Intervento agli Stati Generali Confcommercio a Roma

Intervento agli Stati Generali Confcommercio a Roma

Roma, 1 dicembre 2011

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1 dicembre 2011

Caro Ministro, Caro Corrado, 
anzitutto grazie per avere accolto l’invito al confronto con Confcommercio-Imprese per l’Italia, in occasione di questa conclusiva tappa romana dei nostri Stati Generali dell’Economia dei Servizi. 

Servizi di mercato che, nel loro complesso,  già oggi contribuiscono alla formazione del valore aggiunto e dell’occupazione del nostro Paese in misura superiore al 50%.

Servizi da cui, a nostro avviso, potrà ancora venire uno specialissimo apporto al di più di produttività, occupazione e crescita, di cui l’Italia ha assoluta necessità.

Perché, anche in un Paese con una importante base manifatturiera, “la vera chiave della crescita sta nel significativo miglioramento della produttività dei servizi”, come si leggeva in un noto Rapporto McKinsey di qualche anno fa.

Del resto, lo ha detto benissimo il Presidente Monti, nelle sue comunicazioni programmatiche alle Camere: “Dobbiamo porci obiettivi ambiziosi sul pareggio di bilancio, sulla discesa del rapporto tra debito e PIL”.

“Ma – ha soggiunto il Presidente -  non saremo credibili, neppure nel perseguimento e nel mantenimento di questi obiettivi, se non ricominceremo a crescere”.

E’ questo il passaggio stretto che ci sta innanzi: coniugare insieme disciplina fiscale e del pubblico bilancio con scelte e riforme, coraggiose ed ambiziose, che rimettano in moto la crescita dell’Italia.

E’ quanto occorre per ridare fiducia alle imprese ed agli italiani tutti, non meno che per irrobustire la fiducia internazionale nei confronti dell’Italia.

Onorando gli impegni assunti dal nostro Paese in Europa, e, soprattutto, assumendo l’agenda europea non solo come vincolo, ma anzitutto come occasione di cambiamento e miglioramento del nostro Paese.

“Anzitutto, l’Italia”: è questo, appunto,  il titolo che abbiamo voluto dare al documento programmatico degli Stati Generali.

Perché sappiamo bene che sacrifici occorreranno e che, secondo rigore ed equità, tutti dovranno fare la propria parte.

Ma  chiediamo che il “dividendo” dei sacrifici siano le riforme necessarie per il “bene comune” dell’Italia: per un suo futuro diverso e migliore, ed anzitutto per il futuro dei suoi giovani.

Nell’arco di un mese o poco più, ne abbiamo discusso a Milano ed a Napoli, ed ancora a Venezia, in occasione del forum dei giovani imprenditori.

Sottolineando che rigore, equità e crescita occorrono per rinsaldare la coesione sociale, territoriale e generazionale del nostro Paese.

Oggi, lo ribadiamo qui, a Roma: capitale di un’Italia che, a centocinquant’anni dalla sua Unità, è chiamata ad uno storico banco di prova.

Da esso, dipende il suo futuro.

Da esso, dipende, in buona misura, anche il futuro dell’Europa.

Un rinnovato e credibile protagonismo politico dell’Italia in Europa è infatti necessario anche per portare a compimento il processo di costruzione politica dell’Unione.

Perché – ormai è drammaticamente chiaro – senza un’Europa politica, neppure l’Europa dell’euro avrà futuro.

Per queste ragioni – e con larga unità tra le associazioni imprenditoriali e le forze sociali tutte – abbiamo chiesto che venisse messa in campo la più ampia e condivisa responsabilità repubblicana a vantaggio degli interessi generali dell’Italia.

Per queste ragioni, abbiamo trovato felicissima la formula del Governo di impegno nazionale, che intende “rinsaldare – cito ancora il Presidente Monti – le relazioni civili e istituzionali, fondandole sul senso dello Stato”.

Avanzi, allora, questo impegno, ed avanzi rapidamente.

Con la responsabilità dell’impegno parlamentare di tutte le forze politiche, e con la responsabilità di analisi, proposta e confronto di tutte le forze sociali.

Quali poi siano, nel merito, le scelte coraggiose necessarie per la finanza pubblica, e le riforme ambiziose necessarie per la crescita, è materia da tempo nota, ed anche largamente condivisa.

Sono necessarie semplificazioni profonde del rapporto tra cittadini,  imprese e pubbliche amministrazioni. Ed occorre uno scatto complessivo di efficienza della giustizia civile.

Ma, soprattutto, bisogna che avanzi una sorta di vera e propria “chirurgia ricostruttiva” della spesa pubblica.

Per emendare inefficienze, improduttività e sprechi che, in ogni area, bruciano, ogni anno, decine di miliardi di euro.

Non possiamo più permetterci di essere il Paese in cui si celebra il tristissimo festival delle opere incompiute!

Non possiamo più permetterci di essere il Paese in cui i fondi europei si spendono poco e male, mentre si approfondisce il divario interno tra il Mezzogiorno e le altre macro-aree territoriali, ed il divario complessivo  tra l’Italia e l’Europa!

Non possiamo più permetterci di essere il Paese in cui ben più della metà della ricchezza annualmente prodotta è assorbita dalla spesa pubblica, ma in cui, al contempo, la spesa per investimenti infrastrutturali è ridotta al lumicino, e soffrono scuola ed Università, innovazione e ricerca!

Non possiamo più permettercelo.

E, dunque, bisogna invece affermare – tanto più nella prospettiva della costruzione del federalismo -  un solido principio di  responsabilità: nell’uso delle risorse pubbliche, come nel ricorso alla leva della tassazione. 

La spesa pubblica – anzitutto quella corrente – va posta sotto controllo, va profondamente riqualificata ed anche ridotta.

Insieme, ed anzitutto in funzione della riduzione dello stock di debito pubblico,  vanno accelerati i processi di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico e rilanciate le privatizzazioni.

Occorrerà tempo, certo.

Ma, da subito, si facciano avanzare questi processi di profonda riforma del sistema pubblico e della struttura della spesa pubblica.

Diamo – agli italiani ed alla comunità internazionale – il segnale chiaro di un passo diverso e di un cammino che dovrà procedere anche oltre il perimetro di questa legislatura.

E, intanto, si faccia qualche scelta esemplare e non si perda nessuna occasione.

Scelte esemplari: a partire dalla riduzione dei costi della rappresentanza politica.

Il nostro Ufficio Studi li ha recentemente stimati, per il 2009,  in oltre 9 miliardi di euro.

Riducendo di poco più di un terzo il numero degli eletti nelle Assemblee legislative nazionali e territoriali e le relative spese di gestione e funzionamento, si potrebbero risparmiare, dunque, oltre 3 miliardi di euro.

Lo si faccia. E le risorse così recuperate siano senz’altro destinate alla scuola ed all’Università, all’innovazione ed alla ricerca, e anzitutto ai giovani italiani ed alle giovani donne italiane. 

Perché non possiamo più permetterci la dissipazione di energie e di futuro che sta dietro le cifre di una disoccupazione giovanile del 29% circa e di due milioni e duecentomila giovani che non studiano e non lavorano!

Né possiamo permetterci la condizione insostenibile di un Sud in cui la disoccupazione giovanile arriva al 40%  e la disoccupazione delle giovani donne balza al  45% !

Dati noti.

E che qui ricordo per dire, ancora una volta, di una responsabilità comune.

Delle parti sociali e delle politiche pubbliche per fare dell’Italia una società più attiva a partire, appunto, dal lavoro dei giovani.

Delle parti sociali e delle politiche pubbliche per completare - secondo equità e sostenibilità - il processo di riforma del nostro sistema previdenziale, per affrontare strutturalmente il riordino degli ammortizzatori sociali e per ridurre la rigida dualità del mercato del lavoro tra l’area dei contratti flessibili e l’area del lavoro a tempo indeterminato.

Le ragioni del rigore, le ragioni dell’equità, le ragioni della crescita – cioè, le ragioni del futuro dell’Italia – convergono nel riconoscimento della necessità e dell’urgenza dell’avanzamento dell’azione di contrasto e recupero di evasione ed elusione.

Oltre 270 miliardi di base imponibile evasa sono, infatti, radicalmente incompatibili con il rigore, con l’equità, con la crescita.

Dunque, chi evade – e chiunque aiuti ad evadere –  mina le fondamenta del patto di cittadinanza ed opera contro la crescita e contro lo sviluppo dell’Italia.

Facciamo, di questa affermazione, occasione di impegno comune e senza strumentali divisioni. Facciamolo nel rispetto dei principi dello Statuto del contribuente.

Facciamolo, rendendo chiaro che il risultato dei progressi della spending review e del recupero di evasione ed elusione sarà la progressiva riduzione delle aliquote fiscali: a vantaggio dei lavoratori, a vantaggio delle imprese.

Sul versante degli strumenti per il contrasto dell’evasione, è stato segnalato il tema della riduzione della circolazione del contante e del maggiore ricorso alla moneta elettronica.

Va però individuata una soglia-limite per la circolazione del contante, che risulti effettivamente efficace ed utile ai fini antievasivi.

Ed il ricorso alla moneta elettronica va anche sostenuto, abbattendo contestualmente le commissioni  – fino ad oltre il  tre percento di ciascun pagamento  – che gravano sugli esercenti. 

Anche qui, si tratta di promuovere e rafforzare trasparenza e concorrenza.

Da parte del Governo, sono possibili interventi di tipo normativo. Da parte del Governo, è indispensabile una vigorosa moral suasion nei confronti di banche e circuiti.

Oggi, siamo in emergenza. 

E, allora, è oggi più che mai giusto chiedere di più a chi più ha: per il risanamento della finanza pubblica e per l’avvio del riequilibrio del carico fiscale.

Da parte nostra, una sola avvertenza. Una sola, ma fondamentale.

Non pensiamo che un ulteriore inasprimento della tassazione dei consumi giovi alla crescita complessiva.

Anche perché la tassazione dei consumi incide di più sui livelli di reddito medio-bassi, innesca processi inflazionistici,  risulta controproducente rispetto all’esigenza di recuperare un’ampia evasione dell’IVA.

Si rafforzano, inoltre, gli scenari recessivi: in Europa ed in Italia.

Secondo le previsioni dell’OCSE, l’Italia, nel 2012, tornerà in recessione.

Appena qualche giorno fa, l’ISTAT ha diffuso il dato relativo alle vendite al dettaglio nel mese di settembre: si sono ridotte dello 0,4% rispetto ad agosto, e dell’1,6% su base annua.

E’ – il dato di settembre – la quinta variazione congiunturale negativa consecutiva.

L’Italia dei consumi e del commercio è, insomma, già in recessione.

Rispetto a questi dati, ulteriori inasprimenti delle aliquote IVA sarebbero esiziali per le prospettive di ritorno alla crescita dell’intero Paese.

Per contrastare la ricaduta in recessione, si tratta, allora, di fare leva su una rinnovata centralità delle “politiche di sviluppo dell’economia reale”.

Concetto che – lo ha ricordato il Presidente Monti – ha portato “all’attribuzione ad un unico Ministro delle competenze sullo sviluppo economico e sulle infrastrutture ed i trasporti”.

E’ una connessione importante e che, del resto, torna puntualmente nelle nostre proposte in materia di politica per i servizi.

Nelle nostre proposte per affermare la dimensione di una politica per i servizi, che si affianchi e si integri con la più riconosciuta e consolidata dimensione della politica industriale.

E questo sulla scorta dei dati di realtà di un’Italia produttiva che, anche e particolarmente sul versante dell’export, mostra di essere tanto più performante, quanto più pigia il pedale dell’integrazione tra manifattura e servizi.

E’ un punto rilevante per quanto occorre urgentemente fare a sostegno delle politiche per l’internazionalizzazione.

Ripristinando, anzitutto, un quadro di certezze operative e di indirizzo strategico rispetto all’incertezza di azione e di prospettiva determinatasi a seguito della soppressione dell’ICE.

Politica per i servizi significa, per noi, sospingerne produttività.

Per via di liberalizzazioni condotte  – ci piace ricordare una notazione di qualche tempo fa del Presidente  Monti  -  come una sorta di disarmo bilanciato dei privilegi  di tutte le corporazioni e non solo di alcune.

Politica per i servizi significa, per noi, sospingerne produttività.

Per via di innovazione tecnologica e di diffusione di banda larga. Ma anche per via organizzativa e di aggregazioni in rete.

Siamo soliti dirlo così: è tempo non solo di “Industria 2015”, ma anche di “Servizi 2020”, cioè di un progetto strategico nazionale per l’innovazione del sistema italiano dei servizi in coerenza con il quadro di “Europa 2020”. 

Siamo convinti che sia necessario e che lo si possa fare.

Occorre attenzione politica ed accorto accompagnamento e stimolo da parte delle politiche pubbliche, non meno che impegno delle imprese e dei sistemi associativi.

Occorrono, certo, ragionevoli risorse.

Ma anche queste si possono reperire, indirizzando bene programmi  europei e nazionali e rendendone più facile l’accesso anche da parte delle PMI.

Basti pensare, ad esempio, alla riserva di fondi di incentivazione in favore delle PMI, prevista nel contesto dello Statuto delle imprese di recentissima approvazione.

Ancora, politica per i servizi significa lavorare sulla connessione profonda, vitale e straordinariamente anticiclica tra processi di riqualificazione urbana e ruolo delle reti commerciali e dei servizi in genere.

Vanno affrontati nodi strutturali come la riforma delle locazioni commerciali e la mobilità e la logistica urbana.

Si affrontino e si risolvano questi nodi nel quadro di un Piano nazionale per le città e per la mobilità urbana, che consenta, tra l’altro, agli Enti locali virtuosi, in regola con gli obiettivi del Patto di Stabilità interno, di sbloccare i propri investimenti.

Sarebbe una scelta di assoluto rilievo strategico per la crescita dell’Italia.

Regole e rigorosa tutela della sicurezza e della legalità vanno poi fatte valere anche nei confronti delle patologie dell’abusivismo e della contraffazione.

Debellando queste patologie, la nostra economia registrerebbe un incremento di valore aggiunto tra i 18 ed i 25 miliardi di euro.

Quanto al turismo, è davvero tempo di una strategia nazionale, che sappia mettere a frutto – per via di innovazione e qualità – il patrimonio storico- culturale ed ambientale dell’identità italiana.

Per ricchezza ed oggettivo rilievo, il primo patrimonio del mondo. Un asset  competitivo straordinario e, per di più, irreplicabile.

Di questo patrimonio, non abbiamo sufficiente cura e poca cura mettiamo nella sua valorizzazione turistica.

Possiamo e dobbiamo fare molto.

Per riappropriarci di quote importanti della catena del valore generata dal turismo in Italia e per ottimizzare la spesa promozionale.

Per costruire “reti” e “distretti turistici”, che realizzino operazioni di prodotto destinate a ben individuati segmenti di domanda internazionale.

Molto compete alla responsabilità delle imprese, che devono perseverare nel rafforzamento di produttività, qualità e professionalità.

Molto possono fare anche le politiche pubbliche.

Per la cura del territorio, per le infrastrutture a supporto dell’offerta turistica e per la risoluzione della questione del demanio turistico.

Per la formazione delle professionalità, per la fiscalità di settore e per una più unitaria governance delle politiche per il turismo.

Il costo complessivo dell’inefficienza logistica del Paese è stimato in 40 miliardi di euro all’anno.

Bisogna agire, assumendo come vincolanti le priorità d’intervento segnalate dal Piano Nazionale della Logistica.

I fabbisogni finanziari di investimenti infrastrutturali sono stimati in oltre 200 miliardi di euro.

Occorre, allora, selezionare le priorità, accelerando tempi decisionali e realizzativi e battendo in breccia la troppo diffusa sindrome di Nimby.

Bisogna favorire la mobilitazione delle risorse della Cassa Depositi e Prestiti,  il ricorso alla finanza di progetto e, particolarmente nel Mezzogiorno, l’uso strategico dei fondi comunitari.

Per l’intero sistema dei trasporti, un contributo importante alla definizione di assetti più efficienti può venire dalla istituzione di un’Autorità indipendente di regolazione.

Bisogna procedere alla compiuta attuazione della liberalizzazione regolata dell’autotrasporto, assicurando il rispetto delle disposizioni di sicurezza sociale.

E va riconosciuto, in sede di Codice Civile, il contratto di logistica.

Vanno realizzate condizioni di reale liberalizzazione nel trasporto pubblico locale e nel trasporto ferroviario, così come nel trasporto aereo.

Va portata finalmente a compimento la riforma della legge quadro della portualità, dotando le Autorità portuali anche di strumenti di autonomia finanziaria.

Siamo in ritardo e la competizione logistica si è fatta sempre più agguerrita. Anche quella che viene dalla sponda Sud del Mediterraneo.

E’ una ragione in più per accelerare.

Anche dopo gli esiti del referendum sul nucleare, resta confermata – ed anzi risulta rafforzata – l’esigenza di una strategia energetica nazionale.

Occorrono selezionati investimenti infrastrutturali con celeri tempi di realizzazione, a partire dal potenziamento dei gasdotti, dalla costruzione di nuovi terminali di rigassificazione e dall’adeguamento della rete elettrica, soprattutto nel Mezzogiorno.

E, anche qui, occorre gestione efficiente ed indipendente delle infrastrutture.

Come occorre diversificazione del mix produttivo e riequilibrio e riduzione del prelievo fiscale.

Promozione della generazione diffusa, della produzione da fonti rinnovabili  e del mercato dell’efficienza energetica richiedono semplificazioni, innovazione e ricerca, stabilizzazione di equilibrati incentivi fiscali, a partire dal 55% per la riqualificazione energetica degli edifici.

Anche qui, non c’è tempo da perdere.

Perché il più recente test europeo di competitività segnala che, in Italia, la bolletta elettrica è, per le PMI, la più cara d’Europa. Soltanto a Malta e a Cipro si paga di più.

Caro Ministro, ho fin qui tentato una rapida rassegna delle aspettative, delle esigenze, delle proposte del mondo italiano dei servizi.

E’ un mondo che ha sperimentato – ed ancora sperimenta – tutto l’impatto della “grande crisi” e dei suoi ancora inconclusi sviluppi.

Ma è  un mondo ancora vitale: che non si rassegna e non crede  nell’ineluttabilità del declino dell’Italia.

Questo mondo è, dunque, uno dei punti di forza del nostro Paese.

Come lo sono, in generale, i grandi bacini di capacità ed energia delle imprese e del lavoro, la tenuta delle reti di sicurezza sociale ed il contenuto indebitamento delle famiglie, ed anche un sistema bancario ancora impegnato nel mestiere nobilmente antico del finanziamento dell’economia reale.

Oggi, siamo,  però,  in condizioni di “allarme rosso”.

Perché la crisi del debito sovrano italiano, nel quadro della più generale crisi dell’euro, sta già producendo i suoi perniciosi effetti in termini di credit-crunch e di impennata del costo dei finanziamenti.

E, in questo scenario, la questione dell’accelerazione dei tempi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni va definitivamente affrontata e risolta.

Con l’intervento della SACE e della Cassa Depositi e Prestiti o in qualsiasi altro modo: ma la si affronti e la si risolva.

Perché 60/70 miliardi di euro di crediti ancora non onorati – di cui circa la metà nel settore della sanità – stanno soffocando tante, troppe imprese.

Occorre la risposta politica alla crisi dell’euro, di cui ho già detto.

E occorre, in generale, una voce più autorevole dell’Italia in Europa.

Non giovano, infatti, le recenti decisioni dell’ Autorità Bancaria Europea a discapito del nostro sistema bancario, che rischiano di innescare una forte restrizione del finanziamento alle imprese.

E, rispetto ai parametri di Basilea 3, va portata avanti l’iniziativa per l’adozione di un fattore di bilanciamento a tutela dei finanziamenti concessi alle PMI.

Sul versante interno, resta confermato il ruolo prezioso degli istituti di garanzia mutualistica e, in particolare, del Fondo Centrale di Garanzia, le cui dotazioni andrebbero non decurtate, ma significativamente rafforzate.

Con il sistema bancario, possiamo e dobbiamo ritrovarci insieme, quotidianamente e concretamente, per sostenere le imprese che resistono, che cambiano e innovano, che puntano al rafforzamento patrimoniale, che si aggregano in rete.

Ce la stiamo mettendo tutta. E sono certo che la Tua esperienza sul campo sarà ragione di specialissima ed intelligente attenzione dell’operato da Ministro.

Caro Ministro, buon lavoro: a Te, al Presidente Monti, al Governo tutto.

Siete chiamati ad una missione ardua, ma non impossibile.

Perché non vi difetta la lucida intelligenza delle emergenze, né la passione del cambiamento. 

Ma, soprattutto, perché sapete di potere far conto su un’Italia tenace e che non demorde.

Su un’Italia che -  ogni giorno e, a volte, quasi nonostante tutto – produce ricchezza ed occupazione.

E’ l’Italia del lavoro e delle imprese.

Liberiamone le energie e le capacità.

Ridiamole fiducia.

 

 

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