Servizi di mercato e commercio: tra recessione e ripresa

Servizi di mercato e commercio: tra recessione e ripresa

9 maggio 2011

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9 maggio 2011

 

 

 

 

servizi di mercato e commercio:

tra recessione e ripresa

 

 

 

9 maggio 2001

 

Ufficio Studi Confcommercio

 

 

 


 

 

Negli ultimi decenni il macrosettore dei servizi ha assunto un ruolo centrale nella nostra economia (tab. 1): a questa crescita hanno contribuito essenzialmente i servizi privati non finanziari (servizi di mercato).

 

Tab. 1 - VALORE AGGIUNTO A PREZZI BASE

composizione % a prezzi correnti

 

1992

2000

2007

2010

Agricoltura

3,5

2,8

2,1

1,9

Industria in senso stretto

30,6

28,4

27,5

25,3

Servizi

66,0

68,8

70,4

72,8

 -  servizi di mercato

44,7

48,7

49,8

50,6

 - - commercio al dettaglio

6,4

5,1

4,2

4,2

Totale valore aggiunto

100,0

100,0

100,0

100,0

Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

 

         La terziarizzazione dell’economia italiana segue dinamiche di lungo termine che coinvolgono tutte le principali economie avanzate. La riallocazione mondiale delle attività manifatturiere verso i Paesi emergenti si associa a una profonda tendenza a enfatizzare il ruolo delle abilità e delle competenze incorporate nei beni oggetto degli scambi: l’oggetto degli scambi è sempre più riconoscibile non nei prodotti materiali quanto nel contributo del capitale umano fissato all’interno dei beni.

In Italia, prodotto lordo, reddito e consumi non crescono significativamente da troppo tempo. Questa malattia da bassa crescita è riconosciuta da tutti gli interlocutori istituzionali e dal mondo del lavoro e dell’imprenditoria come la priorità da affrontare per il nostro Paese.

Inoltre, se l’ammontare complessivo di risorse destinabili ai consumi non cresce e se questo ammontare viene ulteriormente compresso dalla quota crescente di spese obbligate cui i cittadini devono fare fronte, si comprende come le difficoltà incontrate dal commercio, sia all’ingrosso che al dettaglio, siano di particolare gravità.

Le spese sostanzialmente al di fuori dalla potestà di scelta dei consumatori sono cresciute in quota sui consumi totali (al netto dei fitti imputati) dal 18,9% del 1970 al 29,5% del 2010 (fig. 1).

Fig. 1 - SPESE OBBLIGATE (*) IN % DEL TOTALE DEI CONSUMI AL NETTO FITTI IMPUTATI (quota % a prezzi correnti)

(*) Le spese obbligate sono definite come la somma delle seguenti voci: fitti effettivi, manutenzione e riparazione dell'abitazione, acqua e altri servizi per l'abitazione, energia elettrica, gas ed altri combustibili, sanità, spese d'esercizio di mezzi di trasporto, protezione sociale, assicurazioni, servizi finanziari  (spese per intermediazione finanziaria, sifim, commissioni bancarie), altri servizi n.a.c  (spese legali, spese per  funerali,  spese servizi amministrativi).

Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

 

Uno degli effetti più visibili - l’altro è la riduzione dei margini delle imprese - di tali difficoltà, si riscontra dai dati di nati-mortalità delle aziende. Nel biennio 2009-2010, anche per il prolungarsi degli effetti della recessione, le statistiche delle Camere di Commercio hanno registrato ben 129.664 cessazioni di attività che, a fronte delle oltre 98 mila nuove iscrizioni, hanno determinato un consistente saldo negativo, pari a -30.912 unità (tab. 2).

 

Tab. 2 - NATI-MORTALITA’ DELLE IMPRESE

 

2009

2010

 

iscritte

cessate (*)

saldo

iscritte

cessate (*)

saldo

Agricoltura                        

27.181

52.773

-25.592

28.115

49.042

-20.927

Industria

76.713

109.533

-32.820

75.346

102.118

-26.772

Servizi

170.640

222.875

-52.235

164.067

213.519

-49.452

 di cui Commercio

84.286

112.405

-28.119

80.918

107.029

-26.111

--Auto, moto

6.266

8.750

-2.484

6.278

8.500

-2.222

--Ingrosso e intermediari

27.432

36.467

-9.035

26.476

36.053

-9.577

--Dettaglio

50.588

67.188

-16.600

48.164

62.476

-14.312

Totale economia

385.512

406.751

-21.239

410.736

389.076

21.660

 (*) Il numero delle cessate comprende le cessazioni d’ufficio

Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Movimprese.

 

E’ in questo macro-contesto che va valutato il ruolo dell’attività di intermediazione commerciale e del commercio al dettaglio, con particolare riguardo agli impegni messi in campo dalla vasta imprenditoria dell’impresa diffusa e della micro e piccola impresa. Impegno volto a rigenerarsi in un commercio innovativo, che crei valore per il cittadino-consumatore, capace di intercettare nuovi, mutevoli e complessi stili di consumo e di acquisto.

E nel commercio, che è sostanzialmente uno dei pochi settori liberalizzati, la concorrenza non fa sconti: contribuisce all’espulsione dei soggetti marginali e residuali e premia gli imprenditori che generano ricchezza, cioè gli innovatori e i creativi. In ogni caso, il ruolo dei servizi e del commercio, pure in un contesto di stagnazione dei consumi, appare ancora vitale (tab. 3).

 

Tab. 3 - PRODUTTIVITA’E OCCUPAZIONE

 

VALORE AGGIUNTO PER ULA (000 di euro)

ULA

 

2007

2010

var. % 2010 su 2007

2007

2010

var. % 2010 su 2007

Agricoltura

21,7

22,4

3,2

1.321

1.281

-3,0

Industria

45,1

43,2

-4,3

7.051

6.312

-10,5

Servizi

48,5

48,0

-0,8

16.655

16.454

-1,2

 - Commercio al dettaglio

30,4

29,9

-1,5

1.756

1.715

-2,3

TOTALE

46,1

45,4

-1,5

25.026

24.047

-3,9

Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio si dati Istat.

 

Durante e dopo la recessione del 2008-2009, i cui effetti in qualche misura si protraggono ancora oggi, il commercio al dettaglio ha perso valore aggiunto per occupato nella misura dell’1,5%, in linea con l’economia nel complesso. La riduzione di occupazione nel settore (-2,3%), tuttavia, è stata inferiore sia a quella patita da altri settori (l’industria ha registrato un –10,5%), sia alla media dell’economia (-3,9%). Questo conferma lo sforzo degli imprenditori di conservare il più possibile lavoro, abilità, competenze, qualifiche - in una parola, capitale umano - all’interno delle unità produttive, anche le fasi di più acuta criticità.

 

Va sottolineata, inoltre, l’importanza che il commercio, riveste nella creazione di occupazione e di imprenditorialità rispetto ai cittadini non residenti, contribuendo anche a rendere effettivi i processi di regolarizzazione e inclusione sociale piena dei migranti. Nelle imprese individuali, fatto 100 il totale imprese con titolare immigrato, oltre 43 appartengono al commercio (tab. 4).

 

Tab. 4 - Ditte individuali con titolare extracomunitario - 2009

 

n. imprese

comp.%

Totale settori

251.562

100,0

Agricoltura

6.391

2,5

Attività manifatturiere

25.306

10,1

Costruzioni

68.119

27,1

Servizi

150.595

59,9

--Commercio

108.575

43,2

--Servizi alloggio e ristorazione

10.683

4,2

--Trasporto e magazzinaggio

6.576

2,6

--Servizi alle imprese

16.173

6,4

--Altri servizi

8.588

3,4

Non classificate

1.151

0,5

Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio si dati Istat.     

 

La tab. 3 evidenzia anche un valore aggiunto per occupato nel commercio al dettaglio distante dalla media dei servizi e dall’industria. Un fenomeno che sarebbe, però, erroneo ascrivere a un ritardo di “modernizzazione” del settore, poiché esso, invece, dipende largamente dalle condizioni di ambiente urbanistico e orografico che contraddistinguono l’Italia. L’esigenza di un servizio capillare e vicino, non solo spazialmente, al consumatore, comporta una dimensione media inferiore a quella registrata in molti altri Paesi europei.

Proprio intorno a questo tema si colloca la questione del rapporto tra commercio al dettaglio, vitalità dei centri storici e capillarità del servizio ai cittadini. Questione che non può prescindere dall’obiettivo di servire i consumatori attraverso il pluralismo distributivo: formule e formati di ogni tipo oggi convivono in un modello che, in parte, torna ad ispirarsi al concetto di negozio di prossimità. Concetto che, giova ripeterlo, non è meramente spaziale, ma è relazione con il cliente, è prossimità con il cittadino-consumatore, cioè servizio per eccellenza.

 

In ogni caso, la concorrenza e il pluralismo distributivo hanno anche effetti benefici sulla dimensione media d’impresa e sulla produttività, effetti che si vedono con lentezza a causa della difficoltà del sistema Paese di crescere. Ad esempio, in tab. 4 è presentata l’evoluzione della superficie media dei piccolissimi negozi nel corso degli anni 2000.

 

Tab. 4 - SUPERFICIE MEDIA DEI PICCOLI NEGOZI (fino a 150 mq.)

mq. medi per piccolo negozio

 

2002

2010

var.%

Nord-Ovest

52,2

53,9

3,3

Nord-Est

53,3

55,0

3,2

Centro

51,1

53,3

4,3

Sud

52,0

54,8

5,4

Italia

52,1

54,3

4,2

Fonte: elaborazione Ufficio Studi Confcommercio su dati Osservatorio Nazionale del Commercio.

 

La crescita della superficie media di vendita, relativa solo ai piccoli negozi, è stata a livello nazionale di oltre il 4%. E’ stata del 5,4% nel Mezzogiorno, che come superficie media dei piccoli negozi (54,8 metri quadrati, come il Nord-est) è ai vertici, anche a causa della minore presenza di grande distribuzione moderna, fenomeno in parte causato da ragioni morfologiche del territorio nonché dalla minore presenza di grandi bacini d’attrazione con popolazione concentrata.

Le indicazioni di tab. 4 suggeriscono che la “modernizzazione”, a leggere con attenzione le statistiche, c’è e si vede. Questo processo è il presupposto per uno sviluppo della produttività.

 

E’ opportuno, però, non nascondere che queste tendenze devono trovare nuovi impulsi. La produttività del commercio al dettaglio deve crescere di più e più rapidamente. In nessun caso, i valori del pluralismo distributivo devono essere invocati per rallentare oppure ostacolare l’innovazione, la creatività, la riorganizzazione, la produttività del settore dell’intermediazione commerciale.

 

Tre sono i pilastri su cui fondare la generazione di nuova produttività: 1) la liberalizzazione dei settori ancora protetti che assorbono risorse dal reddito disponibile dei cittadini, proponendo a prezzi troppo elevati soprattutto i consumi obbligati; inoltre, la mancata liberalizzazione dei settori protetti implica costi di produzione in eccesso per le imprese in generale e, in particolare, per le micro e piccole imprese e per l’impresa diffusa; 2) il ritorno alla crescita dei consumi i quali, indirizzandosi per l’80% a produzione nazionale, sono lo stimolo che da troppo tempo manca per fare crescere il Pil; 3) lo sviluppo delle reti d’impresa e le politiche di incentivazione non discrezionale all’aggregazione tra imprese, non tanto in termini giuridici quanto, soprattutto, in termini organizzativi.

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