Sergio Billè alla XXXVIII Giornata del Credito

Sergio Billè alla XXXVIII Giornata del Credito

Roma, 15 marzo 2005

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15 marzo 2005

La centralità delle strutture del credito in un Paese che, come il nostro, è costretto oggi a difendere quasi all'arma bianca

La centralità delle strutture del credito in un Paese che, come il nostro, è costretto oggi a difendere quasi all'arma bianca la propria competitività da ogni lato e in ogni forma mi pare fuori discussione.

Ed è importante che, per svolgere questo ruolo che non è solo di tipo funzionale ma anche di carattere strategico, il mondo del credito stia cercando di consolidare, per qualità, dimensioni e valenze societarie, le proprie strutture in modo da adeguarle alle esigenze di un'economia globale che, nel giro di pochi anni, ha cambiato fisionomia, parametri, punti di riferimento e soprattutto regole del gioco.

Tutto quasi bene dunque, tutto quasi chiaro, tutto o quasi tutto nella giusta direzione.

Ma qual è oggi il problema?

Il problema è che anche il mondo del credito ha dovuto, nel nostro paese più di quanto sia accaduto altrove, fare i conti con l'oste di una crisi del comparto manifatturiero che, dopo anni di sotterranea ma già da tempo preoccupante fase di incubazione, è esplosa in modo detonante facendo vacillare le basi stesse del nostro vecchio modello economico.

Ed è accaduto che il mondo del credito, per cercare di rimettere in piedi questo grande malato, sia stato costretto ad andare al suo capezzale e a praticargli robuste trasfusioni di sangue.

Non intendo sollevare dubbi sull'opportunità di un simile intervento che, in alcuni casi, se non è stato proprio da sala di rianimazione, poco ci manca. E' probabile, anzi quasi certo, infatti, che non vi fossero, viste le condizioni del malato, possibili terapie alternative e che avessero la stessa efficacia.

Il punto mi pare un altro.

Il punto è che la necessità di dover praticare tutte queste continue ed importanti trasfusioni - e poco importa che esse siano state e vengano praticate per scelta o obtorto collo - ha impedito e sta tuttora impedendo al mondo del credito di ridisegnare le sue strategie e di affinarle in modo che esse divengano asse strutturale quasi portante di un nuovo modello di sviluppo che l'Italia, se non vuole soccombere sotto i colpi di un'economia globale che non fa più sconti a nessuno, deve ormai a tutti i costi e in tempi brevi realizzare.

Perché il punto ormai non è più solo quello di operare, com'è giusto, per adeguare, nel più breve tempo possibile e secondo moduli che possano soddisfare anche le nostre esigenze, il nostro sistema del credito ai dettati di Basilea 2, ma di pensare corposamente e senza ulteriori e sempre meno giustificabili ritardi ad una "Italia 2" cioè alla costruzione di un nuovo modello economico che, per struttura e per finalità, sia in grado, dopo anni di gelata, di far tornare la primavera nel nostro paese.

O tutti insieme e più intensamente interagendo fra di noi cominceremo a lavorare per questo obbiettivo o il nostro destino sarà quello di un declino a tutto tondo e di un'Italia irreversibilmente avviata al logoramento, insomma al meno invece che al più per quanto riguarda la crescita: meno competitività dei nostri prodotti, meno appeal sui mercati, meno ricchezza delle famiglie, meno investimenti e meno occupazione.

Non posso certo dire che questo assillante tema non sia oggi presente nelle discussioni.

Il problema semmai è che ciascuno ne continua a parlare badando alle proprie personali convenienze e cercando di imporre la propria musica ed il proprio spartito.

E dovrebbe essere chiaro che, con una schiera di suonatori che pretendono o di avere la bacchetta di direttore o di essere "solisti" e prime donne, le prove d'orchestra rischiano di essere interminabili e soprattutto inconcludenti.

Difatti, per quanto riguarda la realizzazione del nuovo modello della nostra economia, non siamo nemmeno all'ouverture.

Sono le Istituzioni, il mondo imprese o quello del credito a dover fare il primo passo nella giusta direzione?

E' un "palleggiamento" di responsabilità che dura ormai da tempo e che purtroppo non sta producendo nulla di buono.

Certo,con un Parlamento che ci mette più di un anno e mezzo a discutere una legge per la tutela del risparmio che altrove - penso, ad esempio a quel che è accaduto negli Stati Uniti - viene, invece, definita e con l'adozione di misure efficaci in poche settimane, è chiaro come il problema di una sostanziale revisione degli assetti costituzionali e della loro funzionalità con le esigenze anche del sistema economico si ponga ormai con somma urgenza.

Sono molti anni che la nostra dirigenza politica continua a lambiccarsi il cervello senza riuscire mai ad approdare a soluzioni ed è probabilmente anche questo, credo, uno dei motivi della montante sfiducia del Paese nei confronti delle Istituzioni.

Ma non è un motivo sufficiente perché il sistema economico continui nel frattempo a cullarsi in una specie di fatalistica inerzia.

La mancanza di riforme che rendano le Istituzioni più snelle, più incisive e soprattutto più funzionali alle esigenze imposte anche dal processo di globalizzazione dell'economia è certamente un problema.

Bisogna evitare però che essa diventi un alibi per non fare le cose che, anche senza una revisione costituzionale, potrebbero, anzi dovrebbero essere fatte.

Non si può più stare fermi in attesa che altri si muovano per primi.

Non ha più senso giocare allo scarica barile in un momento così cruciale per le sorti del nostro sistema-paese come è appunto quello che stiamo oggi vivendo.

Il gioco dell'armiamoci e partite è durato fin troppo e rischia di produrre una congenita sterilità di idee, di strategie e di programmi.

Ecco perché, in attesa che si risolva anche il problema degli assetti istituzionali, mi pare indispensabile che oggi tutte le componenti del sistema e dell'economia reale debbano unire le loro forze per impedire che questa fin troppo prolungata fase di stagnazione della nostra economia finisca con il trasformarsi in un irreversibile declino del nostro sistema-paese.

E tre dovrebbero essere gli obbiettivi prioritari di questa iniziativa.

1- Il mondo del credito continui pure, dato che terapie alternative che siano altrettanto efficaci per il momento non ci sono, nelle trasfusioni di sangue perché nessuno di noi è così fuori di cervello da poter pensare che sia un bene avere oggi, in Italia, decine di migliaia di metalmeccanici e di operatori dell'indotto senza lavoro e senza possibilità di trovare ad esso valide alternative di occupazione. Ma è arrivato anche il momento che il mondo del credito abbia maggiore consapevolezza del fatto che lo sviluppo e la competitività di questo Paese passano ormai anche da altre porte, da altri lidi e da altri tipi di attività imprenditoriali.

E' un vecchio discorso che, a causa delle sempre nuove "emergenze" di cui da decenni continua a soffrire questo Paese, è stato fino ad ora più volte messo sul tavolo e poi di nuovo riposto nel cassetto.

Penso però che non sia più possibile continuare su questa strada perché sta diventando il paradosso dei paradossi che, ad esempio, un settore dei servizi che, nelle sue varie forme ed attività, produce ormai da solo più del 60% della ricchezza di questo Paese, resti confinato in cucina a lavare i piatti come Cenerentola.

2- Per stimolare un processo di ammodernamento tecnologico, di aggregazione, di apparentamento se non addirittura di vero e proprio accorpamento delle centinaia di migliaia di piccole imprese che operano nei settori del commercio, del turismo e dei servizi occorre dunque una politica delle strutture del credito che sia, al riguardo, finalmente più aperta, più flessibile, più strutturata ed anche più lungimirante. Non si può, infatti, pensare - perché si tratta davvero di quattro spiccioli - che per favorire questo processo di ormai indispensabile aggregazione possano bastare gli incentivi previsti nel decreto del Governo sulla competitività. Occorre che mondo del credito e sistema delle PMI comincino ad interagire e ad interconnettersi fra loro mettendo a fuoco strategie che, pur salvaguardando tutte le garanzie che impone l'erogazione di un credito, consentano all'uno e alle altre di operare insieme per la costruzione di un modello economico che, invece di portare l'Italia sulla via del declino, possa produrre nuovi investimenti e quindi nuova ricchezza e nuovi posti di lavoro.

Vogliamo cominciare a parlarne sul serio o resta - e per motivi che mi paiono sempre meno comprensibili ed accettabili - un argomento tabù?

Credo insomma che il richiamo ad una maggiore e più incisiva collaborazione tra il mondo del credito e il sistema di imprese che operano nella grande area dei servizi sia oggi doveroso, impellente, improcrastinabile.

Siamo già su questa strada, ma bisogna accelerare il passo perché l'orologio della competizione mondiale corre oggi a doppia velocità.

O riusciremo ad adeguarci ai suoi ritmi o perderemo la partita del futuro.

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