci adopereremo, in ogni modo, per continuare ad assumere iniziative che possano impedire, per quanto di nostra competenza, almeno ulteriori contrazioni di un mercato che, per famiglie ed imprese, è ormai ai piedi di Cristo.

Del resto, fino ad oggi non siamo stati con le mani in mano.

Il basso livello del tasso di inflazione - addirittura mezzo punto al di sotto di quello della media europea - è dovuto, infatti, non solo al progressivo indebolimento del potere di acquisto delle famiglie, ma anche ad una politica dei prezzi di tutti i settori di impresa che, nonostante le forti pulsioni dei prodotti petroliferi, è rimasta, da almeno 18 mesi a questa parte, sostanzialmente contenuta e, in alcuni casi, addirittura virtuosa.

Ma ora questa politica di contenimento, a causa delle continue e progressive tensioni a cui sono sottoposti i costi dei servizi di base e le tariffe, rischia anch'essa di essere arrivata quasi al capolinea.

Potrà continuare solo se ci sarà anche dell'altro e cioè una vera ed efficace politica di sostegno alle imprese e a tutto il sistema dell'offerta che, più volte annunciata, è rimasta però fino ad oggi solo un fantasma.

Non intendiamo con questo sottovalutare l'importanza del decreto sulla competitività varato dal governo, ma, diciamoci la verità, restando attaccati solo a questo decreto, è un'illusione che un peso mosca possa, salendo sul ring, mandare al tappeto un peso massimo.

La straordinarietà di questa crisi richiede, infatti, scelte, strategie ed interventi di nuovo conio e di altrettanta straordinarietà. E prima il governo si renderà conto di questa ormai ineludibile esigenza è meglio sarà per tutti.

Noi, nella politica, non abbiamo parenti ma solo interlocutori: se questi ultimi sapranno prendere e per tempo le giuste decisioni, noi daremo loro la massima collaborazione.

Ma se questo non avvenisse, si aprirebbe, nel paese, una stagione assai difficile e piena di incognite.

Noi abbiamo il massimo rispetto per chi ha oggi la responsabilità di gestire, in una fase così difficile dell'economia, la cosa pubblica.

Ma è opportuno che anche i gestori della politica comincino ad avere più rispetto e molta, molta, molta più considerazione per chi, nel paese, sta smarrendo il senso della prospettiva e sta avendo persino difficoltà ad arrivare alla fine del mese.

Non vorremmo essere irriguardosi ma pensiamo che sia proprio arrivato il momento che la politica rinunci a quel gioco di specchi che fino ad ora le ha consentito di far apparire grigio o addirittura rosa quel che, nella realtà, era, invece, di color nero.

E poi sarebbe meglio, in un momento così grave, lasciare da parte i discorsi su futuribili partiti unici e su altro dando corpo e sostanza, invece, all'unico partito che oggi veramente conta, quello che, con il massimo di coesione, possa portare il paese fuori da questa crisi.

E' chiaro, infatti, che il collasso del nostro prodotto interno lordo - addirittura un punto in meno rispetto alla pur disastrata situazione in cui si trova oggi tutta l'eurozona - impone interventi talmente drastici che, al confronto, quelli presi a suo tempo dalla signora Thatcher, possono apparire rose e fiori.

E la domanda che rivolgiamo al governo è una sola: che cosa sta ancora aspettando per agire?

Teme forse che misure troppo drastiche facciano venire troppi mal di pancia a qualche partito della coalizione e soprattutto all'elettorato?

La nostra risposta è: meglio un grosso mal di pancia oggi che un'economia destinata domani ad affondare e senza gloria. Meglio amputare dove e come è necessario che inseguire ancora improbabili terapie salvifiche alla Di Bella.

E ci preoccupano anche gli errori che, nel settore della spesa pubblica, la più ingombrante ed improduttiva di tutte, si continuano a commettere.

Certo che il contratto del pubblico impiego va rinnovato anche perché ormai scaduto da un'enormità di tempo, ma prima di salire su questa quasi grottesca schermaglia di trattative, sarebbe stato opportuno fare almeno due cose: 1- legare questo contratto alla creazione di nuovi parametri di produttività della macchina pubblica che - e non certo per colpa degli addetti - continua oggi a viaggiare, in molti casi, a ritmi indecenti. 2- Individuare per tempo il modo di reperire le risorse necessarie evitando che esse – con un peso di 4,5 miliardi di euro - comprimessero il già assai esiguo fondo a disposizione per gli investimenti ed il rilancio dell'economia.

Invece, con la politica del last minute, si rischia oggi di fare, a spese del mercato, le nozze con i fichi secchi.

Va per altro messo in chiaro - e il nostro vuol essere un appello proprio circolare - che i contratti, tutti i contratti vanno al più presto rinnovati.

Non si capisce, infatti, perché, ad esempio, noi ci siamo adoperati per chiudere al più presto - e facendo anche qualche sacrificio - il contratto del commercio, ed altri, invece, continuino a "scantonare" sui loro rinviando di mese in mese, di semestre in semestre, un problema che, invece, deve essere al più presto risolto.

Anche perché qualcuno ci deve spiegare come si possono rilanciare i consumi lasciando le buste paga di milioni di lavoratori dentro il freezer.

Vogliamo parlare, per fronteggiare questa crisi, di ampia collaborazione e di senso di responsabilità da parte di tutti? Ecco, chiudere i contratti dovrebbe diventare uno dei corollari di questa ritrovata e comune responsabilità.

Ed ecco i conti.

1-Se, come appare ormai probabile, l'aumento del Pil, nel 2005, non potrà superare lo 0,3% cioè lo 0,9% in meno rispetto all'1,2% previsto dal governo, mancano all'appello 12,5 miliardi di euro che sarebbero stati poi addirittura 24,5 se fosse stata ritenuta, in qualche modo, ancora valida la previsione del 2,1% su cui si è incardinata la legge finanziaria per il 2005.

E 12,5 miliardi di euro non sono certo bruscolini. Come e dove il governo pensa di recuperarli per far quadrare le voci del bilancio dello Stato e delle pubbliche amministrazioni resta, per noi, un piccolo grande mistero. Ed è altresì chiaro che se non fosse possibile recuperarli, il rapporto deficit/Pil, per il 2005, arriverebbe al 4,5-4,6%, cioè un punto sopra il tetto di tolleranza del 3,5%, previsto dalla revisione del Patto di stabilità. Bruxelles e le società di rating difficilmente accetterebbero questa situazione senza penalizzarci.

E a legislazione vigente, cioè senza drastici correttivi alla politica economica, questi valori sono destinati a peggiorare ulteriormente nel 2006 giungendo ad un rapporto deficit/Pil addirittura del 5,3%.

Per non parlare poi di quel che potrà accadere al nostro debito pubblico che poi resta, sullo sfondo l'irrisolto problema del nostro paese.

Ma resta un altrettanto piccolo grande mistero dove si possano, in condizioni come queste, reperire anche gli ulteriori 12 miliardi di euro che sono stati promessi per il taglio dell'Ire e dell'Irap.

Anche su questo assillante interrogativo vorremmo dal governo una risposta a stretto giro di posta.

2- L'indice della produzione industriale registra una serie di sempre più marcati risultati negativi da ormai otto mesi. Nel primo trimestre del 2005 la produzione di beni durevoli è diminuita del 10,6% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente mentre quella dei non durevoli è diminuita del 4,7%. Il che significa che l'industria non solo è sostanzialmente ferma ma comincia anche ad evidenziare cedimenti di carattere strutturale assai preoccupanti. I cedimenti più vistosi, nell'arco dell'ultimo anno, riguardano l'industria tessile e dell'abbigliamento (-11%), delle pelli e delle calzature (-16,6%), della chimica (-5,4%), delle materie plastiche (-6,1%), degli apparecchi elettrici (-7,7%)e dei mobili (-8,1%). Non si era visto nulla di simile dalla crisi dei primi anni novanta. Quel che poi sta accadendo nel settore delle auto è sotto gli occhi di tutti.

3- Import-export. Sono negativi da diversi mesi i saldi della bilancia commerciale e di quella dei pagamenti. Stanno vistosamente perdendo colpi sia le nostre esportazioni verso l'Ue che quelle verso il resto del mondo. Ed è questo il segnale più allarmante della progressiva perdita di competitività del nostro sistema produttivo. Ma stiamo perdendo rapidamente posizioni anche nel turismo soprattutto per quanto riguarda gli arrivi stranieri. Sintomatica, a questo riguardo, la notevole flessione di arrivi registrata durante il periodo di Pasqua. E' evidente, insomma, che tutto il nostro sistema, è ormai sotto attacco.

4- Consumi. Vanno di pari passo col Pil cioè assai male. La spesa delle famiglie residenti, infatti, dovrebbe crescere, nel 2005, solo dello 0,3% mentre quella della pubblica amministrazione, per la rigidità di questo tipo di spesa, potrà crescere dello 0,9%. Quello della spesa delle famiglie è il dato più negativo registrato negli ultimi dieci-undici anni. Se il trend dei consumi non tornerà positivo, vi saranno sempre meno risorse per investimenti e rilancio del sistema.

5- Prezzi. A causa del raffreddamento dell'inflazione, dovuta anche alla politica di contenimento dei margini adottata dalla distribuzione, dall'industria e dall'agricoltura, l'indice generale dei prezzi dei beni e dei servizi dovrebbe avere, nel 2005, un aumento assai contenuto e non superiore all'1,8%. Ma su questa previsione continuano a gravare le incognite del prezzo del petrolio.

E lasciatemi, a questo punto, aprire una parentesi.

Il proposito manifestato dall'Authority antitrust di avviare una commissione di indagine che verifichi tutti i possibili fenomeni distorsivi che sui prezzi abbia potuto produrre l'introduzione della moneta europea ci trova pienamente consenzienti. E' giusto, infatti, cercare, in qualche modo, di "storicizzare" un fenomeno sul quale fino ad oggi si è detto e scritto di tutto e il contrario di tutto.

Ma, in parallelo a questa iniziativa, sarebbe opportuno che le authorities deputate al controllo della trasparenza nei vari comparti del mercato, cominciassero finalmente anche ad indagare sulle vere cause e sulle reali radici di questi fenomeni distorsivi che continuano a verificarsi in tutti i comparti del mercato.

Noi non aspettiamo altro.

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