Sergio Billè alla presentazione della ricerca "Come comunicano gli enti locali in Italia"

Sergio Billè alla presentazione della ricerca "Come comunicano gli enti locali in Italia"

Roma, 16 dicembre 2003

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16 dicembre 2003
Intervento di Sergio Billè

Non nascondiamoci dietro un dito pensando che la sostanziale inadeguatezza degli apparati di comunicazione dei nostri enti locali, o almeno della stragrande maggioranza di essi, sia dovuta al fatto che le pubbliche amministrazioni non dispongono di strutture che siano professionalmente adeguate per questo scopo.

Magari fosse soltanto questo il problema che abbiamo di fronte. Se così fosse, basterebbe assumere un buon numero di esperti della comunicazione, attivare determinate strutture e tutto sarebbe risolto.

La verità è, invece, che il deficit di comunicazione degli enti locali, come di tutta la pubblica amministrazione nei confronti del cittadino e dell’impresa, ha ben altre e più profonde cause e radici.

Comunicare che cosa se, dietro la facciata, continua ad esistere un coacervo di leggi, di normative e di regolamenti che rendono il funzionamento dell’amministrazione pubblica un’inestricabile giungla?

Ecco la difficoltà principale del comunicatore pubblico: quella di doversi fare oggi portavoce di una realtà spesso di stampo ancora ottocentesco e di una macchina amministrativa che è stata a suo tempo costruita e congegnata per esercitare un potere di controllo e non, invece, per soddisfare interessi, istanze e bisogni del cittadino.

La comunicazione è migliorata quando, come nel caso delle poste, si sono privatizzate le strutture e quindi sono stati finalmente rimossi i ceppi di certi ridicoli ed ormai incomprensibili regolamenti. E, difatti, sono diminuite le code agli sportelli e tutto, per quanto riguarda l’utenza, sembra diventato più agevole, più comprensibile e, non fosse altro che per motivi di tempo, meno costoso.

Ma vogliamo, invece, parlare di quel che ancora oggi accade a chi, magari nel Mezzogiorno, si rivolge all’amministrazione pubblica per poter avviare una nuova impresa? Ecco che, in questo caso, si mettono in moto carte, uffici e procedure che, per risolvere il problema, hanno bisogno di un interminabile periodo di tempo. La media è di almeno due anni contro i sei mesi della Francia, i quattro della Germania e i 50 giorni dell’Irlanda.

Risultato: l’operatore investe i suoi soldi altrove.

Non dico che nulla sia cambiato. E’ più facile, ad esempio, per il cittadino, grazie ad una ormai avviata informatizzazione del sistema, avere, in tempo reale, documenti e certificati che, fino a qualche anno fa, richiedevano, invece, lunghi tempi di attesa. E anche l’autocertificazione è stato senza dubbio un grande passo avanti a vantaggio di ogni genere di utenza.

Così come le informazioni che la Pubblica amministrazione fornisce oggi via Internet sul funzionamento di molti dei suoi apparati.

Ma mettetevi, invece, nei panni del comunicatore pubblico che dovesse spiegare, ad esempio, all'utenza i motivi per cui occorrono almeno sei mesi o più, ma non un giorno di meno, per poter eseguire una Tac in una struttura sanitaria pubblica. Che genere di argomentazioni potrebbe egli usare per giustificare questo enorme e davvero inaccettabile ritardo?

 

E se gli chiedessero il motivo per cui le imposte locali sono aumentate, in pochi anni, del 36% cosa potrebbe rispondere? E se gli chiedessero la ragione per la quale il prezzo del trasporto urbano a Roma è aumentato nell’ultimo anno del 30% senza che questo abbia comportato un visibile miglioramento del servizio?

Si potenzi, come è giusto, la comunicazione degli enti locali, ma si faccia anche in modo che essa possa trasmettere all’utenza dati, segnali, congrue indicazioni di un’amministrazione pubblica che sta davvero cambiando e nella giusta direzione. Se no, sarà più opportuno tenere chiusi questi sportelli di comunicazione in attesa che vengano tempi migliori.

Oppure andrebbero reclutati solo espertissimi persuasori occulti, comunicatori che siano cioè in grado di suggestionare il pubblico in modo da rendere credibile una realtà inesistente.

Insomma la comunicazione va potenziata se l’amministrazione pubblica ha davvero la voglia di cambiare registro, regolamenti e schemi di comportamento.

Io credo o almeno spero che ci si stia finalmente muovendo in questa direzione anche perché ce lo impone l’Unione europea. Ma sarà un processo lungo e difficile anche perché esso si incrocia con i tempi di attuazione di quella riforma federalista che dovrebbe cambiare gran parte del nostro tessuto amministrativo pubblico.

Nel frattempo, sarebbero estremamente utili almeno tre cose.

La prima è che gli enti locali comincino ad avere l’abitudine di rendere di pubblico dominio non solo le loro iniziative ma anche i loro bilanci in modo da trasformare il Comune, la Provincia e la Regione in altrettante case di vetro. Il che, se correttamente e tempestivamente comunicato, servirebbe a far meglio capire ai cittadini non solo il motivo per il quale aumenta il costo di determinati servizi ma anche quali vantaggi questi aumenti produrranno in termini di efficienza degli stessi. Fino ad oggi la comunicazione al riguardo, fatta qualche eccezione, appare tardiva e, per gli utenti, scarsamente comprensibile.

La seconda è di potenziare strutture di comunicazione che servano da guida soprattutto alle imprese perché quel che gli operatori trovano, in proposito, su Internet e sui vari portali è oggi del tutto insufficiente. Occorrono quindi strutture che, a questo riguardo, abbiano un più specifico grado di professionalità.

La terza è che questi uffici vetrina riescano a trasferire all’esterno l’immagine di una macchina amministrativa che ha cominciato a funzionare come i cittadini da tempo si augurano che funzioni. Si accendano le luci su questo tipo di vetrina e l’utenza comincerà a reagire diversamente.

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