Sergio Billè alla XXXVII Giornata del Credito

Sergio Billè alla XXXVII Giornata del Credito

Roma, 3 marzo 2004

DateFormat

3 marzo 2004
Giornata del Credito

 

Che  la nostra economia stia attraversando un momento particolarmente delicato e difficile - e, aggiungo, delicato e difficile a 360 gradi perché non c’è settore del nostro sistema paese che oggi non sia in sofferenza - credo che sia ormai un fatto incontestabile .

E poco ci conforta anche il fatto che altri Paesi, in Europa, abbiano chiuso il 2003 con conti peggiori dei nostri e che, anche in questo inizio del 2004, siano ancora alla ricerca, ricerca affannosa direi,  della ricetta giusta per poter superare la crisi.

La verità è che l’Italia, a differenza di altri Paesi, si trova oggi di fronte ad un doppio snodo, ad un doppio problematico crocevia.

Da un lato, deve trovare le risorse e le energie necessarie per superare questa difficile congiuntura che ci accomuna al resto d’Europa, dall’altro, è sempre più cosciente del fatto che questa congiuntura negativa, a differenza delle altre di eguale conio che l’hanno preceduta, non si supera più gettando qualche ciambella di salvataggio ma sciogliendo quei nodi strutturali che  si sono ormai trasformati in veri e propri steccati che impediscono lo sviluppo del sistema.

Si sta discutendo molto di queste cose ma ho l’impressione che questa discussione stia assomigliando a quelle partite di calcio che, anzichè sul campo, vengono giocate a tavolino, cioè in modo solo virtuale. 

Io, invece, credo che non ci sia più tempo per la teoria e per lo studio di schemi tattici: bisogna scendere assolutamente in campo e giocare fino in fondo la partita.

Cercando di vincerla anche ricorrendo ai tempi supplementari, anche al dischetto dei rigori. Usando i tacchetti giusti, le punte giuste, i giocatori più addestrati per questo scopo.

Qual è il punto? Il punto è che tutti oggi dobbiamo fare proprio di tutto per evitare che il triangolo banche-imprese-risparmio, architrave del nostro sistema, si trasformi in una specie di triangolo delle Bermude nel quale possono naufragare le speranza di ripresa e di sviluppo della nostra economia.

E mi sembra che vi siano oggi solo tre modi per evitare che ciò accada.

Primo, adottare al più presto strumenti legislativi che servano a tutelare i risparmiatori e soprattutto a convincerli che casi come quelli della Parmalat e della Cirio non potranno, d’ora in poi, più ripetersi.

E’ giusto che il Parlamento, per definire questi strumenti, si prenda i tempi necessari, ma ci auguriamo davvero che essi, vista la particolare urgenza del problema che abbiamo di fronte, non siano eterni e soprattutto servano a realizzare quei correttivi del sistema che oggi, agli occhi non solo dei risparmiatori ma anche a quelli delle imprese, paiono indispensabili.

Le lancette dell’orologio stanno girando inesorabilmente e sarebbe bene riflettere sul fatto che ogni giorno in più che passa senza soluzioni è un giorno che lavora contro il sistema e contro tutti coloro che ne fanno parte.

Secondo, adottare una vera e propria cura da cavallo per quanto riguarda riforme e investimenti nel campo delle infrastrutture perché solo se su questi versanti, si realizzeranno risultati concreti, si potranno convincere famiglie, imprese e risparmiatori ad investire i loro soldi nel futuro di questo sistema.

E’ indispensabile da questo punto di vista che il Governo rafforzi la sua iniziativa, dia maggiore velocità alla sua azione, si inventi una specie di “paso doble” che però non abbia, per carità, nulla di argentino perché, se no, la nostra economia, continuando con questo ritmo, rischia davvero di non andare più da nessuna parte.

E per evitare che anche il 2004 finisca a somigliare, come una fotocopia, al 2003 mi sembra che siano anche indispensabili, da un lato, un robusto e generalizzato stimolo per il rilancio dei consumi e, dall’altro - e così arrivo proprio al cuore del problema che oggi intendiamo affrontare - una politica del credito che possa essere di maggior e più efficace sostegno a quel mondo delle piccole e medie imprese che oggi è l’unico a mostrare - ma non si sa per quanto tempo ancora - segni di vitalità per quanto riguarda investimenti, produzione di ricchezza e nuova occupazione.

Se è vero - e credo che, nonostante tutto, sia ancora indubbiamente vero - che il nostro settore del credito continua ad essere uno dei pochi zoccoli duri, se non addirittura l’unico zoccolo duro, di tutto il nostro sistema economico, è chiaro che su di esso bisogna far leva per evitare che anche la parte più attiva del nostro sistema imprenditoriale finisca nella palude della crisi senza ritorno.

Il rischio che il nostro sistema bancario, scosso, direi quasi traumatizzato dalle recenti vicende, finisca col chiudersi a riccio e con l’adottare criteri di erogazione del credito ancora più restrittivi di quelli attuali mi sembra che oggi ci sia e sia più che palpabile.

Occorre non solo evitare questo rischio, ma fare anche in modo che la politica del credito corregga le sue linee di indirizzo e metta in campo iniziative che finalmente e più corposamente possano favorire gli investimenti di quel grande ed articolato comparto di piccole e medie imprese – e mi riferisco, in particolare, a quelle che operano nel settore del terziario di mercato - che oggi servono alla nostra economia per poter, in qualche modo, ridecollare.

E’ questo un problema urgente, concreto, di cui non credo che, avvolti come siamo dai fumogeni delle grandi e irrisolte questioni del Paese, si parli abbastanza e in modo esplicito.

Parlo ovviamente della politica dei fidi bancari che continua a muoversi su altri telai ed in altre direzioni.

La forte concentrazione degli impieghi bancari sui grandi fidi mi pare, statistiche alla mano, oggi un fatto inconfutabile.

Quasi il 50% degli impieghi complessivi si concentra, difatti, su classi di affidamento che vanno oltre i 5 milioni di euro e, dato ancor più rilevante, oltre un terzo di questi impieghi si concentra su poco più di 4000 soggetti i quali dispongono singolarmente di linee di credito che superano i 25 milioni di euro.

Altro dato significativo è quello della percentuale di garanzie reali per classe di affidamento accordato che emerge dalla lettura degli ultimi dati forniti dalla Centrale dei rischi.

Nella classe di affidamenti accordati da 75.000 a 125.000 euro le garanzie reali richieste sono pari all’81% degli affidamenti utilizzati, mentre nella classe dei cosiddetti “grandi fidi”, quelli che vanno oltre i 25 milioni di euro, la percentuale delle garanzie reali acquisite dalle banche non supera il 14%.

Anche sulla durata dei finanziamenti siamo lontani dai parametri del resto dell’Europa.

Mentre, infatti, la quota dei prestiti di durata superiore ai 5 anni supera, nel resto d’Europa, il 50%, in Italia è inferiore al 30%.

E’ chiaro che è necessaria una rotazione di almeno 30-40 gradi della nostra politica del credito se vogliamo che essa sia di vero supporto alla parte oggi imprenditorialmente più attiva del nostro sistema paese.

Le forti dinamiche del commercio internazionale che vedono in via di peggioramento le quote di mercato dei prodotti italiani e i nodi infrastrutturali che condizionano negativamente lo sviluppo della nostra economia sono tutte cose con le quali dobbiamo cominciare a fare i conti anche in vista dell’introduzione dei nuovi criteri che, in materia di erogazione del credito, sono stati decisi a Basilea.

Il sistema bancario italiano ha vissuto, nell’ultimo decennio, una stagione di processi di concentrazione che, se da un lato hanno portato ad una crescita dimensionale degli istituti di credito, ha modificato dall’altro le ragioni e il terreno di scambio tra banca e piccola e media impresa.

Si è inciso, per motivi che possono anche essere considerati più che giustificabili, sullo storico radicamento territoriale del sistema bancario  e, di conseguenza, sulla capacità, da parte delle strutture bancarie, di valutare le componenti immateriali ed interpersonali per l’erogazione del credito:

-         il primo rischia di essere spazzato via da una concentrazione delle strutture bancarie che, di fatto, hanno allontanato i centri decisionali della banca dal suo territorio di riferimento;

-         il secondo è stato determinato dalla necessità per le banche di realizzare economie di scala e quindi di adottare metodologie standardizzate per la valutazione del merito creditizio affidato sempre di più a parametri di tipo quantitativo.

Basilea 2 si inserisce nella realtà che fino ad ora ho descritto con il rischio di un effetto moltiplicativo dei fattori di criticità.

Permangono forti perplessità sull’adozione generalizzata di modelli di rating ai quali – ed è un rischio reale – possono sfuggire gli elementi qualitativi che sono fondamentali per l’erogazione del credito alla piccola impresa.

Per questo gli indirizzi fissati da Basilea 2 vanno attentamente valutati e soprattutto armonizzati con le esigenze peculiari del nostro sistema in gran parte fondato sull’attività di centinaia di migliaia di piccole e medie imprese.

Se è vero - e nessuno mette in discussione questo principio - che ogni banca deve essere libera di adottare propri modelli di rating anche per sviluppare una sana competizione tra i diversi istituti di credito, non credo che possiamo permetterci il lusso di introdurre in Italia i criteri di Basilea 2 senza una attenta verifica, una sperimentazione il più possibile trasparente e un’analisi della sua portabilità per il nostro sistema.

Riteniamo fondamentale, a questo proposito, che la Banca d’Italia non si limiti ad un ruolo di controllo solo formale sui modelli di rating predisposti dalle banche, ma definisca, invece, istruzioni di vigilanza che siano coerenti con le esigenze della nostra realtà imprenditoriale.

Io credo - e vado alla conclusione - che il nostro sistema bancario sia oggi più che cosciente di queste esigenze del mercato e quindi anche delle responsabilità che esso deve avere nei suoi confronti.

Anche perché non vedo possibili alternative.

Il processo di de-industrializzazione in atto in questo Paese e che, anche se arginato, appare ormai in buona parte irreversibile, comporta una riflessione sul ruolo che, nella nuova realtà del Paese, dovrà avere anche il sistema creditizio.

E credo che di questo problema il sistema creditizio oggi sia perfettamente consapevole.

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca